Una vittima illustre dell’epidemia: la percezione nazionale del tempo

coronavirus

La pandemia, fra le tante vittime fisiche, ne ha fatta una immateriale: la percezione del tempo elaborata da ciascuna comunità nazionale. Tutti si sono comportati come se il tempo scorresse ad una velocità diversa da quella dei paesi vicini (o lontani). Gl’incredibili ritardi nella reazione delle autorità delle nazioni meglio organizzate di fronte al diffondersi del virus non sono da attribuirsi solo a incapacità politiche: sono anche il frutto (secondo me soprattutto) di un modo di ragionare che immagina le vicende domestiche scandite da temporalità proprie, peculiari.

Non si tratta delle improbabili chiusure ermetiche delle frontiere – riflessi autarchici addirittura medievali – ma proprio del tempo di “presa in carico” dell’imponderabile. Eppure analisti, scienziati, statistici non mancano: a mancare, all’inizio (oggi forse non più) è stata la consapevolezza della sfida portata alla specie, rubricata in termini di sfida portata alla nazione. La nazione è stata mobilitata per reagire collettivamente (vedi esposizioni di bandiere e inni nazionali, non solo in Italia): ma ciò solo perché, come esseri viventi, siamo privi dell’unico patriottismo che in casi come questi avrebbe senso. Quello dell’Umanità.

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