“La mostra – Badoglio telegrafa…il sogno africano dell’Impero – allestita alla casa natale del Duce di Predappio, in soli 52 giorni di apertura, dal 20 giugno al prossimo 30 agosto, chiuderà con oltre 2500 visitatori con una frequenza media giornaliera tra 49-50 unità; un vero successo, mai prima riscontrato in precedenti eventi culturali predappiesi, di maggiore durata temporale”.
L’affermazione è di Franco D’Emilio, curatore dell’esposizione dedicata alla guerra in Abissinia: un percorso storico obiettivo, di grande equilibrio (oltre 350 immagini, oggetti storici che provengono dall’Archivio centrale dello Stato, quello storico di Corsera, Associazione culturale Garbatella ’44 di Roma e Istituto Geografico Militare), organizzato insieme all’amico e collezionista Franco Nanni, che ha richiamato visitatori da tutta Italia. A confermarlo non solo la vendita dei biglietti, ma il registro presenze con dediche e osservazioni che ne testimoniano il gradimento. Non sono mancate polemiche, come da tempo immemore accade in quel di Predappio, teatro da sempre di rimostranze contro il Fascismo, in particolare sulle vicende legate alla tomba della famiglia Mussolini e al merchandising di oggettistica nostalgica del Ventennio.
Il professor D’Emilio, di origini liguri, fiorentino d’adozione, da oltre 30 anni residente a Forlì, è stato per 40 anni funzionario scientifico, oggi ispettore onorario del Ministero per i beni culturali e ha trascorso la sua vita professionale tra archivi, biblioteche e soprintendenze con particolare attenzione ai temi storici. Curatore di numerose mostre storico-documentarie d’iniziativa pubblica e privata, ha pubblicato La Terra del Duce (2014), Stelle Gialle. Ebrei della provincia forlivese nella notte fascista (2015), Occhio ai preti. Chiesa e Fascismo nella Romagna forlivese (2017), Predappio al tempo del Duce (2017). Appassionato di letteratura gialla, ha esordito con L’uomo degli atti criminali (1995), aggiudicandosi il Premio Mystfest di Cattolica. Attualmente collabora come opinionista con alcune testate on line.
Ancora un successo con la sua nuova mostra dedicata alla Guerra d’Abissinia. Secondo lei che cosa cercano i visitatori, bisogno di chiarezza storica o semplice curiosità per un periodo controverso e provocatorio?
«Innanzitutto, il valore di un evento culturale, quale una mostra storico-documentaria, si misura sulla capacità di soddisfare tre richieste del pubblico: la curiosità di quanti desiderano scoprire novità, avere l’esperienza, anche insolita e imprevista, di un approccio culturale; poi, la voglia di approfondimento di quanti, già muniti di conoscenze generali, vogliono penetrare di più negli aspetti particolari delle vicende storiche; infine, la necessità di quanti, sono questi i visitatori più esigenti, cercano in una mostra i termini di una verifica, di un confronto critico, riflessivo che possa confermare o arricchire, magari, porre in discussione le loro conoscenze.
Ecco, un evento culturale attrattivo se soddisfa queste attese del pubblico con un percorso espositivo ampio, esaustivo, imparziale, soprattutto formulato sulle tre tipologie di pubblico indicate. Sono convinto che così si spieghi il notevole successo della mostra. Ancora di più ribadisco come l’imparzialità del racconto storico di tale esposizione sia stata conseguita con la piena storicizzazione della Guerra d’Etiopia, considerata nel contesto politico, sociale, economico, perchè no, di pensiero della sua epoca. L’errore maggiore sulla storia del controverso Ventennio quello di sottoporre l’analisi storicistica di quel periodo alla visuale, al giudizio del nostro presente: il Fascismo è stato figlio del suo tempo, va quindi studiato e compreso entro la visione d’insieme della sua epoca. Allo stesso modo, tra qualche decennio, potremo comprendere il Movimento 5 Stelle solo storicizzandolo nella crisi della rappresentanza politica italiana agli inizi del terzo millennio».
Qual è il flusso dei visitatori, l’età, la provenienza?
«Il pubblico dei visitatori si è rivelato davvero vario per età e provenienza: tanti i giovani, studenti o lavoratori, sino ai 30 anni; altrettanti quelli di età superiore sino a quanti, addirittura con una memoria, personale o ad essi tramandata, della Guerra d’Abissinia. Molto estesa la provenienza dei visitatori italiani, dal nord al sud della penisola senza esclusione delle grandi isole, Sardegna e Sicilia.
Certo, si è registrato un maggiore afflusso dal Veneto, dalla Lombardia, dal Friuli, dall’Emilia Romagna e dalla Toscana. Significativa pure la partecipazione di diversi visitatori stranieri da Francia, Inghilterra e Germania, Russia, Argentina e Brasile.
E tutto questo nonostante l’emergenza Covid-19 e la chiusura della Cripta Mussolini, sicuramente meta di attrazione del turismo storico a Predappio: la mostra “Badoglio telegrafa” si è rivelata attrattiva ben oltre la dimensione nostalgica che taluni, per fortuna pochi, ostinatamente e immotivatamente attribuivano alla mostra stessa. Certamente, ha influito anche la novità dell’argomento, visto che sino ad oggi nessuna mostra era mai stata dedicata alla Guerra d’Etiopia».
Per quale motivo secondo lei ogni argomento che riguarda il Ventennio diventa, a Predappio, motivo di polemica politica con vero e proprio ostruzionismo?
«Perché nel nostro presente e con il metro di giudizio del tempo attuale strumentalizziamo ancora il Fascismo come argomento divisivo, seppur logoro, tra antifascismo e fascismo, tra sinistra e destra. Si usa impropriamente il passato, la storia per divellere l’attualità politica, economica e sociale dei nostri giorni.
La fragilità del nostro sistema politico si maschera così dietro il passato, anzi dietro l’inesistente possibilità di un ritorno al passato ovvero al Fascismo: la sinistra ha bisogno di un avversario fascista; la destra, spesso pavida, invece cerca di allontanare da sé la memoria del Fascismo, quasi illudendosi che sempre più se ne diluisca o ridimensioni la memoria storica. Alcune posizioni, in proposito, della destra risultano davvero incomprensibili: prendiamo il caso della ex Casa del Fascio di Predappio, ora finalmente in via di restauro. Sinistra e destra sembrano concordare per collocarvi un Centro Studi sul Novecento, dunque anche sul Ventennio, però la destra insiste sull’aspetto internazionale di tale centro: questione, questa, di lana caprina poiché storicizzare il ‘900 significa spaziare necessariamente su un ampio fronte della storia contemporanea del mondo, già solo per comprendere autoritarismi e dittature, dal fascismo al nazismo, al comunismo sino ai populismi latinoamericani e ai regimi teocratici liberticidi in Medio Oriente».
Un percorso culturale e storico come questo potrebbe diventare una mostra itinerante per gli studenti?
«Certo, ho già sperimentato con successo e soddisfazione l’utilizzo didattico di alcune mie mostre storico-documentarie presso Istituti Medi Superiori della città di Forlì il Liceo Scientifico “F. Paulucci de Calboli”, l’Istituto Tecnico Commerciale, la Scuola Media “P. Zangheri”, l’Istituto Tecnico Industriale hanno accolto alcune mie mostre documentarie, ad esempio quelle sulla persecuzione antiebraica o sul rapporto Chiesa-Fascismo nella Romagna forlivese. Sempre dalla partecipazione interessata degli studenti sotto la guida di abili e tenaci insegnanti è venuto un contributo importante, pure correttivo al mio lavoro di operatore culturale».
Quale progetto per il futuro?
«Innanzitutto, continuare da cittadino a servire il mio paese, curandone e promuovendone la conoscenza storica, come per quasi 40anni ho fatto da funzionario scientifico del Ministero per i beni culturali. Ho due progetti “in fieri” da elaborare e sviluppare sempre sul Novecento italiano, sto verificando la disponibilitdi delle fonti documentarie. Non aggiungo altro perché il lavoro culturale, spesso imprevedibile e difficile, deve affrontarsi con umiltà e tanta consapevolezza».
La mostra, aperta dal mercoledì alla domenica alla casa natale del Duce, dalle ore 10,00/13,00 alle 14,00/16,00 chiude il 30 agosto. Per info e visite guidate cell. 3200128110.
Laura Stradaroli