Valorizzare i luoghi di culto come le Pievi di Barisano e Pieveacquedotto

Pieve di Santa Maria in Acquedotto

Le visite alle Pievi di San Martino in Barisano e di Santa Maria in Acquedotto del Lions Club Forlì Host di ieri hanno destato tanto interesse e partecipazione. È stato lo storico dell’arte Marco Vallicelli a condurre i partecipanti alla scoperta di due veri e propri scrigni di storia e di arte. L’iniziativa voluta da Luciano Valentini, presidente del Forlì Host, è stata presentata da Gabriele Zelli. Nel suo intervento Zelli ha ricordato anche l’importante progetto che l’Associazione Antica Pieve sta portando avanti dal 2018 per valorizzare gli originari luoghi di culto della Romagna.

Un progetto, coordinato da Claudio Guidi, con il coinvolgimento dello storico Marco Viroli, i fotografi Tiziana Catani e Dervis Castellucci, oltre a Vallicelli e Zelli, che ha consentito di effettuare, ad oggi, una settantina di appuntamenti e far registrare oltre 7.000 presenze. Nel contempo sono stati pubblicati anche sei libri con notizie di carattere storico e artistico delle chiese visitate. Dall’iniziativa di sabato è emersa la necessità di inserire tutti questi luoghi in un itinerario turistico che parta dai centri storici delle città romagnole e si ramifichi verso le frazioni.

Nello specifico le due Pievi oggetto delle visite hanno peculiarità diverse, quella di Barisano è un’antica chiesa che sorge presso l’omonima piccola frazione a circa 8 km dalla città di Forlì. Si hanno notizie dell’esistenza in loco di un castello, o una piccola rocca, che le fonti chiamano castello di Barigiano, dal 992, quando il Castrum Barisani era soggetto al monastero di Sant’Apollinare in Classe. Nel 1235, la guelfa Faenza, in contrasto con Forlì, ghibellina, assalì il castello riuscendo ad espugnarlo. A seguito della conquista, i faentini ne opereranno la completa distruzione. Il castello non verrà mai più ricostruito.

Barisano faceva parte di quelle terre che ai tempi dei romani erano destinate ai veterani a riposo della flotta romana di Classe di Ravenna, come ricompensa per il servizio prestato. Qui sorse probabilmente una “villa”. Questo spiegherebbe la ragione dei mosaici rinvenuti durante il restauro degli anni ’80 del secolo scorso a quasi due metri di profondità dal piano di calpestio attuale, certamente non di natura religiosa ed ancor meno ecclesiastica, ma più probabilmente da identificarsi con il pavimento di una casa padronale (“villa”, appunto) romana del V-VI secolo, trasformata in chiesa nel VII-VIII secolo. Si tratta di mosaici pavimentali a figure geometriche con fiori, o riproducenti bordi a treccia e disegni fitomorfi, costituiti con tessere policrome, motivi decorativi indiscutibilmente “laici”. Lo stesso intervento di restauro riportò alla luce, sotto l’altare maggiore, la cripta del IX-X secolo, mentre alle pareti sono stati rinvenuti affreschi fra cui “San Martino a cavallo che dona il mantello” e un frammento della “Madonna con il Figlio”. La loro datazione risulta ardua, a causa della condizione dei reperti pittorici. Probabilmente sono databili all’anno Mille, quando la chiesa fu radicalmente modificata: con la costruzione della cripta si provvide anche alle decorazioni che forse ricoprivano tutto l’interno del luogo di culto.

La Pieve di Santa Maria in Acquedotto si trova sulla direttrice attraverso cui passava l’acquedotto fatto costruire dall’imperatore Traiano (53 d.C.-117 d.C.). L’edificio attuale è stato edificato nel XII secolo sui resti di una chiesa più antica, molto probabilmente con le caratteristiche delle altre pievi della pianura romagnola. L’aspetto odierno riprende i motivi dello stile romanico. Osservando l’insieme del complesso dall’esterno, si notano molte tracce degli interventi praticati alle murature nel corso dei secoli che hanno avuto dei riflessi sugli interni dove lungo le pareti sono stati rinvenuti, in epoche diverse, tracce di affreschi molto interessanti.
Nei pressi del presbiterio è collocata una pregevolissima opera a stucco rappresentante la “Madonna con Bambino”, replica o copia di un bassorilievo di Antonio Rossellino (un’altra versione si trova nella Pinacoteca di Forlì).

Il campanile, uno dei pochi non distrutti durante il Secondo conflitto mondiale dai soldati tedeschi in ritirata, ha una base quadrata e dalle linee generali sembra possa essere databile attorno all’anno Mille, mentre le strutture superiori risalgono con ogni probabilità alla fine del 1200. La bifora che lo caratterizza presenta elementi singolari: si tratta di una doppia colonna, in marmo greco, una intrecciata intorno all’altra. All’esterno, sul sagrato della chiesa, si trova una colonna di marmo grigio, di epoca romana, databile al IV secolo dopo Cristo. Non si conosce l’esatta funzione di questa colonna, tuttavia è possibile che fosse un segnale militare o più semplicemente, secondo alcuni studiosi, una pietra miliare che sorgeva sul corso della via Emilia. Spostata dalla sede originaria, venne capovolta e utilizzata per incidervi un’altra scritta. Quella originale risalente al periodo tra il 328 e il 332 è visibile ancora oggi nella parte bassa e fa riferimento all’imperatore romano Flavio Giulio Costanzo, meglio noto come Costanzo II, mentre quella incisa successivamente, dopo il 350, fa riferimento all’aspirante imperatore romano Flavio Magno Magnenzio.

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