La scadenza delle concessioni balneari è stata fissata, entro il 2023 le spiagge italiane saranno soggette ad un’asta ad evidenza pubblica offrendo in questo modo a chiunque, l’opportunità di ottenere la gestione di una spiaggia. Fino ad oggi tale opportunità veniva continuamente rimandata dalla politica che continuava a garantire agli stessi concessionari di sempre tale privilegio. È dovuto intervenire infatti il Consiglio di Stato, organo giurisdizionale del Governo e massimo giudice speciale amministrativo in posizione di terzietà rispetto alla pubblica amministrazione italiana a fare quello che, dal 2009 non ha mai avuto il coraggio di fare nessun politico: mettere a gara le spiagge garantendo a tutti il diritto alla concorrenza.
L’ultimo intervento legislativo per scappare dal problema è stato nel 2018 con il governo Conte1, che ha tentato di spostare “la patata bollente” ai posteri prorogando con la legge del leghista Centinaio, le concessioni balneari fino al 2033. Anche pochi giorni fa Mario Draghi e il suo “Governo dei migliori” ha buttato la palla in tribuna non introducendo nulla nel ddl concorrenza e lo ha fatto per non disturbare la Lega. Lo statista de no antri”. La direttiva Bolkestein, giusto per ricordarlo, fu votata ed approvata dagli europarlamentari italiani dell’epoca nel lontano 2006 per poi ripudiarla da quasi tutti pochi anni dopo incolpando l’Europa cattiva. La decisione del Consiglio di Stato obbligherà quindi la politica ad istituire le aste stabilendo regole per la partecipazione. Gare che non potranno essere indotte oltre il 2023 e tantomeno si potrà ulteriormente legiferare per rimandarle come fatto più volte dai politici. La chiave che non lascia scampo è che da quella data in poi, le concessioni spiaggia si azzereranno. Ciò vuol dire che in mancanza di un’asta che stabilisca chi sarà il concessionario futuro e fino a quel momento, la spiaggia sarà libera.
La questione economica che gira attorno a questo mondo lavorativo, è bene ricordarlo, difficilmente permetterà che ciò accada massivamente, ma sulla questione spiagge libere questa riforma offre di fatto un’opportunità unica che vedremo poco più avanti. Questa decisione epocale garantisce dunque cambiamenti ed opportunità uniche per i cittadini e non è certo cosa da poco. Vediamo sinteticamente quali:
• Attraverso le aste ad evidenza pubblica, visti gli attuali canoni demaniali versati dai bagnini ai Comuni, le amministrazioni rivierasche incasseranno molti più soldi rispetto al passato, che tradotto in soldoni vuol dire: più risorse a disposizione per i cittadini e perché no, anche per il turismo balneare. Soldi tra l’altro, offerti in libera concorrenza mica stabiliti prima ed arbitrariamente da uno Stato comunista.
• Riguardo alla spiaggia libera invece, con l’azzeramento delle concessioni balneari i sindaci della riviera potranno, là dove lo riterranno necessario, mettere a gara meno spiagge rispetto a quelle attuali aumentando così la quota di spiaggia libera presente nel proprio territorio comunale.
• Il ricambio generazionale dei bagnini in alcuni casi sarà un bene per il turismo balneare, perché per quanto doloroso ammetterlo, la categoria ha tra di essi alcuni soggetti “consumati”. Molti degli attuali operatori da spiaggia, dopo decenni di attività e introiti di riguardo, hanno perso l’entusiasmo e la voglia di un tempo con evidenti ricadute negative sulla competitività che ogni concessionario dovrebbe invece garantire quando opera su suolo pubblico. Molti gestiscono i bagni ancora come quando suonavano i Righeira, oggi sono quindi inadeguati. Quando un bagnino poi inizia a lavare i lettini a fine agosto o chiude lo stabilimento il 10 settembre perché gli introiti fino a fine mese sarebbero bassi, significa che è arrivato il momento di rimettere in gioco il privilegio di gestire una spiaggia italiana. Penso al caso più eclatante del Salento, le cui spiagge dovrebbero rimanere aperto fino a novembre, invece a settembre sono già chiuse. Una vera vergogna per una terra in cui il lavoro è da sempre un problema.
Ci sono poi due punti critici che meritano di essere puntualizzati perché spesso utilizzati dalla politica come distrazione di massa:
Con le concessioni balneari all’asta non arriveranno certo le multinazionali a depredare le concessioni balneari, nonostante solo ieri Giorgia Meloni ed in precedenza altri “statisti all’amatriciana”, abbiano riproposto questa eventualità. Già in passato è stato facilmente neutralizzato questo pseudo pericolo e la risposta è contenuta proprio nelle regole che lo Stato italiano dovrà disporre entro il 2023 per le aste: prima fra tutte quella del divieto da parte di un soggetto di poter fare più di un’offerta, così da evitare che multinazionali ne facciano 10 per 1 chilometro di costa ma pure per evitare che facoltosi cittadini italiani si approprino di 3 o 4 concessioni. Un soggetto una cartuccia da poter sparare al fine di garantire a tutti la possibilità di giocare.
In realtà lo sanno tutti, meno “yo soy Giorgia”, che saranno gli albergatori italiani i maggiori e più forti economicamente partecipanti alle gare delle spiagge. Soprattutto quelli con l’hotel sul lungomare con di fronte uno stabilimento balneare. Vincendo la gara infatti potrebbero annettere all’offerta alberghiera quella della spiaggia e fare più comodamente di quanto facciano ora, il tutto compreso. Poi gli albergatori sono di una categoria, riguardo al turismo, di addetti ai lavori. Ma anche gli imprenditori dell’entroterra potrebbero pensare di investire magari per i propri figli, in un settore che ricordiamolo, non conosce crisi e che si può imparare senza dover studiare fisica quantistica. Ma la Meloni non ha certo il coraggio di “sparare” sui “predoni” di una categoria che potenzialmente la vota, dimenticando invece di porre dubbi su un problema reale e più importante: la partecipazione alle aste da parte di esponenti riconducibili al crimine organizzato, prestanome per intenderci, che con i bagni al mare avrebbero l’opportunità di riciclare con facilità ingenti quantità di denaro sporco. Il classico jamon en los ojos.
Riguardo invece ai pochi stabilimenti balneari su suolo privato e per questo in posizione di privilegio si è blaterato spesso che a nessuno in quei casi converrà farà un’offerta. La realtà è invece l’opposto. Lo stabilimento balneare, il bar per intenderci, di fatto garantisce profitti non invidiabili perché non è un aperto 12 mesi ma 3. Se la spiaggia demaniale venisse acquisita da un altro soggetto, tipo un albergatore, il proprietario dello stabilimento si troverà tra l’incudine ed il martello: l’albergatore potrà mettere un responsabile e un’apprendista a gestire facilmente la spiaggia, che tradotto vuol dire accompagnare i turisti sotto l’ombrellone, svuotare alla sera i bidoni e sbattere le brandine dalla sabbia, tornando a casa poi alla sera con il marsupio pieno. Perché i lauti profitti provengono in gran parte con l’affitto degli ombrelloni non con i caffè ed i gelati al bar. Gli anni Ottanta e i tre fusti di birra al giorno consumati dal turismo tedesco che pagava in marchi, sono finiti. Eccezione fatta oggi per chi invece oltre al bar ha annesso il ristorante, ma anche in questo caso resterebbe un’attività che comporta certamente altri guadagni associati però a altro lavoro e altro personale professionale da assumere. Inoltre all’albergatore la ristorazione in spiaggia interesserebbe poco ed al ristoratore ancor meno darla in affitto. Ecco che i proprietari di bar su suolo privato si troverebbero di fronte all’incudine di continuare a gestire un attività trimestrale con pochi invidiabili profitti o il martello del concederlo in affitto, a prezzi conseguenti all’irrisorietà dei profitti, unicamente al nuovo concessionario di spiaggia che accetterà solo se davvero conveniente farlo.
Giorgio Venturi