Non è ormai nemmeno più una notizia, e questo la dice lunga sulla situazione da terzo mondo che regolarmente viviamo sulla costa, ma ogniqualvolta si verificano abbondanti piogge, l’obsoleta fognatura unica romagnola ed i conseguenti scolmatori fognari che riversano i liquami nei fiumi o direttamente in mare, causano in alcuni tratti della costa, l’inevitabile chiusura della balneazione per 18 ore. Oggi gli specchi d’acqua chiusi temporaneamente tra Rimini, Riccione e Cattolica sono stati 11. E questo a causa delle cosiddette misure preventive che i sindaci dei territori interessati dispongono durante la stagione balneare in seguito all’apertura degli strutturali sfioratori fognari.
Negli ultimi anni, Rimini ha in parte risolto il problema e quindi le aree interessate ai provvedimenti di chiusura a tutela della salute pubblica sono diminuite. Il lavoro però sarà completato tra qualche anno. Quello della trasformazione della fognatura unica in mista, dividendo così le acque nere da quelle piovane senza che entrambe finiscano al depuratore causando l’over flow, cioè la distruzione dell’impianto, è da sempre stato un problema sottovalutato dalla politica locale: non aumenta consensi elettorali l’inaugurazione della fognatura mista in una strada come invece quella di un parcheggio, dell’aeroporto, di un ponte levatoio ecc. Inoltre comporta l’utilizzo di enormi risorse pubbliche che invece si preferisce destinare in progetti di maggior impatto elettorale. Questo anche a causa di una miopia da parte dell’elettorato, delle prone associazioni di categoria e degli operatori turistici che di fronte ad un candidato sindaco che promettesse di impiegare molte delle risorse pubbliche dei 5 anni a seguire per “ fare le fogne” troverebbero tale linea politica non particolarmente “appetibile”.
Riguardo alle inadempienze italiane in materia fognaria ricordiamo che il 31 maggio, la Corte di giustizia del Lussemburgo ci ha condannati a pagare una multa perché da diciotto anni l’Italia non rispetta le leggi europee sui sistemi di depurazione dell’acqua, e nemmeno le proroghe. Condannati quindi a pagare 25 milioni di euro, più 30 milioni per ogni semestre di ritardo fino alla completa messa a norma. Paradossalmente però non è questo il più grave danno economico subito dal Belpaese. È difficilmente quantificabile quello rappresentato dal conseguente danno d’immagine che subisce una località balneare nel mostrare per anni a migliaia di bagnanti, un cartello che vieta temporaneamente la balneazione per motivi igienico sanitari. In un nano secondo si buttano al vento decenni di lavoro e al macero un organizzazione turistica come quella romagnola unica in Italia, se non in Europa. I danni all’economia sono di gran lunga superiori ai costi che avremmo dovuto sostenere fino ad oggi per realizzare, un pezzo alla volta, la rete fognaria mista. Far atterrare a Rimini un turista dell’Europa del nord e poi vietargli di fare il bagno per tutelare la sua salute è il prezzo altissimo dell’inadeguatezza politico amministrativa e culturale di cui però, sarebbe giusto ammetterlo, siamo gli unici responsabili.