Concludo con questo quarto testo il resoconto, sicuramente incompleto, sull’importanza che ha avuto il gioco della palla al bracciale a Forlì. Nel frattempo, infatti, mi sono pervenute ulteriori informazioni su questo sport e il forte legame con la città, oltre a copie di nuovi documenti conservati all’Archivio di Stato che mi ha trasmesso lo studioso Agostino Bernucci. Sicuramente ritornerò sull’argomento in futuro. Oggi ricordo la straordinaria partecipazione di spettatori alle partite e le dispute, a volte anche violente, che seguivano.
L’entusiasmo del pubblico per i bravi giocatori
Su “Il Pensiero Romagnolo” del 20 luglio 1913 nell’articolo dal titolo “Le sfide del gioco del pallone” viene messo in evidenza come: “Continua sempre l’entusiasmo del pubblico per i bravi giocatori che agiscono nel nostro sferisterio e molti applausi toccano al re dei terzini, Ugo Amati, ai fortissimi Macrelli, Ciappetti ed ai valenti Moroni, Gay e Donati. Poiché pare tramontata per sempre la speranza di vedere l’incontro fra la terziglia vincitrice di Bologna e i nostri, causa pretese esagerate dell’impresario Sarti, la brava compagnia ci ha dato ieri sera l’addio, dopo essere rimasta fra noi oltre 20 giorni, destando vero entusiasmo. Andrà a Bagnacavallo e poi a Faenza. In Agosto tornerà fra noi”.
Da quanto riporta il cronista abbiamo la conferma che l’attività professionale di questa disciplina atletica, specialmente durante l’Ottocento e la prima metà del secolo scorso, fu organizzata da imprenditori capaci e appassionati che ingaggiavano gli atleti come fossero attori. Praticamente diverse squadre dipendevano da una stessa società gestita da un’impresa che retribuiva i giocatori e programmava i loro tornei. Il titolare, o impresario, organizzava tornei nei quali si fronteggiavano le sue squadre concedendo poi un premio vittoria in denaro alla compagine vincente. Con questo sistema, varie imprese allestirono tornei in molte nazioni, tra le quali Francia, Regno Unito, USA, Argentina, Egitto.
Causa un diverbio si verificò un omicidio
Queste sfide, come detto, attiravano miglia di spettatori, che dal 21 maggio 1893 furono posti nelle condizioni di poter praticare scommesse con lo stesso meccanismo dei totalizzatori, già utilizzati nell’ippica, con tutte le conseguenze del caso.
Lo scontro fra campioni destava grande entusiasmo e una forte passione che in alcuni casi si trasformò in violenza, addirittura al di fuori del momento agonistico, come avvenne il 26 luglio 1791. Pellegrino Baccarini nelle “Croniche Forlivesi” scrive che in quella data: “Fu ucciso certo Andrea Pettini soprannominato Andreone della Brusa per il vicolo del Farabottolo mediante tredici ferite ricevute da certi Francesco Gordini, Sante Bassetti, ed Innocenzo Montanari forlivesi, per causa di un diverbio avvenuto tra di loro sul gioco della palla”.
La palla al bracciale oggi
Nel XX secolo l’affermarsi di nuovi sport e nuove mode relegarono la Palla al Bracciale ad un ruolo marginale. I terreni degli sferisteri iniziarono ad accogliere le partite di calcio portando pian piano alla definitiva scomparsa del gioco che per più di quattro secoli aveva entusiasmato la folla.
Lo sferisterio di Forlì fu demolito negli anni ’30 del secolo scorso. Al suo posto è sorto un parcheggio che almeno conserva la denominazione Piazzetta Sferisterio.
Nel 1992, grazie ad alcuni appassionati e alla sensibilità dei Comuni di Mondolfo, di Treia e di Monte San Savino, si è costituito il Comitato Nazionale del Gioco del Pallone col Bracciale, con lo scopo di promuovere il recupero storico e culturale di questo sport attraverso mostre, convegni e pubblicazioni e di propagandarne l’aspetto agonistico mediante l’organizzazione di partite dimostrative, di tornei e di un campionato nazionale. Attualmente sono cinque le regioni che partecipano al campionato nazionale: Marche, Emilia-Romagna, Toscana, Piemonte e Liguria.
Nel corso degli ultimi decenni le attenzioni degli sportivi forlivesi si sono concentrate soprattutto sul basket. La squadra locale può contare su un campo gioco come il PalaGalassi, ancora oggi, dopo 32 anni dall’inaugurazione, uno dei più prestigiosi impianti sportivi d’Italia, in analogia a quanto avvenne nel 1824 quando fu costruito uno dei più grandi sferisteri esistenti nei vari stati in cui era diviso il nostro paese. Quella della costruzione del Palafiera, così fu chiamato all’inizio la struttura di via Punta di Ferro, è un’altra storia che merita di essere raccontata. Personalmente seguii i lavori dalla metà del 1985, quando fui nominato assessore allo Cultura e allo Sport, fino al completamento avvenuto nel 1988 quando il sindaco Giorgio Zanniboni (1935-2011) mi attribuì le deleghe all’Edilizia pubblica perché, come disse testualmente, nell’altro assessorato “Ti diverti troppo” e lui aveva bisogno di collaboratori per risolvere problemi più complessi ed ostici. Ma questa è proprio un’altra vicenda.
Gabriele Zelli