Esattamente 30 anni fa, il 30 gennaio 1992 venne emesso il terzo grado di giudizio di uno dei processi più importanti della storia della Repubblica italiana. Si concluse infatti il Maxiprocesso, denominazione data ad un dibattimento giudiziario celebrato a Palermo per crimini di mafia che ancor oggi si può considerare il più grande processo penale mai celebrato al mondo e direi della storia: in primo grado gli imputati furono 475, gli avvocati difensori circa 180 e 900 fra testimoni e parti lese. Proprio per le incredibili dimensioni di questo processo, le istituzioni furono costrette a costruire in pochi mesi, a fianco del carcere dell’Ucciardone, una grande aula ottagonale soprannominata aula bunker, le cui dimensioni fossero adatte a contenere centinaia di imputati.
Il processo di primo grado si concluse con pesanti condanne: 19 ergastoli e pene detentive per un totale di 2665 anni di reclusione. La sentenza, emessa il 30 gennaio 1992, confermò tutte le condanne, mentre la gran parte delle assoluzioni pronunciate nel giudizio d’appello per gli omicidi Giuliano, Dalla Chiesa, Giaccone ed altri venne annullata disponendo di conseguenza per gli imputati un nuovo giudizio.
La Corte di Cassazione, in accordo con i giudici di primo grado, credette dunque al “teorema Buscetta”. Il boss dei due mondi, don Masino all’anagrafe Tommaso Buscetta, fu il pentito di mafia che svelò agli inquirenti oltre a centinaia di crimini, la struttura criminale verticistica al mafiosa capo della quale c’era “La Cupola”, guidata all’epoca prima Salvatore Riina e poi da Bernardo Provenzano. Il processo che rinviò i verdetti di assoluzione emessi in primo grado venne celebrato tra il 1993 e il 1995 davanti alla Corte d’assise d’appello: tutti gli imputati vennero condannati all’ergastolo.
Il risultato finale del maxiprocesso fu dunque che la quasi totalità delle pesanti condanne pronunciate in primo grado venne confermata divenendo verità giudiziaria e definitiva. Un risultato storico che cambiò profondamente il nostro paese grazie allo spirito di servizio di molti uomini delle istituzioni tra inquirenti e forze di polizia, i quali a costo della vita, sferrarono un duro colpo a “Cosa nostra”, organizzazione criminale di cui fino a pochi anni prima si negava persino l’esistenza.
Giorgio Venturi