Sabato 25 gennaio un centinaio di ex soci e ex dipendenti della Cooperativa Edile Forlivese (poi Edilcoop) si ritroveranno, all’ora di pranzo, al Ristorante Peter Pan di Forlì per una simpatica rimpatriata fra amici. Si ritroveranno dopo esattamente 30 anni a testimonianza del forte legame che si era instaurato, indipendentemente dai ruoli ricoperti, e di un rapporto che è durato nel tempo caratterizzato dalla solidarietà, uno dei principi base della cooperazione.
Ho rivolto a Mario Maiolani, che a lungo ha lavorato in Edilcoop, alcune domande sull’attività espletata dalla cooperativa e sulla sua storia. Maiolani dopo il pensionamento si è dedicato alla scrittura pubblicando per la Società Editrice Il Ponte Vecchio di Cesena questi libri dal 2007 ad oggi: “Ragazzo povero o povero vecchio”, “Lundrù. La vita meravigliosa di un gatto romagnolo”, “La Romagna nei modi di dire dimenticati”, “Detti e proverbi romagnoli”, “Perché in Romagna si dice così” e “Detti e dicerie nella lingua dei Romagnoli”; gli ultimi quattro portano la mia prefazione.
Per prima cosa gli ho chiesto di ricordare il momento della costituzione della Cooperativa.
«Il giorno 15 marzo 1945, era una domenica, quando si udiva ancora il rombo del cannone verso Faenza, (Forlì era stata liberata da appena quattro mesi) e il Regno d’Italia era retto dal Luogotenente Umberto di Savoia, un gruppo di 47 lavoratori costituirono la Cooperativa Edile Forlivese, presso lo studio del notaio Angelo Bolognesi di Forlì (rep.3018/1040). La sede della costituenda società venne stabilita in via Bacilina 20 nel garage di un socio. Il capitale sociale fu di poche decine di migliaia di lire in azioni da cento lire cadauna, in parte costituito di attrezzi manuali minuti (carriole, badili, picconi, corde, carrucole ecc) conferiti e valutati dai soci. Ulteriori attrezzature vennero in parte “recuperate” da imprese dismesse, organizzazioni militari, attive o no (vedi la nazista TODT), e ovunque fosse possibile. Negli stessi tempi il CLN nominò il nuovo sindaco di Forlì nella persona di Agosto Franco. Il costituirsi della nuova Cooperativa venne accolto con favore ed a novembre ‘45 il Comune cedette in affitto un’area di via Gramsci, che venne poi riscattata e vi si costruì la palazzina per uffici e custode».
Quali furono i principali problemi che si dovettero affrontare per avviare l’attività vera e propria?
«Il maggior problema era l’acquisto del cemento, prodotto dal cementifico di Sant’Arcangelo di Romagna, per il quale occorreva il buono rilasciato dall’Ufficio commerciale di Bologna con grande parsimonia. I soci si sottoposero a grossi sacrifici, (trasferte in bicicletta, portarsi il mangiare da casa, ecc.). Quando il lavoro era fatto per conto degli Alleati ed il materiale era da essi fornito, si cercava di “recuperare” qualche sacco di cemento con qualche sotterfugio poiché i materiali erano contingentati. Il bilancio del primo anno fu di circa 8 milioni con un utile del 12%, bilancio che superò i 100 milioni nel ’53 e i 500 nel ’58, con utili netti inferiori al 2%. In aprile ’46 venne assunto il geometra Paolo Valbonesi (che diverrà poi presidente della Provincia negli anni ‘50) e nel gennaio ‘49 venne destituito il capo ufficio tecnico (per aver chiesto un rimborso indebito di pasti consumati invece a casa propria). Fu sostituito dall’ingegnere Duilio Zuccherini: la disciplina e l’onestà erano fondamentali e rigorose. Era anche consuetudine il nominare piccole commissioni per risolvere problemi qualsiasi (indagini su fatti sociali, strategie, controllo cassa, attività sportive o culturali). Dopo il Secondo conflitto mondiale Forlì si presentava con circa 2.200 case inagibile o distrutte, anche diverse sedi di importanti aziende avevano gravi danni che dovevano essere ricostruite o sistemate».
Questa situazione, seppur drammatica, ha favorito anche una forte concorrenza nell’ambito edilizio?
«Ovviamente. Infatti nel 1949 il proliferare di tante piccole imprese artigianali causò forte concorrenza con segnali di crisi e necessità di procedere a turni di lavoro. Per contenere le spese i soci e i dipendenti della cooperativa iniziarono a dormire nelle baracche dei cantieri esterni e la cooperativa si dotò di alcune armi da fuoco (pistole) regolarmente denunciate ed assegnate ai capi dei cantieri più isolati. C’era ancora aria di guerra…! Nel 1950 si dimisero i capi ufficio tecnico, contabilità e i capi cantiere più qualificati, seguiti poi da un gruppo di soci, in prevalenza di fede politica repubblicana. Oltre la politica, vi erano dissidi per l’immissione di nuovi soci giovani sostenuto dalla maggioranza, mentre i dimissionari intendevano chiudersi e l’anno successivo confluirono nella nuova impresa “Ing. Zuccherini & C”. La necessità di liquidare i dimissionati assorbì le modeste riserve di liquidità, e qui la base sociale dimostrò la sua compattezza quando i singoli soci rinunciarono in tutto o in parte alle retribuzioni, chiedendo solo il minimo necessario alla sopravvivenze delle proprie famiglie. Non vi è notizia che qualcuno tentasse di sottrarsi a questo dovere morale e materiale. I crediti maturati dai soci nel periodo vennero poi liquidati quando i tempi lo permisero. Nello stesso periodo venne nominato capo ufficio tecnico il geometra Gino Righini e Capo contabile il dottor Sigfrido Sozzi (fratello di Gastone, ucciso nel ’28 nelle carceri fasciste a Perugia). Nel 1950 entrò il geometra Goffredo Sbaraglia (poi Direttore Tecnico e Presidente dal 1955 al 1960)».
Per affrontare la crisi e la concorrenza la cooperativa decise di investire e di differenziare un po’ l’attività. Puoi raccontare qualcosa in proposito?
«Nel magazzino di via Gramsci iniziò la vendita materiali edili a privati per recuperare liquidità. Nel 1952 venne acquistata la prima gru a torre (Fiorentini con braccio “a pappagallo”) di 16 m. e portata di 700 kg, dotata di traslazione su rotaie: a Forlì solo la Calvitti e la Benini possedevano gru a torre. Questa fu una grossa novità e motivo di orgoglio dei soci, specie verso i dimissionari che abbandonarono la cooperativa presagendole vita breve. Sempre nel 1952 la Coop. Edile Forlivese acquistò la cava di alberese di Civitella accogliendone gli addetti (minatori e scalpellini) fra i propri soci. La gestione era poco redditizia e nel ’58 un grave infortunio dovuto a leggerezza nell’uso dell’esplosivo (forse di origine militare) dove un socio perse una mano e un altro un occhio, portò alla cessazione dell’attività, che continuò però gestita in proprio da alcuni ex soci, mentre altri restarono in cooperativa occupati come edili».
In altri casi le difficoltà furono causate dall’acquisizione di lavori, come avvenne con l’appalto dell’Ente Maremma. Come si svolsero i fatti?
«In effetti nel 1954 l’Ente Maremma fece costruire case coloniche, in provincia di Pisa, con l’intento di bonificare l’ampia zona. Mancavano strade, acqua, energia elettrica. La cooperativa vinse l’appalto ma le condizioni erano impossibili. L’acqua non era idonea nemmeno per gli impasti di cemento. Gli operai dormivano in baracche, tornando a casa una volta al mese in treno. I lavori non furono portati a termine e vi fu una causa che si protrasse fino al 1960, dove la cooperativa ottenne un modesto risarcimento danni. Anche gli assegnatari abbandonarono presto i poderi per la poca redditività di quei terreni salmastri».
Queste difficoltà non distolsero però l’attenzione dei soci dalla necessità di continuare ad investire. In quale settore in particolare?
«Sempre nel 1954 iniziò la progettazione per la costruzione della fornace laterizi di Vecchiazzano da realizzare col sistema Hoffman, “a fuoco continuo”, a carbone (passato a olio pesante nel ’59). La fornace venne inaugurata il 10 maggio ’56. Nell’occasione Arrigo Boldrini (Partigiano Bulow) tenne un comizio molto partecipato. Nel 1956, la Società Marinella, dell’ingegner Eugenio Berardi di Milano, affidò alla cooperativa la costruzione del grattacielo di Milano Marittima (22 piani, altezza 82 metri) e subito dopo quello di Cesenatico. Per l’occasione si acquistò una gru (F-70, di m.22 portata 750 kg.) che fu utilizzata per la costruzione di entrambi i grattacieli. L’entusiasmo dei soci per questa notevole mole di lavoro venne smorzata dall’arrivo di un Ispettore del Ministero del Lavoro di Roma, che dopo una settimana di indagini fiscali indagini, compilò una lunga lista di irregolarità, alle quali si fece opposizione e che si risolse solo a fine ’58, con una lettera del Prefetto di Forlì che poneva un generico richiamo ad “un più attento controllo della gestione finanziaria”. Nel 1957 l’ingegner Gino Righini (poi dimesso dalla cooperativa nel ’58) iniziò un’attività immobiliare in proprio che durerà una decina d’anni, avvalendosi sempre di mano d’opera della cooperativa pagata ad ore. Con questo sistema edificò vari condomini a Forlì e Milano Marittima. Per la liquidazione dei tanti soci la cooperativa chiese un mutuo secondo la legge sul “Credito per la Cooperazione”. S’interessò la Lega Coop di Roma, ma la pratica, avviata nel ’55 si concluse solo nel ’57, dopo rilascio di ampie garanzie ipotecarie, anche personali, dei soci. Nel ’59 entrarono l’ingegnere Giancarlo Sacchetti (Direttore tecnico) ed il fratello Gianfranco, anche lui un ingegnere specializzato in calcoli strutturali».
A quando risale l’avvio della collaborazione fra Mario Maiolani e la Cooperativa?
«Nel 1960 iniziò la mia attività come professionista esterno in cooperativa, con incarichi a prestazione, poi a giornate, poi a periodi, e alla fine vi restai fisso per 34 anni. E curioso come all’epoca fossero occupati i geometri Marchini, Marzocchi, Maiolani e Monti (poi dimesso) oltre a Manetti come Tecnico della Fornace (tutti con la M iniziale). L’ufficio Tecnico, oltre agli ingegneri Sacchetti Giancarlo e Gianfranco, occupava anche i disegnatori e preventivisti Stenio Conti e Nicola Iannoni. Nel frattempo era stato nominato presidente, nell’aprile del 1960, Sergio Tassinari».
Negli anni Settanta ci fu un momento di grande difficoltà per la cooperativa. Che cosa ricorda di quel periodo?
«Nel 1970 si ebbe un gravissimo dissesto in un cantiere di Numana, che rischiò di trascinare la Edile Forlivese a seguito del fallimento di un Ente svizzero nella costruzione e gestione di un grande albergo. I soci si sottoposero di nuovo a trattenute sulle paghe ed in quel caso anche gli impiegati non soci, che godevano di trattamento paritario ai soci escluso solo il diritto di voto, si allinearono alla trattenuta. All’epoca una norma interna prevedeva che gli impiegati non fossero più del 4% degli operai, che all’epoca erano circa 200. Poi quattro anni dopo dall’unione della Coop. Edile Forlivese (attività edile) con la Coop. San Martino in Strada (lavori stradali) si costituì la Edilcoop Forlì, articolata in tre divisioni operative (con relativi direttori): edilizia (geom. Marzocchi), strade (geom. Aloisi), acquedotti e fognature (geom Sassi) ed un Centro Lavori (geom. Maiolani), per la gestione di maestranze ed attrezzature. Si istituì un Comitato Tecnico per l’analisi settimanale dell’andamento dei lavori e si avviò la produzione di solai prefabbricati e manufatti di cemento presso la fornace (reparto travetti). Occorre ricordare che negli anni ’70 vi fu un forte impegno a rendere meno costosa l’edilizia residenziale, anche per carenza di mano d’opera specializzata e nel ’74 l’Edilcoop si accordò con una ditta di Rimini per la messa in opera di edifici prefabbricati coi quali si costruirono cento alloggi per l’IACP di Bologna e vari asili in Romagna. Fu necessario un discreto investimento specie in autogru per la movimentazione dei pesanti manufatti prodotti dalla ditta di Rimini. Ricordo di aver seguito personalmente questi lavori. La scarsa disponibilità dell’utenza ad abitare in edifici standard tutti uguali, l’impossibilità di eseguire modifiche interne nemmeno agli impianti ed i rischi di condense interne agli alloggi, il tutto unito ad un modesto contenimento dei costi, portò all’abbandono dell’iniziativa. Nel 1985 la Edilcoop acquisì dalla Coop Reduci di Pievequinta il brevetto del COMPOSIT A.D. Si trattava di una tecnologia idonea per grandi coperture con strutture metalliche formate dai tubi convergenti su sfere a formare reticoli per coprire campi tennis, hangar o anche opere di prestigio. La tecnologia era stimolante ed io venni distolto dall’impegno al Centro Lavori e fui incaricato dell’utilizzo. Lo presentammo per alcuni anni al Saie di Bologna, dove destò interesse, ma era opera metalmeccanica che, inserita in impresa edile, non aveva elasticità per coprire tempi morti o impegni di punta. Dopo qualche anno questa iniziativa cessò. L’opera più prestigiosa realizzata fu la copertura del museo ferroviario a Pietrarsa di Napoli».
Anche l’impegno degli amministratori della cooperativa comportava un impegno totale. Ti risulta che ci siano stati diversi avvicendamenti?
«Infatti la pur buona volontà del presidente Tassinari cedette allo stressante impegno e vi fu un alternarsi di presidenti: il geometra Giancarlo Marzocchi nel ‘74, ma per non sottrarre un valido tecnico alla produzione, nel ’75 entrò Carlo Foschi, quindi nel 77 Toni Orlando e infine Angelo Caselli nell’84. La direzione contabile, già passata a Caselli nel ’68 con le dimissioni di Sozzi, venne assegnata a Gabriella Alpi, una ragioniera che nella ex Coop. San Martino in Strada ricopriva un pari incarico. Fu in quel periodo, all’inizio del 1972 che la cooperativa vinse l’appalto per la costruzione di un grande albergo ad Alghero. Fui inviato a seguire i lavori insieme ad un capocantiere. Nell’occasione venne assunta solo mano d’opera locale. Questi operai si costituirono in cooperativa, che continuò la sua opera con altri appalti, per cui la nostra presenza si protrasse per tutto il 1973 per essere poi sostituiti con altri tecnici da Forlì, ma l’iniziativa fallì in pochi anni. Nell’81 l’Edilcoop acquisì un brevetto per realizzare strutture edili prefabbricate denominato CAAB-SYSTEM, del quale si iniziò la produzione al reparto prefabbricati di Vecchiazzano. Si prefabbricavano pilastri e travi ai quali si univano i solai prefabbricati già in produzione al Reparto Travetti. I tamponamenti e le tramezzature restavano quelle tradizionali, Qui la progettazione poteva essere un po’ più libera, ma non vi fu quel riscontro di mercato ed economico che ci si attendeva».
Edilcoop si caratterizzò anche per vari impegni in campo benefico. Quale fu l’azione più importante che ricorda?
«Fin dalla costituzione la cooperativa ha sempre organizzato una gita gratuita per i soci, ma si era giunti al punto in cui tre pullman non bastavano più. Nell’85 il Consiglio decise allora di utilizzare la somma donando un’ambulanza alla Croce Rossa Italiana, sede di Forlì. Fui incaricato di ricercare il mezzo adatto e di farlo attrezzare. Ricordo che l’operazione comportò una spesa totale di circa ottanta milioni di lire fra l’acquisto di un Fiat Ducato e l’allestimento. La donazione ebbe una risonanza cittadina e trovò spazio sui mezzi di informazione dell’epoca. Destino volle che una notte la bella ambulanza nuova e moderna, andasse a fuoco perché parcheggiata di fianco ad altra vecchia ambulanza, una Citroen ID, che innescò l’incendio. E non se ne parlò mai più».
Siamo agli anni Novanta. L’Edilcoop subisce una modifica dell’assetto societario perché viene costituita la Cooperativa SIGLA. Oggi cosa pensi di quella decisione?
«Il 10 dicembre ’88, davanti al notaio Adalberto Mercatali, si costituì la la Coop. SIGLA, nata dall’unione della Edilcoop Forlì, CER di Rimini, Edarcoop di Bellaria e CEAS di S.Piero in Bagno. La Edilcoop aveva da poco assorbito la gloriosa coop. “Italia” di Modigliana, nata all’inizio del secolo. La sede principale venne stabilita a Rimini e altre sedi a Forlì e S.Piero in Bagno. Presidente Angelo Caselli e un budget previsto per l’89 di 230 miliardi. Sono andato in pensione nell’ottobre ’93 senza essere mai stato presente nel consiglio di amministrazione di Sigla, mentre lo sono stato per quindici anni consecutivi nella Edilcoop.
La nascita di Sigla meriterebbe un’analisi molto approfondita. Erano tempi che a Roma, presso i ministeri competenti, le grandi imprese si spartivano I lavori. Spesso senza tenere conto delle loro effettive capacità di lavoro. La necessità di ottenere appalti a livello nazionale portò alla costituzione di quello che doveva essere un forte polo della cooperazione della Romagna. Tutto finì poi con “tangentopoli”, anche se Sigla non ne restò coinvolta. Poi ci fu l’uscita per pensionamento dell’ing. Sacchetti e del rag. Caselli, che furono sostituiti da manager che avevano la nomea di essere dirigenti “famosi” ma non furono capaci di incidere nell’organizzazione aziendale che era diventata si grande ma aveva tre sedi nel raggio di trenta chilometri, sezioni distaccate in varie regioni, persone di esperienza sostituite da computer, aveva acquisito lavori all’estero senza avere la dovuta esperienza… Il tutto è finito nei primi anni 2000 come sappiamo con il fallimento di Sigla. Da notare che nel 1994 la coop. Sigla occupava 460 operai e 200 impiegati».