Prosegue l’itinerario storico in previsione del 2 giugno essendo la Festa della Repubblica ormai imminente. Nel precedente articolo si è iniziato a raccontare quanto avvenne durante il passaggio del fronte a San Varano e con questo fornisco le ulteriori informazioni che sono riuscito a trovare spulciando diverse pubblicazioni. Anche in questo caso sarà comprensibile come anche in una piccola frazione la distruzione e la morte furono le uniche protagoniste per diversi giorni. Poi per ricostruire ci volle tanta forza di volontà perché mancava tutto, o quasi.
La liberazione di Castrocaro da parte della Divisione polacca Kresova
Nella mattinata di sabato 11 novembre le prime pattuglie del Reggimento “Lupi” della Divisione polacca Kresova, provenienti da Sadurano, entrarono a Castrocaro. Alle 13 truppe inglesi della 138° Brigata di fanteria britannica liberarono Terra del Sole entrando da Porta Fiorentina. In seguito ai continui attacchi polacchi nella zona il II/576° della 305° Divisione fanteria subì perdite rilevantissime, tanto da dover essere tolto dal fronte, anche perché composto per lo più da giovani rimpiazzi in uno stato pietoso, allo stremo delle forze per aver combattuto senza tregua, e venne sostituito dal 305° Battaglione fucilieri.
A proposito di questi avvenimenti il colonnello tedesco della 305° Divisione granatieri del 576° Reggimento, Von Seeler, scrisse: “Il 10 novembre la 305° Divisione era premuta dal Corpo polacco quasi per intero. La 715° Divisione s’era allargata verso est nella Valle del Lamone, presso San Cassiano, ed il 578° Reggimento granatieri si trovava già sulle alture ad est del fiume. Così il fronte formava un arco piatto a Modigliana ed il 305° Reggimento artiglieria poteva raggruppare ai suoi ordini i suoi Gruppi e formare i punti di fuoco. Tuttavia, la fanteria aveva ancora una lunghezza di schieramento per battaglione di 5 km e le truppe indebolite non potevano esercitare per più giorni una difesa contro potenti forze. Così, l’11 novembre, quando i polacchi, con forte appoggio d’artiglieria ed attacco aereo avanzarono, ottennero una profonda breccia nel 576° Reggimento granatieri ed una rilevante pressione sull’ala destra della 26° Divisione corazzata (tedesca), del pari attaccata”.
Domenica 12 novembre la 5° Divisione polacca superò il Montone a Pieve Salutare, tra Castrocaro e Dovadola, e si attestò in località Bagnolo. I Lincolns della 138° Brigata guadarono il fiume a Terra del Sole, mentre a San Varano la 4° Hampshires si scontrò contro la 26° Panzer Divisione.
Nel frattempo il Battaglione York and Lancaster occupò il castello di Monte Poggiolo catturando il comandante della 5° Compagnia del 39° Reggimento della 20° Divisione Luftwaffe tedesca con un mappa della linea “Gerhild” (Linea Montone – Cosina). La 46° Divisione britannica occupò San Varano.
La distruzione della chiesa e della canonica di San Varano
Anche Giuseppina Fabbri nel libro “San Varano”, appena pubblicato dalla Cooperativa Almanacco Editore, dedica un importante capitolo ai quattro giorni di battaglia, dal 9 al 13 novembre 1944, che si svolsero in zona fra truppe tedesche in ritirata e soldati alleati. In tutta San Varano ci furono lutti e rovine. Attingendo dalle cronache parrocchiali l’autrice riporta i fatti salienti di quelle drammatiche ore.
Scrive Giuseppina Fabbri che nei giorni precedenti e in particolare: “Il 5 novembre, le schegge di una granata caduta sul selciato all’entrata di Cà d’ Casalen (o Marculén) fecero strage di cinque civili, di cui due in tenerissima età: un bimbo di appena un anno insieme alla sorella che lo aveva in braccio, e una bambina di tre anni, a cui il padre stava tenendo una mano sul capo. Il 7 novembre fu bombardato il Quattro, non ci furono morti, ma l’incubo della giornata terminò con case danneggiate e inagibili. Il giorno 9 Forlì era ormai liberata, ma gli alleati dovevano continuare la marcia verso Faenza. Non potendo attraversare il ponte di Schiavonia, che i tedeschi in ritirata avevano fatto saltare, stabilirono una testa di ponte sul fiume Montone proprio nella zona di San Varano. I tedeschi fin dal mattino avevano schierato attorno alla chiesa un carro armato e delle mitragliatrici e con tenacia si apprestavano alla difesa. Avevano nel campanile un buon osservatorio e in sacrestia la centrale telefonica per dirigere le operazioni. Ma già dopo poche ore gli alleati avevano individuato le postazioni tedesche e concentrarono il fuoco dell’artiglieria sulla chiesa, mentre nella bassa del fiume, sulle due opposte sponde, crepitava senza interruzione la mitraglia. I primi a crollare furono i muri della canonica e della casa colonica, mentre nel cortile cominciava a divampare un incendio, che in due giorni distrusse capanne, pagliai ed attrezzi vari. Quando intervennero anche i cacciabombardieri alleati, le bombe sganciate non centrarono l’obbiettivo, ma nei muri della chiesa si formarono vistose crepe.
“Il vecchio parroco, il cappellano ed altre persone avevano cercato rifugio sotto il nuovo campanile, e lì vissero interamente il dramma della progressiva distruzione del complesso religioso”, continua l’autrice. “I tedeschi intanto si erano ritirati nel palazzo Torelli-Guarini di fronte alla chiesa, ma lo scoppio delle granate e i bombardamenti continuavano con violenza. La sera alcuni sfollati scapparono da sotto il campanile per cercare anch’essi un rifugio migliore nella cantina di palazzo Torelli; la notte fu terribile ed il giorno 10 ancora peggiore. Solo don Michele Alessandrini, un suo pronipote e don Mario Pilotti restarono coraggiosamente sotto il campanile, che però cominciava a far dubitare della sua solidità. Cadevano pietre sul capo dei rifugiati, mentre il soffitto della chiesa era completamente crollato ed i cacciabombardieri continuavano a martellare la zona, ma sempre senza colpire in pieno la chiesa. Fu distrutto il tempietto di San Valeriano e negli edifici vicini (Cà ad Bajoc e la bùtega) fu ridotto in macerie il primo piano.
Giuseppina Fabbri si è avvalsa per ricostruire i fatti della testimonianza lasciata da don Mario Pilotti che alla data dell’11 novembre 1944 annota: “Era tutto devastato. Non ci sentimmo più di restare sotto il campanile, ultimi scappammo anche noi tre, pigliando sulle nostre braccia il vecchio parroco infermo e riuscimmo illesi a rifugiarci nella cantina della casa vicina, dove trovammo molti tedeschi e oltre settanta civili, tutti delle famiglie del vicinato, amici di sventura e premurosi oltre ogni dire verso di noi preti”. Nei due giorni successivi altre bombe e granate quasi completarono l’opera di distruzione: fu risparmiato solo il campanile che, seppure danneggiato dal lato del fiume, resse al tiro al bersaglio di cui era oggetto. E mentre scrive queste righe di cronaca, alla penna di don Mario sfugge un appellativo: chiama “invasori” quei soldati che sempre prima e poi chiamerà alleati. Forse altro nome non riesce a trovare per gli artiglieri inglesi che gli confesseranno di essersi “divertiti a fare bersaglio dei loro obici il campanile”.
“La mattina del 13 novembre fu la liberazione” annota Giuseppina Fabbri, “i tedeschi si erano ritirati e le truppe alleate presero possesso di San Varano. L’incubo delle bombe era finito, ma ben angoscioso spettacolo si presentò agli occhi dei rifugiati quando, usciti dalla cantina, cercarono ansiosi la chiesa e come scrive don Pilotti “tutto era rovina… rovina sopra rovina; piangemmo dal dolore”. Ma non tutto era veramente perduto: avanzando tra le macerie videro sul suo piano d’appoggio, quasi unica parte rimasta intatta della nicchia, la bella e cara statua della Madonna del Rosario, salva! Soltanto una scheggia penetrata nel dorso e una frattura nel collo del Bambino erano traccia visibile della furia appena placata.
Bastò questo segno, in mezzo a tanto disastro, a dare consolazione al vecchio parroco e nuove energie al giovane cappellano. L’immagine fu subito portata in uno stanzone della casa di fronte e dai proprietari signori Guarini si ottenne il permesso di sistemarvi una chiesa provvisoria, che fu usata per le funzioni parrocchiali dal Natale del ’44 fino a quello del ’45”.
La ricostruzione dopo la distruzione
“Senza perder tempo” sono sempre parole di Giuseppina Fabbri, “il pensiero fu immediatamente orientato alla ricostruzione. L’ingegner Romano Gambi, che a San Varano aveva evidenti legami e non solo di proprietà, prestò gratuitamente la sua opera, disegnando il progetto della chiesa sulle vecchie fondamenta, ma con una nuova facciata; i parrocchiani contribuirono secondo le possibilità di quei momenti economicamente durissimi. Con varie iniziative, a cui si aggiunsero prestiti ottenuti dal Credito Romagnolo garantiti dal vescovo monsignor Giuseppe Rolla, si raccolsero circa 370.000 lire.
Nel Natale 1945, nella chiesa in fase di ricostruzione si tornò a celebrare la messa”.
Lo stesso pensiero dovremmo avere tutti noi oggi, mentre stiamo facendo i conti con un’emergenza sanitaria che non è ancora terminata e dovremo affrontare una crisi economica che ha qualche parallelismo con quella dell’immediato dopoguerra, con la differenza che allora le fabbriche erano state in gran parte distrutte.
Gabriele Zelli