Da alcune settimane è in libreria il volume “Giorgina Saffi. Gentile mazziniana di ferro” di Flavia Bugani, Capire Edizioni, Forlì 2020. Il libro narra la forza, la saldezza dei valori, pur con le amarezze e le disillusioni, con cui la compagna di Aurelio Saffi affrontò la vita confermando una straordinaria nobiltà dell’animo e dell’agire. Di seguito si riporta la prefazione della pubblicazione, che è stata curata da Gabriele Zelli.
«La salutai finalmente, e le dissi “Tu devi essere mia”. Parlavo poco il portoghese, ed articolai le proterve parole in italiano. Comunque, io fui magnetico nella mia insolenza».
Lʼamore più famoso del Risorgimento, almeno nella ricostruzione dellʼinteressato, cioè Giuseppe Garibaldi, comincia senza incertezze su chi dei due ne sia il vero protagonista, mentre Anita, incidentalmente già sposata, non apre bocca e resta confinata in un ruolo secondario. Giudizio supportato anche dalla lettura delle centinaia di pagine che raccolgono le “memorie”, tra le quali Garibaldi ne riserva ad Anita una decina, comprese quelle toccanti, ma un poco sbrigative, della fuga da Roma con lei incinta e malata («carissimo e ben doloroso impiccio») e della sua morte.
Garibaldi subiva il fascino della donna combattente: nelle sue truppe furono sempre presenti ragazze scappate da casa, travestite da uomo e pronte a immergersi nella battaglia, come fece la ventenne umbra Colomba Antonietti che combatté a fianco del giovane marito ufficiale, finché non fu colpita da una palla di cannone che le spezzò la schiena mentre difendeva Roma dalle truppe francesi. Erano, comunque, eccezioni che la storiografia ufficiale ignorò, oppure relegò in stereotipi tutto sommato rassicuranti.
Si poteva anche assurgere a una qualche notorietà come mogli di patrioti: così fu per Teresa Casati (1787‒1830) che si consumò nellʼangoscia dopo essere riuscita, nel 1824, a convincere lʼimperatore austriaco a commutare nel carcere a vita (pena da scontare allo Spielberg) la condanna a morte del marito Federico Confalonieri, che era accusato di lesa maestà nei confronti dellʼAustria. Teresa svolse un ruolo veramente rivoluzionario per lʼepoca, in particolare quando si impose di raccogliere fondi per creare nuove scuole che si ispirassero a innovativi metodi pedagogici e disposte ad accogliere anche adolescenti delle classi meno agiate o povere.
Nella storiografia ufficiale un ruolo di rilievo lo occupano le madri degli eroi, ruolo incarnato perfettamente da Adelaide Cairoli, che perse in guerra quattro dei suoi cinque figli maschi, senza mai smettere di incitarli allʼamor di patria.
Negli scritti di Giuseppe Mazzini lʼunica donna citata tra le relazioni personali è la madre, nonostante egli per tutta la vita sia stato uno scapolo assai interessante, circondato da amiche, amanti e alleate devotissime, come Giulietta Sidoli che per seguirlo venne privata del diritto di vedere i figli e fu più volte arrestata. Marina Mazzini Drago faceva già sorridere i contemporanei per la sfrenata ammirazione che riservava a qualunque prestazione dellʼunico figlio maschio, dai voti di scuola fino alla prima attività politica, senza escludere incursioni nella sua vita sentimentale: era lei, per esempio, che teneva la corrispondenza con un nutrito gruppo di amiche inglesi.
Lʼaspetto pubblico e quello privato trovarono di fatto un punto di contatto: la nuova nazione doveva in qualche modo assomigliare a una famiglia. Certamente non poteva essere la rigida famiglia aristocratica, incardinata sui rapporti di potere, ma la famiglia degli affetti borghesi fondata sullʼattaccamento e lʼaiuto reciproco.
In questa atmosfera nacque una principessa che dimostrerà di essere alquanto vulcanica: Cristina Trivulzio di Belgioioso, la quale si fece confiscare il patrimonio per motivi politici e poi fuggì a Parigi dove per un poʼ si mantenne lavorando. Fondò giornali e ospedali e, trovandosi a Napoli durante la rivolta milanese del 1848, organizzò in pochi giorni un piccolo esercito di volontari per correre in sostegno della città natale. Pur avendo lasciato il marito le riuscì di far riconoscere una figlia, avuta fuori dal matrimonio, agli stessi principi di Belgioioso, sulla base di un non meglio precisato avvicinamento con lʼex coniuge. Con quella figlia adolescente andò a vivere in una grande tenuta che aveva acquistato in Turchia, da dove rientrò per farsi curare le ferite che le aveva procurato un servitore accoltellandola.
Sicuramente queste erano donne troppo diverse dalle altre per diventare dei modelli, anzi spesso destavano scandalo, come Enrichetta De Lorenzi che, nel 1847 a ventisette anni, piantò marito e tre figli per fuggire insieme a Carlo Pisacane, con due pistole pronte per il suicidio di entrambi nel caso li avessero arrestati. I due condivisero un decennio di vita sempre in movimento e di progetti rivoluzionari che spesso lei valutava più lucidamente di lui; si oppose infatti con tutti i mezzi, senza riuscirci (riuscì solo a farla rimandare), alla spedizione di Sapri, una delle più avventate del Risorgimento, dove Pisacane trovò la morte inutilmente insieme ad altre decine di patrioti. Enrichetta seguì Pisacane in giro per lʼEuropa, allevò la figlia nata nel frattempo e tempestò di lettere la madre, che a lungo non le rispose. Non voleva chiedere perdono, ma voleva rivedere i figli e spiegava alla madre che il matrimonio senza amore è “una prostituzione” alla quale una donna ha il dovere morale di sottrarsi.
A tale proposito scriveva chiaramente: «Signora madre, voi direte che io sono stata felice per nove anni ed invece io vi dirò che sono stata unʼinsulsa ragazza inesperta per nove anni, le mie facoltà intellettuali non erano sviluppate allorché mi sposai, né potettero svilupparsi con la vicinanza di un tal uomo. In materia fisica, poi, io posso giurare davanti Iddio, che ho creduto per lo spazio di nove anni che la donna era nata pel piacere dellʼuomo, e chʼessa non doveva sentire che indifferenza o disgusto».
Naturalmente appena i parenti poterono mettere le mani sullʼepistolario, dopo la morte della figlia di Pisacane, quasi tutte le lettere sparirono.
Il resto della variegata vita femminile di quel secolo è sepolta nella polvere degli archivi, dove gli storici (più spesso le storiche) trovano testimonianze con pazienza certosina, perché tutti i carteggi conservati sono intitolati a uomini ai quali le donne potevano tuttʼal più rispondere. Le donne stesse tendevano a conservare religiosamente le lettere maschili che ricevevano, ma raramente le proprie.
Ecco perché è importante questo volume dedicato a Giorgina Craufurd (1827‒1911), moglie del triumviro della Repubblica Romana Aurelio Saffi.
Flavia Bugani, con un prezioso lavoro di ricerca, ne ripercorre il ruolo avuto nellʼambito della vita sociale del tempo. Si deve allʼautrice unʼattenzione particolare nei confronti di Giorgina, fin da tempi non sospetti, avendo individuato in lei un personaggio capace di coadiuvare alla pari le attività politiche e amministrative del marito, ma che soprattutto si seppe ergere paladina della condizione femminile a favore dellʼemancipazione che doveva passare necessariamente attraverso il lavoro, tanto che si assistette in quel periodo a una costante moltiplicazione delle attività commerciali gestite da donne, allʼaumento delle maestre, delle infermiere, delle impiegate, delle modiste. Tutti soggetti senza nome nei libri di storia ma capaci di cambiare lentamente il volto sociale e produttivo delle tante città italiane.
Giorgina è considerata una sorta di donna eletta che ha saputo aggiungere valore al nome illustre del coniuge e una donna di grande fascino, un fascino che, secondo le cronache, sapeva esercitare su tutti pur rimanendo sempre fedele al marito. Rifiutava ogni sorta di vita mondana; ne sono conferma le sue ultime volontà, nelle quali affermò di essere vissuta nel silenzio e che nel silenzio intendeva scomparire.
Grazie ai legami della sua famiglia con gli esponenti del mondo liberale e democratico, Giorgina restò presto affascinata dal mondo della cospirazione. Si narra che già da piccola, con la sorella Kate, giocasse con questi personaggi che, quando perdevano al gioco delle carte, pagavano pegno scrivendole poesie. È in questo contesto che assume rilevanza un episodio che la stessa Giorgina racconta: da piccola vide entrare nel salotto della mamma una donna tutta coperta, vestita di nero; non le fu consentito di ascoltare i loro discorsi, così di nascosto decise di entrare nel salotto per origliare. Quella donna misteriosa era Giuditta Sidoli e stava raccontando delle difficili condizioni in cui si trovavano i democratici italiani; la piccola Giorgina iniziò a piangere, commossa a quel racconto. Da quel momento in poi i genitori le permisero di ascoltare tutti i loro discorsi; fu resa perciò partecipe dei movimenti politici che stavano emergendo e sostenne che «da quel giorno ho sentito dʼesser donna e mi sentii una congiurata italiana».
Quando la famiglia di Giorgina fece rientro a Londra ospitò diversi esuli italiani, tra cui Mazzini con il quale si instaurò un fortissimo legame, tanto che lo stesso Mazzini la definì una sorella e le affidò incarichi importanti.
Fu a Londra che Giorgina, nel 1851, conobbe Aurelio. Il loro amore nacque quasi subito ma non fu privo di difficoltà, tanto che, a causa del padre di lei che a lungo rifiutò di darla in sposa ad Aurelio, dovettero tenere nascosto il loro legame. I due fidanzati non si arresero, avevano un metodo per scriversi e sentirsi vicini: entrambi amanti di Dante, possedevano una copia identica della Divina Commedia sulla quale avevano segnato alcuni versi con dei nastrini colorati ed erano soliti mettersi dʼaccordo per leggere quei versi, anche a distanza, alla stessa ora del giorno.
Per capire come il loro rapporto fosse solido è sufficiente ricordare le ultime parole di Aurelio rivolte alla moglie: «La morte non potrebbe che stringere più intimamente tra noi gli anelli di quella catena che congiunge le nostre anime in Dio».
Con questo libro Flavia Bugani ci restituisce, oltre che tutte queste emozioni, la figura di una donna ingiustamente sottovalutata, se non del tutto sconosciuta.