Sabato scorso a Gangi, in occasione della presentazione del volume: “Kore, la ragazza ineffabile. Un mito tra passato e presente”, a cura di Roberto Deidier, professore ordinario di Letterature Comparate all’Università di Enna Kore, il critico d’arte Paolo Battaglia La Terra Borgese ha spiegato con parole semplici cosa è un Mito ai tantissimi studenti presenti: “Le Tracce in Sicilia di Demetra e Persefone si trovano ad Agrigento, a Selinunte, a Gela, a Enna, a Catania ma quella più enigmatica si trova da queste parti, a Morgantina, perché il mito di Demetra e Kore è strettamente legato al territorio di Enna e in particolare al lago di Pergusa. Diversi santuari di notevole importanza sono stati ritrovati all’interno dell’area archeologica di Morgantina ma è sulla Venere di Morgantina – tornata in Italia, ad Aidone, dagli Stati Uniti, dopo tante battaglie – che mi soffermerò, per cercare di capire cosa è una Dea e l’origine del mito stesso.
Costitutivi di una religione sono sempre il mito e il rito: il primo rappresenta ciò in cui si crede (mito è per esempio che per non provocare incidenti all’incrocio stradale passiamo un po’ per uno), mentre il rito è ciò che occorre fare (si passa col verde e non si procede la marcia col rosso), il semaforo diviene ne il simbolo. È con questi fatti che si riconoscono gli ambiti tangibili di ciò che si vuole ritenere reale per poi condividerlo universalmente come fatto culturale. Perfino le fiabe popolari sono vocate a modello socio culturale, e non a caso queste trovano motivazione nei riti antichi.
Invero il mito e il rito hanno diversa radice culturale: è greco il mito e romano il rito. Attraverso il mito la cultura greca esprimeva dapprima un discorso pubblico, racconto (già in Omero), sino a divenire sinonimo di favola; pur fondando poi l’attualità per il logos, il discorso logico e razionale che guidava alla conclusione, e che fonda perciò l’azione storica in base alle decisioni assunte. Gli antichi romani individuavano invece col rito i corretti criteri di fare per muoversi nel reale. Tutto ciò serviva (e serve) a fornire modelli logici per risolvere dubbi e contraddizioni.
Ma chi raffigura la cosiddetta Venere di Morgantina non possiamo saperlo, ancora oggi, dell’argomento, manca una cognizione fonte di un’assoluta certezza scientifica. Tuttavia possiamo affermare, senza vincolo di dubbio, che si tratta una statua di divinità femminile realizzata a mo’ della furba tecnica degli acròliti del periodo greco-romano, cioè formata, al fine di economizzare, da un composizione di pezzi: le parti nude della raffigurazione sono in marmo, e, nel nostro caso, la struttura tutta è armaturata da più modesti sostegni calcarei.
È interessante perciò, in questo consesso sorellevole della mitologia greca, comprendere cos’è una dea. Per questo occorre veicolare l’attenzione verso il concetto di donna, divinità e mortale, e per questo bisogna affrontare il tema dell’iniziazione femminile, per così conoscere meglio il mito attraverso l’aspetto esoterico.
Un esempio di mito in occidente è Demetra, dea vulnerabile (non vergine) delle messi e dell’agricoltura, conosciuta dai romani come Cerere ‘cereale’, da cui dipendevano sia il ciclo delle stagioni che quello della vita e della morte: la figlia Kore viene rapita, vicino all’odierna Aidone, dallo zio Ade, dio degli inferi, costui la porta con sé nel mondo sotterraneo, e la sposa.
Demetra non sa cosa sia accaduto alla sua generata, e assalita da inconsolabile sconforto si priva delle sembianze di Dea e si maschera da persona anziana per cercarla: erra sulla terra, fino a giungere ad Eleusi, piccolo centro vicino Atene dove scopre la sorte della figlia. Violentemente adirata, Demetra ripiglia le sue sembianza autentiche e, da Dea qual è, rende secchi tutti i frutti della terra fintantoché non riavrà con sé la figlia: gli umani rischiano dunque la morte per fame. Allarmato di ciò interviene il padre di Kore, Zeus: egli si reca da Ade per ottenere, con la propria intercessione, la liberazione della ragazza.
Si osservi che Kore da adesso è chiamata Persefone (in latino Proserpina e Core) poiché, dopo lo sposalizio, non è più considerabile una adolescente ma la regina degli inferi.
Il dio d’oltretomba rende alla madre la sua sposa solo dopo averle fatto ingerire dei chicchi di melagrana che costringeranno Persefone a ritornare da lui per 6 mesi all’anno.
Tale prima parte del mito esprime la ciclicità spazio-temporale delle stagioni: autunno e inverno collineano i 6 mesi soggiornati da Persefone insieme ad Ade; mentre invece le altre due stagioni sono rappresentate dai 6 mesi vissuti da Persefone insieme alla madre.
Demetra stessa aveva impostato i misteri Eleusini, questi erano riti di iniziazione che introducevano alla comprensione della verità attraverso il superamento di prove fisiche e psicologiche nei modi tipici dell’azione teatrale del mito di Demetra e di Kore.
Ma definire tutto ciò unicamente come similitudine sottintesa del ciclo naturale, con spedita attinenza alla morte e alla rinascita di piante e natura, potrebbe essere un’interpretazione piuttosto sbrigativa e riduttiva.
Personalmente trovo interessanti due differenti interpretazioni:
La prima: gli iniziati che partecipavano ai Misteri riuscivano ad accogliere la morte e anche a superarla, predisponendosi a ciò tramite l’acquisizione di attributi superiori. In tale sistema, dal punto di vista esoterico, ravvisiamo come un rito, che manifestava e al contempo era rivelato in un mito, consentisse a donne e a uomini di assumere funzioni divine e di conoscere nel proposito esperienziale una metamorfosi nelle dee e negli dei; e ugualmente di rievocare, con la scena drammatica, i temi focali della vita e della morte, come ad esempio celebrare l’accesso completo all’età adulta, riferita pure all’iniziazione sessuale.
L’altra spiegazione prende avvio dall’esistenza del vigoroso ed energetico legame tra Demetra e la figlia Kore, esplicitato dall’angoscia di Demetra alla scomparsa di Kore: madre e figlia possono dunque essere considerate un tutt’uno, due significati della stessa figura: Vita e Morte: il magistero segreto tramandato coi misteri Eleusini era che la vita e la sua dipartita sono i due volti dell’esistenza; e il sonno eterno deve accettarsi giacché esso anticipa la vita, della quale è attributo vincolante.
Ulteriore aspetto rilevante è che una delle dee nella donna lavori sul proprio “animus”, cioè la parte maschile viva in ogni donna, assorbendo così questa energia innata per poter gestire circostanze difficili. Per dirlo un po’ nei modi di Platone: lungo il corso della vita tutte le donne devono affrontare numerose difficoltà, ma ripercorrendo simbolicamente le fasi delle divinità greche, saranno in grado di trovare la luce che è fuori dalla caverna.
I riti misterici giunsero in Grecia dall’Egitto, dove riti similari evocavano il mito di Iside e Osiride.
Osiride, veniva figurato pitturato di verde, tinta della putrefazione, che previene la rinascita. Egli è il dio della morte, della fertilità e dell’agricoltura. Per motivi di gelosia viene ucciso dal fratello Seth che ne spezzetta pure il corpo in 14 parti che sparge in tutto il mondo. Iside, sposa e sorella di Osiride, senza più alcuna speranza per la fine del proprio sposo, ricerca e riunisce le parti del corpo tranne il fallo, che non ritrova, e che realizzerà in legno. Magicamente rianima il fisico, vi si pone sopra e arriva a concepire un figlio: Horus, che da grande ucciderà Seth per vendicare il padre (nello scontro perse il famoso occhio). Dunque sempre una dea riesce a far trionfare la vita sulla morte.
Di questo mito era intriso il rituale di morte e rinascita dei Faraoni in occasione della loro investitura. E anche se normalmente i Faraoni fossero uomini, il sesso femminile non era escluso da tali riti, come conferma la figura di Hatshepsut, regina a cui si deve la magna pars del pensiero monoteistico, prima dello stesso Akhenaton.
La figura di donne iniziate ai Misteri femminili è oltretutto descritta nei racconti della vita di Pitagora e delle sue opere.
Lungo il viatico storico si incontrano numerosissime donne iniziate. Una è Maria l’Ebrea (Miriam), vissuta ad Alessandria d’Egitto tra il I e il III secolo d.C., (anche se, secondo alcuni alchimisti del passato, era sorella di Mosè e Aronne, e dunque da collocarsi prima della nascita di Gesù Cristo). Un’altra è Hypatia (tra IV e V secolo d.C.), figlia di Teone di Alessandria, filosofo, matematico, astrologo greco antico e unico grande iniziato del tempo a guidare le donne verso la via iniziatica. E poi, della scuola pitagorica, ricordiamo Myia, ad un livello di conoscenza tale che la via di casa sua era chiamata ‘Accademia’; e ancora Arignote; e Damo; e Teàno di Crotone. E anche la Pizia di Delfi, seppur estranea alla scuola di Pitagora. E poi, più avanti nel tempo, Hildegarda di Bingen nel XII secolo e pure Isabella d’Este Gonzaga nel XV secolo. Andrea Mantegna, realizza“Il Parnaso”, 1497 per Isabella d’Este, è l’edificazione allegorica di templi alla virtù e di profonde prigioni al vizio, dell’amore casto su quello sessuale, perciò è la celebrazione dell’armonia.
Tarquinia Molza, XVI secolo, degli Innominati di Parma, accademia a cui apparteneva pure Isabella Pallavicino, fondatrice, questa, dell’accademia degli Illuminati, a cui si strinse pure Maddalena Campigna. E ancora Cristina di Svezia. Poi, da origini molto antiche nasce nel 1717 la Massoneria speculativa, Istituzione iniziatica che ammette al suo interno solo uomini. Tuttavia Elisabeth Aldworth viene ammessa in una Loggia allorquando scoperta a spiare i Lavori Massonici, giusto per farle prestare giuramento e non rivelare così ciò che aveva visto e sentito, tanto che alla sua morte ebbe l’onore dei funerali massonici.
Giusto per curiosità: Maria Montessori, prima donna medico in Italia, conosciuta in tutto il pianeta per l’innovativo metodo di educazione dei bambini, tenne il suo primo discorso sul suo metodo nel Tempio Massonico di Washington, correva l’anno 1914.
Il veto all’Iniziazione delle donne in Massoneria ha a che fare con la diversità. Il mito tramanda che gli uomini erano perfetti e non si prevaricavano. Esistevano tre sessi: maschio, femmina e androgino, quest’ultimo un tutt’uno tra maschio e femmina. Ciascuno aveva quattro braccia e quattro gambe, e la testa a due facce. Ma quando l’umanità peccante di alterigia tentò di scalare l’Olimpo, Zeus punì gli uomini spaccandoli in due e l’androgino divenne metà maschio e metà femmina. Così oggi siamo sempre alla ricerca della nostra metà, e trovandola ricompare l’antica perfezione.
Ne dice qualcosa il dipinto più famoso al mondo: la Gioconda, che esprime la fusione delle sembianze e delle caratteristiche interiori maschili e femminili. Come anche l’Allegoria della Geometria di Laurent de La Hyre, dove sorgono espressioni sia femminili che maschili, dove compaiono piramidi, una sfinge, il serpente contorto sul globo terrestre, la squadra e il compasso e il filo a piombo, a significare che l’essere iniziato alla conoscenza delle leggi dell’universo, quindi effettivamente dotato di dottrina morale e spirituale, di saggezza e di equilibrata prudenza, superando la conflitto fra le diversità, sunteggia in sé sia le caratteristiche femminili quanto quelle maschili.
Per concludere, e arrivare ai giorni nostri, possiamo riferire che in chiave cristiana il mistico è colui che fugge il molteplice e cerca l’Uno; nei misteri di Demetra il ‘mistico’, l’iniziato, è colui che nel molteplice trova l’Uno.” A promuovere l’evento BCsicilia, Pro Loco e Istituto Superiore ‘Giuseppe Salerno’ di Gangi, in collaborazione con Fidapa, Slow Food Condotta di Gangi, Accademia dei Curiosi e Comune di Gangi.
Presentazione di Alfonso Lo Cascio, Presidente regionale di BCsicilia. Saluti del Sindaco di Gangi, Francesco Paolo Migliazzo, dell’Assessore al Turismo, Giuseppe Ferrarello, del Presidente della Pro Loco, Marco Lipira, del Dirigente scolastico dell’Istituto ‘Giuseppe Salerno’ nonché Assessore comunale Ignazio Sauro, di Carmelo Giunta Presidente della Condotta Slow Food di Gangi, della Presidente della Fidapa di Gangi, Sara Salvo e di Francesca Cicero Bellizza, Presidente dell’Accademia dei Curiosi di Castelbuono. Il confronto tra diversi studiosi su un argomento che esercita un forte richiamo sul territorio per via delle sue permanenze e delle sue tracce nelle tradizioni popolari, l’archeologia, la storia: oltre a Paolo Battaglia La Terra Borgese sono intervenuti Nino Arrigo, critico letterario, Ignazio E. Buttitta, docente di discipline demoetnoantropologiche presso l’Università di Palermo, Santi Citardo, attore e regista, Francesco Paolo Pinello, cultore di sociologia presso l’Università di Enna ‘Kore’, Flavia Zisa, docente di Archeologia classica presso l’Università di Enna ‘Kore’.