Fino agli anni ’30 del secolo scorso il gioco della palla al bracciale era seguitissimo a Forlì e in gran parte d’Italia. I campioni capaci di stabilire record erano osannati e pagati abbondantemente. Nei libri di storia e sui siti dedicati si ricorda lo straordinario lancio della palla di Carlo Didimi allo sferisterio di Forlì. In diversi casi vengono indicate date sbagliate; quella giusta è il 18 luglio 1824.
Qui arrivò Didimi – Lì 18 luglio 1824
Dai preziosi documenti conservati all’Archivio di Stato, che lo studioso Agostino Bernucci mi ha fornito, sappiamo che il 20 luglio 1824, due giorni dopo l’impresa di Didimi, fu inviata una lettera al deputato del gioco del pallone firmata da Pier Paolo Ugolini, Nicolò Corbizzi e da un terzo forlivese dalla firma indecifrabile con la quale si propone di ricordare il grande gesto atletico con un epigrafe all’altezza del punto in cui era arrivata la palla lanciata dal campione.
Questo il passaggio saliente della missiva: “Vari ammiratori della Destrezza e Bravura del Sig. Didimi, amerebbero collocare in Lui memoria una lapide nella mura urbana portante l’iscrizione qui sottoposta: Qui arrivò Didimi – Lì 18 luglio 1824”. Bisogna ammettere che la dicitura che intendevano incidere era un capolavoro di semplicità e nello stesso tempo potente perché oltre a segnare la conclusione della traiettoria della sfera richiama la frase “Veni, vidi, vici” (Venni, vidi, vinsi) con la quale, secondo la tradizione, Gaio Giulio Cesare annunciò la straordinaria vittoria riportata il 2 agosto del 47 a.C. contro l’esercito di Farnace II del Ponto a Zela, nel Ponto in Anatolia.
Alla petizione fu data risposta immediata. Il giorno successivo, 21 luglio 1824, la Deputazione delle attività dello sferisterio comunicò ai proponenti che quanto proposto “in lode della Bravura per la Battuta sorprendente” era stato preso in considerazione. Poi aggiunse: “Tuttavia fattosi riflesso che durante le giuocate che avranno luogo successivamente nella corrente stagione, lo stesso Didimi, non ché altri Forestieri che si porteranno in questa Piazza a giuocare, possino sorpassare la linea che al presente ha toccato il citato Didimi, così la Deputazione ha deciso di encomiare con officio la Lettera” e di aspettare l’ultimazione della stagione sportiva. Della effettiva collocazione della lapide lo si può desumere da quanto scrive Ettore Casadei, come già riportato nell’articolo precedente.
Il campione più grande
Carlo Didimi nacque a Treia dal conte Francesco e da Pasqualina Ercolani. Praticò atletica sin da piccolo, nel gioco del pallone col bracciale ebbe il ruolo di battitore.
Divenne popolarissimo tanto da essere considerato il più grande giocatore italiano di ogni tempo in questa specialità. Essendo entrato nel mito, circolavano su di lui diversi aneddoti. In uno di essi, mentre giocava nello Sferisterio di Macerata, Didimi sarebbe riuscito, con una delle sue potenti battute, a lanciare la palla da un’estremità dell’arena facendola ricadere all’esterno, nell’attuale piazza Nazario Sauro. In un altro, mentre dava prova in incognito delle sue doti di giocatore tra la folla che assisteva a una partita a Forlì, fu apostrofato da uno spettatore con queste parole “O sei il diavolo o sei Carlo Didimi!”.
Percepiva compensi che possono essere paragonati a quelli dei campioni del calcio, dell’automobilismo, del motociclismo dei nostri giorni. Sappiamo che Didimi chiese, per giocare allo Sferisterio di Macerata nel 1830, l’enorme cifra di 600 scudi romani (circa 150 mila euro di oggi). Tali remunerazioni consentivano ai fuoriclasse come Didimi di vivere più che agiatamente, considerato che un maestro elementare, ad esempio, dello Stato Pontificio percepiva dai 25 ai 60 scudi all’anno!
Carlo Didimi patriota
Sul sito “Corriere Proposte” si evidenza che “Carlo Didimi non fu solo un osannato giocatore di pallone, fu anche un ardente patriota, abbracciando, come molti giovani della sua generazione la causa nazionale. I viaggi che compiva per recarsi a giocare nelle varie città gli consentirono di prendere contatti con ambienti carbonari e mazziniani. Nel 1831 si compromise aderendo ai moti rivoluzionari della Romagna e recandosi volontario con il fratello e altri treiesi a combattere in Umbria contro l’esercito pontificio. Un rapporto di polizia lo definiva “fanatico fautore e partigiano dei liberali”. Negli anni successivi fu guardato dalla polizia pontificia con estremo sospetto, tanto da essere denunciato nel 1839 a Tolentino per attività rivoluzionarie. All’avvento di Pio IX (1846) l’amnistia concessa dal nuovo pontefice ai liberali gli consentì di svolgere anche ruoli di amministrazione nella sua città fino al ’49. Didimi poté assistere al compimento dell’Unità nazionale vivendo fino al 1877, quando si spense a Treia (Macerata).
Nel prossimo articolo si parlerà dell’entusiasmo del pubblico forlivese e di una discussione animata sull’andamento di una gara finita con un’uccisione.
Gabriele Zelli