10 marzo 2020, Lucio Gambi avrebbe compiuto cento anni. Ma chi era Lucio Gambi? Un intellettuale romagnolo rigoroso e raffinato, presidente dell’IBC nella sua fase aurorale, rinnovatore degli studi geografici in Italia. Aveva insegnato a Milano, poi a Bologna; viveva a Firenze. Nel 1973 aveva pubblicato quello che è stato il suo volume più fortunato, “Una geografia per la storia”, uscito presso Einaudi. L’anno dopo, nella stessa collana, Andrea Emiliani dava alle stampe “Una politica dei beni culturali”.
Per entrambi valeva l’aggettivo “illuminista”: nel caso del primo, perché l’indagine antropica, paesaggistica, sociale e culturale che doveva affiancare quella fisica e topografica, era la premessa necessaria a qualsiasi attività di governo del territorio; nel caso del secondo, perché il patrimonio italiano non era letto più solo come un enorme forziere di capolavori, ma come un’eredità da salvaguardare ed amministrare in nome delle generazioni future. Entrambi, Lucio e Andrea, erano figli della più fortunata temperie della Repubblica, quando era sembrato possibile fondare davvero una nazione moderna, civile e democratica.
Lucio aveva aggiunto a questa convinzione la tenacia e l’intransigenza dell’azionismo, il movimento cui aveva aderito durante la Resistenza. Portò queste sue idee dentro l’IBC, delineando un progetto che non ebbe molta fortuna, ma che resta un manifesto per chiunque, a Bologna o altrove, abbia voglia d’impostare la politica del paesaggio come il frutto di una grande opera di conoscenza, di formazione, di responsabilità collettive. Un compito che sentiamo ancora nostro.