L’Aeronautica Predappio come un set di Cinecittà

ex Caproni

Onestamente sto per arrivare alla conclusione che il cantiere non ha alcuna intenzione di salvare la facciata. Ha invece tutta l’aria di un esperimento sociale volto a misurare la resistenza nervosa mia e dei membri di Caproni le ali della Romagna. Se lo scopo fosse davvero proteggere, bisognerebbe spiegare a qualcuno che la parola ha un significato diverso da quello che vediamo ogni giorno da ormai quattro mesi.

Ieri pomeriggio sono andato a Predappio per l’ennesimo sopralluogo e mi sono trovato davanti a uno spettacolo che più kafkiano non si può. L’edificio è stato trasformato in una scenografia bellica. Il piano terra e il primo piano sono stati coperti con pannelli di legno inchiodati su porte e finestre, proprio come si oscurava durante la seconda guerra mondiale per disorientare i bombardieri. Solo che allora era per sopravvivere, oggi sembra per fare scena e per far vedere che effettivamente si sta combinando qualcosa.

Con enorme “ammirazione” ho osservato questi nuovi elementi protettivi che si aggiungono al già invidiabile lavoro fatto nei mesi scorsi dalla ditta, la stessa che ormai ci fa ripetere in coro la famosa frase di Aldo, Giovanni e Giacomo “il mio falegname con trentamila lire la fa meglio”.

La parte davvero pericolante della facciata è il muro centrale con la M ed è chiaro perché sia protetta. Tutto il resto è sbarrato senza apparente motivo. Porte e finestre della portineria e del reparto torneria sono coperte da pannelli di legno come se fossero a rischio, ma non si capisce perché. Non sono un tecnico, non so niente di cantieri, ma ho abbastanza occhi per vedere che qualcosa non torna.

Il dubbio cresce perché se l’intenzione fosse davvero mettere in sicurezza non si toccherebbero ambienti tra i più preziosi del complesso. In quei locali ci sono materiali originali di grande valore, marmi, pavimenti, rivestimenti e dettagli che raccontano una storia. Toccarli o peggio distruggerli sarebbe un insulto alla memoria di una città che (anche se qualcuno si è voluto scordare) per quasi un decennio di attività della fabbrica ha vissuto attraverso il lavoro svolto alla Caproni. Come si potrebbe spiegare che materiali e ambienti che sono sopravvissuti a ottant’anni di abbandono oggi rischiano di sparire prima del tempo, non per effettiva distruzione provocata dal tempo e dall’incuria, ma per “lavori di messa in sicurezza”?

Più passano i giorni più sembra che si stia coprendo quello che non si sa come restaurare. Ogni pannello serve a nascondere, non a proteggere. Ogni chiodo è un colpo alla memoria non solo della Caproni, ma della storia della città di Predappio e di ogni singolo cittadino predappiese. Nel frattempo si continua a parlare di lavori di tutela e valorizzazione come se bastasse inchiodare quattro assi per dimostrare amore per la storia o anche solo un briciolo di competenza (da parte di chi sui social vanta di fare il proprio lavoro con professionalità).

Chi ha rispetto per la città di Predappio e per la sua memoria dovrebbe farsi qualche domanda. Se questi sono i metodi per salvare la Caproni, allora la Caproni è in grave pericolo. Per ora restano i pannelli, i chiodi e il secondo scheletro sul retro della facciata. Ma come già fatto in questi mesi, possiamo tirare un sospiro di sollievo dato che, secondo gli “esperti in sistemi costruttivi”, a quanto pare è tutto sotto controllo naturalmente (come sempre).

Amin della Caproni

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