In un testo precedente è stato messo in risalto lo straordinario successo che il gioco della palla al bracciale cominciò ad ottenere verso la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento, tanto da dover emanare regolamenti sempre più precisi per evitare “disdicevoli litigi” fra i tanti tifosi che accorrevano a vedere le partite. La passione dei giovani per questa disciplina sportiva fu tale che spinse la civica amministrazione a costruire un nuovo sferisterio, inaugurato ufficialmente nel 1824. Anche letterati e poeti iniziarono ad esaltare i protagonisti di questo sport facendolo diventare un fenomeno di massa al pari del calcio dei nostri giorni.
Poeti e letterati affascinati dal gioco della palla al bracciale
Importanti testimonianze indicano il vastissimo seguito che ebbe questo sport. Il poeta e drammaturgo tedesco Wolfgang Goethe (1749-1832) ha scritto di aver assistito nel 1786 a Verona ad una partita in compagnia di altri quattro-cinquemila spettatori. L’autore del romanzo “Cuore”, Edmondo De Amicis (1846-1908) racconta che lo stesso numero di presenze si registrarono presso lo sferisterio di Bologna verso la fine dell’Ottocento. Mentre il giornalista Ugo Pesci (1846-1908), in una cronaca sempre di metà Ottocento, scrive che l’arena del pallone fuori della porta a Pinti a Firenze “non bastava a contenere i numerosissimi spettatori, e molti dovevano restar fuori dallo steccato ad aspettare le notizie della partita ed i palloni sbagliati“. Nel capoluogo toscano il richiamo di questa disciplina sportiva era così forte che nel 1895, in una città di circa 200.000 abitanti, funzionavano contemporaneamente due sferisteri, quello “Caroti” alla porta alla Croce e quello delle “Cascine” fuori porta al Prato, frequentati quotidianamente dalla primavera alla fine dell’estate da qualche migliaio di appassionati.
“A un vincitore nel gioco del pallone” è invece il titolo della “canzone” di Giacomo Leopardi (1798-1837) in cinque strofe dedicata nel 1821 a Carlo Didimi, nato a Treia nel 1798 e già allora grande campione. Didimi aveva la stessa età di Leopardi ed è evidente fin dalla prima strofa l’ammirazione che il poeta recanatese nutriva per il “garzon bennato” di Treia, nella cui “sudata virtude” vedeva un incitamento per la patria a rinnovarsi.
La costruzione dello sferisterio di Forlì
Il gioco, inizialmente praticato nei cortili dei palazzi, venne poi portato all’esterno e le aree generalmente usate furono gli slarghi delle vie e le piazze. La necessità di disporre di un muro d’appoggio laterale vide negli spazi ricavati a ridosso delle mura cittadine o castellane le sedi più adatte. Come avvenne a Forlì con la costruzione del nuovo sferisterio appena fuori Porta Cotogni sulla destra, come stabilito dal Consiglio Generale della Città nella seduta del 9 ottobre 1823 per “aderire alle istanze della Gioventù Forlivese, bramosa oltre modo di averlo, onde esercitarsi in quel ginnico gioco“. L’impianto fu realizzato su progetto dell’ingegner Giacomo Santarelli (1786-1859), addirittura grazie al denaro offerto spontaneamente dai forlivesi. L’inaugurazione avvenne il 30 maggio 1824, una domenica.
Ettore Casadei, autore della guida “La città di Forlì e i suoi dintorni” edita nel 1928, scrive: “Sulla pista del nostro sferisterio, uno dei più vasti d’Italia, misurando il campo di gioco m. 99 di lunghezza e 12 di larghezza, tutti i migliori campioni hanno gareggiato per forza, per destrezza e abilità. Infatti sul muro di rimessa, dopo la volata di Didimi, che nessuno poté ancora raggiungere, si ammirano i ricordi di quelle di Luigi Bianchini nel 1858, di Menesio Fabroni del 1858 ancora, di Giulio Mazzoni nel 1896, di Vittorio Monteverde nel 1920, e la lapide che reca il nome di Enrico Collina, il quale il 20 luglio (in realtà due giorni prima ndr) dell’anno 1924 – cioè a 100 anni di distanza – con maestosa parabola, con superba volata lanciava il pallone sul muro a pochi centimetri del record Didimiano“.
Casadei fa riferimento alle lapidi che venivano collocate in occasione di lanci da record come quello di Carlo Didimi (Treia 1798-1877), il giocatore cantato da Giacomo Leopardi, che qualche settimana dopo l’inaugurazione dell’impianto lanciò la palla talmente lontano che il primato non fu mai battuto. Solo Enrico Collina riuscì ad eguagliarlo. Nell’occasione la folla presente osannò quest’ultimo a lungo e gli furono offerte ben tre medaglie d’oro: una dalla cittadinanza, una dal tenore Angelo Masini, una dal conte Matteucci.
Palla al bracciale, lo sport simbolo di Forlì
Questi episodi rafforzavano ogni giorno di più il legame fra il pubblico forlivese e questa disciplina sportiva, un attaccamento così forte che tra le statue del Foro Italico a Roma, realizzato nel 1932, la Provincia di Forlì è rappresentata proprio dal giocatore del pallone col bracciale: il pilibulus scolpito da Bernardino Boifava (1888 – 1953).
Nel prossimo articolo si parlerà più diffusamente della figura di Carlo Didimi e dei suoi rapporti con Forlì.
Gabriele Zelli