Conosco da tempo Francesco Minutillo e ricambio la sua amicizia. Certo, discordiamo sulle idee e le scelte politiche, restando, però, sempre in un proficuo, reciproco confronto: per questo ho spesso collaborato con lui, come curatore di mostre storico-documentarie di comune iniziativa; per questo ho pure prefato in piena libertà il suo “Anche i fascisti hanno diritti”. Nei termini di tale sodalizio non manca l’ingrediente della simpatia, della passione per la cultura, soprattutto per la storia, indagata e raccontata attraverso l’imparzialità delle fonti, infine per i libri, quest’ultimi davvero motivo di tanta febbre per entrambi. Questa l’intervista concessami nella quale Francesco Minutillo tocca temi attuali, scottanti della politica forlivese, non senza un pizzico di pepe e, perché no, di sale su taluna coda altrui, togliendosi, così, anche qualche sassolino dalla scarpa.
Avvocato Minutillo, cominciamo dall’attualità politica cittadina che per la seconda volta ha visto il centrodestra conquistare il governo di Forlì con una rinnovata coalizione nel nome di Gian Luca Zattini, così al suo secondo mandato: quale il suo giudizio sulla caratura della prima sindacatura Zattini e su quella, per ora soltanto in premessa, della seconda?
«Ricordo che durante le fasi finali delle trattative per le elezioni del 2019 ci fu un momento nel quale Forza Italia, con Bignami e Bartolini, era contraria alla lista civica del sindaco e pronta alla rottura della coalizione: temevano il drenaggio di voti. Da segretario provinciale di Fratelli d’Italia, nel corso di una conferenza stampa insieme al candidato Zattini e al sottosegretario agli Interni On. Wanda Ferro, affermai esplicitamente alla stampa che non solo Zattini doveva formare una sua lista civica, ma che doveva anche esserci il suo nome nel simbolo. Già, allora, Zattini non mi piaceva né come uomo né quale politico, ma ero convinto che Forlì ed i forlivesi meritassero di vivere almeno una volta la sconfitta della sinistra. Col mio intervento si ruppe il fronte anti-civico di Forza Italia ed un grato Zattini poté fare la sua lista. La storia poi è nota: il centrodestra vinse, Fratelli d’Italia entrò in Consiglio comunale ed il giorno dopo le elezioni il neo Sindaco, da buon democristiano, si rimangiò ogni accordo e negò a Fratelli d’Italia di partecipare alla giunta. Quel voltafaccia sarebbe stato il segno distintivo della sua prima amministrazione: una zattera della medusa nel mare in tempesta, in piena continuità con la sinistra. I dirigenti comunali del vecchio PCI-PDS-DS-PD sono tutti rimasti ai loro posti. Le cooperative rosse e bianche hanno continuato a spadroneggiare nell’economia della città, curando solo di lisciare il nuovo apparente padrone. Immigrati, criminalità e degrado sono dilagati. L’unica iniziativa un po’ di destra in cinque anni è stato rimuovere la pensilina. Troppo poco per aver atteso settant’anni. Né mi sembra che il nuovo corso sia iniziato su basi diverse».
Quale per lei, in positivo o negativo, l’evoluzione dalla prima giunta Zattini a quella del Zattini bis, senza neppure dimenticare le sue pesanti condizioni di alluvionato, al pari di tanti forlivesi?
«Da alluvionato contesto a Zattini una mancanza molto grave: non aver svolto il ruolo di avvocato dei suoi cittadini di fronte al Governo, al Commissario Figliuolo ed alla Regione. Doveva fare sentire la sua voce irata e scandalizzata per l’indifferenza nei confronti di un territorio che non stava ricevendo gli interventi necessari e per le procedure di indennizzo sempre più allucinanti. Non l’ho mai visto sbattere i pugni sulla scrivania del viceministro Bignami, che, tuttavia, riceve spesso in Comune. Né gli ho mai sentito dire almeno una parolina di protesta di fronte alla Meloni, a Mattarella o ai vari ministri e perfino alla Von der Leyen. Tutti sono sfilati a Forlì accompagnati dalla cortigiana ed inchinata compiacenza di un sindaco che dietro la sua fascia tricolore avrebbe dovuto mostrar loro solo occhiatacce fiammeggianti. Ed invece era solo preoccupato di farsi ricandidare e rieleggere! Il Zattini bis ha semplicemente reso palese la sinistrosità dell’amministrazione con l’ingresso ufficiale di uno storico esponente delle cooperative come la Sansavini nonché dei partiti di Renzi e Calenda. Ecco, perché questa volta non l’ho votato e, per quanto possa contare, non l’ho fatto votare. Non era certo lui l’alternativa alla sinistra. Noto con soddisfazione che chi contestava la mia posizione oggi mi dà ragione».
Pure lei avrà seguito le vicende tormentate, sospinte da pietosi personalismi, che hanno condotto alla formazione dell’attuale giunta: cosa pensa al riguardo? Inoltre, conoscendo la sua franchezza, se la sente di sparare a zero sulla nuova giunta ovvero tutti assessori capaci e promettenti?
«Da esponente di Fratelli d’Italia ebbi ad affibbiare a Zattini la definizione ironica di “bimbo degli scapaccioni”. Mi sembra adatta anche alla telenovela della gestazione della giunta bis. Dov’era l’autoproclamatosi “comandante in capo” mentre i partiti si accapigliavano in consiglio comunale, avventandosi su questa o quella poltrona da assessore? È mancata, come sempre, la voce autorevole del primo cittadino. Il problema della giunta, poi, è che è composta in gran parte da personaggetti, soltanto bisognosi della politica: chi per guadagnare vile denaro o chi, peggio, per esistere socialmente. Parafrasando Ezra Pound, non mi risulta che in giunta ci siano uomini o donne pronti a morire per difendere la coerenza di una loro idea. Dunque o loro o le loro idee non valgono nulla».
Avvocato, qual è a Forlì il check up del centrodestra, ma, ancora di più, della destra schietta e pura, considerando il suo passato e il suo presente di sostenitore della destra radicale, sociale, fortemente legata alle tradizioni e ai valori nazionali?
«A Forlì sono stato recentemente costretto a leggere stomachevoli auto-attestazioni di rappresentanti di FDI che si dichiaravano di destra mentre si recavano a rendere omaggio ai partigiani ed alla resistenza in Piazza Saffi, poi lodavano il meticciato e deprecavano il comportamento di quei genitori che cancellano i figli dalle classi ove la maggioranza degli alunni sono stranieri; ancora di più, si preoccupavano che nelle feste dei bambini non ci fossero tartine con wurstel, questo per rispetto ai musulmani, infine, lodavano la libertà religiosa, mettendo sotto i piedi la regalità di Cristo. Mi sembra che non ci sia alcun check-up da poter fare se i due più votati di Fratelli d’Italia si chiamano Bongiorno, già iscritto al Nuovo Centrodestra di Alfano, quando tale partitello era al governo con la sinistra, e Catalano, ora leghista, ma, prima ancora, nato e cresciuto in Forza Italia. Semplicemente la destra a Forlì non è politicamente rappresentata».
Da tempo, lei è fuori dall’agone politico, solo con il vivo interesse di sempre segue le vicende politiche nazionali e locali: le ragioni di questo disimpegno? Deluso anche dalla destra che, fra l’altro, l’ha vista dirigente di Fratelli d’Italia e de La Destra di Francesco Storace?
«Mi sono ritirato dalla vita politica quando ho compreso che non era più tempo di propagandare le nostre idee: non esiste più un elettorato ed un popolo che le possano comprendere ed accogliere. Gli italiani sono ormai un volgo disperso senza nome, valori e dignità che inseguono la politica dei like e del politicamente corretto anche a costo di metter a repentaglio l’esistenza della nazione e del futuro dei loro figli. Credo che soltanto un evento epocale, come un nuovo 1929 o peggio, potrà cambiare queste coscienze. Del resto è sulle ceneri della Grande Guerra che vennero gettate le basi dell’Italia migliore. Anzi dell’unica Italia degna di questo nome».
Rincaro la dose: amore o perlomeno apprezzamento verso Giorgia Meloni oppure avversione critica, chiamiamola così?
«Rispondo, raccontando un episodio emblematico. Quando il 5 aprile del 1991 il segretario di stato americano Kissinger venne a Forlì a tenere una lezione agli studenti ricevette una sentita contestazione dai ragazzi del ‘Fronte della Gioventù” – il movimento giovanile dell’MSI – al grido di “Yankee go home” e “Giù le mani dal Golfo, dalla Palestina, dal mondo. Fuori la Nato dall’Europa”. Ebbene, tra i giovani che in quegli anni erano attivi nel Fronte della Gioventù c’era anche una ragazza romana che si chiamava Giorgia Meloni. Quella ragazza oggi sarebbe in piazza a contestare l’attuale Presidente del Consiglio. È il dramma della destra italiana da Fini in poi: quando inizia a prendere consenso, i suoi ingordi dirigenti si vendono al moderatismo centrista e cambiano le loro idee, invece di attendere che sia il popolo a cambiarle».
Ancora la incalzo: lei, tuttora, nostalgico neofascista e conservatore passatista oppure radicale di una destra moderna e, dunque, conservatore al passo coi tempi, capace di interpretare il futuro?
«Le radici della Destra sono le radici dell’Italia. La nostra dottrina politico-filosofica e valoriale è già stata ampiamente definita, quasi un secolo fa, da menti geniali che hanno saputo confezionare risposte valide per l’animo umano, animo che è sempre lo stesso nei secoli. Non c’è bisogno di aggiornare nulla: i principi, tuttora validi, esistono, non necessitano alcun aggiornamento, magari debbono individuarsi solo nuovi strumenti applicativi».
Donde, poi, penso all’esperienza della comunità attorno alla Chiesa di S. Madre di Dio in Castellaccio, vicino Forlì, la sua scelta di favorire, sostenere, anche materialmente, la religiosità della Chiesa tradizionalista e anticonciliare?
«Essere di destra significa essere profondamente cattolici nella Fede e nella vita secondo l’osservanza del catechismo tradizionale della Chiesa: qui intendo la Chiesa autentica dell’ultimo Papa Re Pio IX e di S. Pio X ovvero quella non ancora infettata dalle idee filomassoniche, dalle posizioni moderniste e relativistiche del Concilio Vaticano II sino al papa polacco che nel 1989 ad Assisi ebbe l’ardire blasfemo di porre Cristo sullo stesso piano di tutte le altre false religioni. Va riaffermata l’unica e superiore Regalità di Cristo anche nella società e nello stato che non può essere affatto laico. Per farlo occorrono fedeli che possano trovare continuo conforto e nutrimento dottrinale in una chiesa come il Castellaccio che, seppur più piccola della Cattedrale cittadina, respinge, ancora, senza esitazione i farisei ed i mercanti, perlomeno non consente loro di accomodarsi nella prima fila dei banchi».
Veniamo alla sua attività di promotore culturale: due mostre storico documentarie di ampio successo, l’una a Forlì nel 2021 “la Fortuna di Dante nel Ventennio”, l’altra a Predappio nel 2022 “O Roma o morte. Un secolo dalla Marcia”; poi, questo “Anche i fascisti hanno diritti”, vero bestseller, a sua firma, sulla giustezza della gestualità e della coralità di ispirazione fascista con finalità solo commemorativa, quindi fuori da ogni intenzione apologetica o rifondativa del disciolto Partito Nazionale Fascista (PNF), come riconosciuto anche da una recente sentenza a sezioni unite della Corte di Cassazione. Dunque, lei ripiega e si rifugia nella cultura oppure in questo suo nuovo impegno c’è continuità con il Minutillo, ardito della destra radicale?
«La battaglia culturale è come l’aratura di un campo arido: il seme per dare frutto deve cadere nel terreno florido. Del resto la cultura è uno degli elementi che caratterizzano un popolo. Dunque, l’impegno culturale autentico è la madre di tutte le battaglie politiche e può avere anche molto più effetto nel lungo periodo. Durante i sei mesi della mostra sul Centenario della Marcia su Roma ho rilasciato decine di interviste a tutti i maggiori giornali e televisioni d’Europa. In questi mesi, poi, è giunto a profitto l’esito delle battaglie combattute nelle aule dei Tribunali a difesa di decine di camerati negli ultimi anni e raccontate nel mio libro: siamo passati dalla demonizzazione e persecuzione del saluto romano alla certificazione del Rito del Presente come gesto sacro. Si tratta di un profondo cambiamento politico sul quale, ne sono certo, si potrà seminare tanto per il futuro».
L’ultima domanda allo sposo di Daniela, anch’ella avvocato, e al padre di Zaira, serena, promettente ragazzina: cos’è per lei la famiglia, anche considerando le problematiche di genere, il persistente maschilismo e il terribile fenomeno dei femminicidi? Cosa auspica per il futuro di sua figlia e, più estesamente, di tutti nostri giovani.
«Sono convinto che solo la stretta educazione cristiana delle giovani generazioni possano dare una speranza in questo deserto di solitudine, desolazione valoriale ed esistenziale. Il senso di questa vita è solo nella prossima. Penso, ad esempio, che se Giulia Cecchettin e Filippo Turetta fossero stati educati dai loro genitori e dalla società al sacro valore della castità prematrimoniale invece che alla sterile liquidità dei rapporti, oggi tanto di moda, certamente in questi giorni non sarebbe in corso alcun processo per omicidio. A mia figlia dunque auguro un futuro da fervente donna cristiana e, a Dio piacendo, da santa imitatrice di Maria».
Franco D’Emilio