Sono state oltre 120 le persone che nella mattinata di oggi hanno partecipato alla passeggiata lungo l’itinerario fluviale del Montone che da Ladino porta a Villa Rovere, poi a Terra del Sole e ritorna al punto di partenza. L’iniziativa ha consentito a Gabriele Zelli di raccontare la storia di alcuni edifici che da secoli caratterizzano quei luoghi e l’importanza dal punto di vista naturalistico del corso d’acqua e della selva. Tutti aspetti che sono riportati più diffusamente nel libro “Ladino il bosco e il fiume” di Gabriele Zelli, foto di Fabio Casadei, Edit Sapim 2022, che è stato consegnato in omaggio ai partecipanti.
Gabriele Zelli ha iniziato evidenziando che la chiesa di Ladino, dedicata a San Martino di Tours, in origine era una pieve edificata nel 1270 sui ruderi e con i materiali della rocca distrutta in quel luogo dai faentini. L’esistenza della pieve è confermata da un documento del 1290; un rendiconto delle decime, conservato nell’Archivio Vaticano, che alcune chiese erano tenute a versare alla Camera Apostolica.
Secondo Leone Cobelli, storico forlivese del Quattrocento, la memoria più antica di Ladino come località risalirebbe al 670, per la presenza di un “castrum”, una fortezza di probabile fondazione romana (Castel Latino), castello che sarebbe sarebbe stato distrutto intorno al 670 da Grimaldo Longobardo; poi riedificato. Documenti risalenti all’894 testimoniano di un “castrum latini” appartenente a Tiberio Berengari. Nel 1170 era feudo del conte Uberto di Pitignano, il quale, fatto prigioniero dai faentini durante l’assedio del 1202, lo cedette a questi in cambio della libertà. Il comune di Faenza, temendo che cadesse in mano ghibellina, ne decretò la distruzione.
Nel 1218 però i forlivesi lo ricostruirono, mentre apparteneva agli Ordelaffi, perché collocato in posizione strategica per sorvegliare zone di confine insediate dai guelfi faentini e dai fiorentini. Non a caso, nello stesso anno, fu oggetto di una pesante incursione faentina che lo rase nuovamente al suolo. I resti del castello andarono disperdendosi e sulle sue fondamenta fu edificata, come accennato, la pieve. Il terremoto che nel 1870 colpì tutta la Romagna distrusse la chiesa. L’anno successivo iniziarono i lavori di ricostruzione che le hanno permesso di giungere fino ai nostri giorni. Qualche anno fa è stata completamente restaurata.
Successivamente Gabriele Zelli ha condotto i partecipanti a visitare la chiesa di San Pietro in Arco, (o Santa Maria della Rovere) facendo notare che la pieve preesistente non doveva essere una comune cappella od oratorio in considerazione della grandezza dell’edificio odierno e la centralità della sua ubicazione. Non a torto quindi è stato scritto che in antico il luogo di culto apparteneva ad un ordine religioso monastico; ed infatti in proseguimento della facciata dell’immobile attuale, sulla destra, esistono ancora alcuni grossi ed antichissimi muri, simili nella struttura a quelli perimetrali della chiesa, che fanno pensare vi potesse essere annesso un convento.
La chiesa seicentesca, a croce latina, costruita al posto dell’antica pieve, aveva una bella cupola distrutta dal terremoto del 1870. Nell’ottobre del 1919 il luogo di culto venne restaurato integralmente. Nell’occasione la famiglia Albicini donò l’altare, i marmi e le statue che erano nella cappella gentilizia della soppressa chiesa di San Giacomo di Forlì, mentre il Capitolo del Duomo offrì un grandioso tabernacolo di marmo. La tela che orna l’altare sulla destra raffigurante i Santi Pietro e Paolo, titolari della chiesa, è stata dipinta da Gianfranco Modigliani, noto anche come Francesco da Forlì, un pittore di scuola forlivese.
Lungo il percorso ci si imbatte nella chiusa di Ladino e nel canale dei Romiti che vennero realizzati in un periodo imprecisato per alimentare i molini che si sarebbero insediati nel tratto compreso tra San Varano e i Romiti (furono ben sei). Le prime notizie sull’esistenza della chiusa di Ladino (detta anche di San Martino) risalgono al dicembre 1436 quando il comandante del presidio di Castrocaro si accorse, durante un’ispezione al confine con il territorio di Forlì, che parte del manufatto era stato costruito su terreno appartenente alla giurisdizione castrocarese e ne ordinò la demolizione e i forlivesi furono costretti a spostarla, pur reclamando, senza successo, che la ricostruzione del manufatto doveva essere a spese della Repubblica Fiorentina.
Per quanto riguarda gli aspetti naturalistici, Zelli ha sottolineato che la Selva di Ladino era parte di una vastissima e antica area boscata caratterizzata da querce e roverelle che, essendo stata acquistata dal Comune di Forlì negli anni Ottanta, è stata ampliata piantumando ulteriori ettari di terreno considerate le sue peculiarità ecologiche. Anche il fiume Montone è particolarmente interessante perché costituisce un corridoio ecologico che attraversa territori pedecollinari e di pianura fortemente antropizzati, come Pietramora, Ceparano e Rio Cozzi.
Nel corso della camminata sono state accennate altre storie come la presenza della villa dell’antica famiglia dei Paulucci di Calboli, citata da Dante Alighieri nella Divina Commedia, il salvataggio nel 1849 da parte dei patrioti forlivesi di Giuseppe Garibaldi e del Maggiore Leggero in fuga dopo la soppressione della Repubblica Romana, le conseguenze il passaggio del fronte durante il Secondo conflitto mondiale. Tutti argomenti che nel libro “Ladino, il bosco e il fiume” sono ampliamente trattati. La camminata sarà riproposta sabato 22 ottobre, sempre con ritrovo e partenza alle ore 10,00, dalla chiesa di Ladino.