È mio proposito non parlare di questa chiesa della quale è stato scritto tanto, ma soffermarmi su un particolare e precisamente sull’esteso lacerto del famoso affresco che nel 1838 in occasione del rifacimento della chiesa stessa fu staccato dal muro assieme ad altri molto più piccoli (Testa di Santo e Madonna col Bambino) e successivamente portati tutti in Pinacoteca.
Ho letto Giordano Viroli nelle due opere “Chiese di Forlì” e “Pittura dal Duecento al Quattrocento a Forlì” e da questa ricchissima enunciazione e disamina trovo alcuni punti che a mio parere meriterebbero una rilettura. Ho letto anche Daniele Leoni in “Frammenti nella storia”, l’ultimo critico d’arte che nel 2007 si è dedicato a questi particolari affreschi di Schiavonia. L’affresco principale va sotto il nome “Corteo dei Magi e i Santi…” ed è quello che vediamo qui sopra.
Io ho esaminato a fondo questa immagine, ma i Magi io non li ho visti, perché non ci sono! Senza dubbio la scena con loro era nella parte mancante dell’affresco alla sinistra (guardando l’affresco) delle figure che appaiono nel lacerto a noi pervenuto. In primo piano a destra i tre Santi che non sono come nell’elenco di Viroli, bensì come recitano i nomi sotto di loro, abbiamo da sinistra, S.Paulus, S. Jeronimus e S.Petrus.
I due laterali S.Paolo e S.Pietro stringono nella mano destra delle spade. S.Paolo con la lama rivolta verso l’alto, S.Pietro verso il basso. Nella sinistra hanno due grossi tomi. Al centro S. Jeronimus ha il capo leggermente reclinato a sinistra. Tutti e tre hanno fluenti barbe e il loro sguardo è diversamente indirizzato. La loro espressione appare severa e indifferente, soprattutto S.Paolo con la bocca in un’espressione quasi truce. Al centro S. Jeronimus guarda alla sua sinistra, come S.Paolo, mentre S.Pietro guarda a destra. Questi tre Santi, tutti con aureola, sembrano estraniarsi dalla scena globale (che doveva comprendere l’adorazione dei Magi, senz’altro alla loro destra) ed emergono dal quadro per le vesti in ampi drappeggi con vivi colori. Alle loro spalle una grande roccia in parte plumbea che fa a loro da sfondo e al di sopra della quale si scorgono in lontananza colline. A sinistra a fianco della roccia le teste di due cavalli, le cui redini sono tenute da un palafreniere vestito di giallo molto più basso di tutte le altre figure e che rappresenta, a mio avviso, un elemento importante, sempre trascurato, della composizione, perché è il vero trait d’union fra i due gruppi che altrimenti sarebbero stati disgiunti e pienamente separati e sarebbe mancata la visione d’insieme del tutto. Sullo sfondo a malapena si intravvede una terza parziale testa di cavallo.
A sinistra dei tre Santi due figure che appaiono come colloquianti e che creano un altro gruppo a sé stante. L’ultima figura a sinistra con folta barba ha la mano destra in un mimico gesto tipico di chi sta dicendo qualcosa. Non c’è nome. L’altra, senza aureola e senza barba, è vestita con ampio candido drappeggio lineare che scende fino ai piedi e sembra che ascolti. Ha le mani raccolte sotto uno scialle. Sotto di lui appare la scritta Agustinus (e non Augustinus! ). Tutti i critici d’arte hanno continuato a chiamarlo Augustinus!
Assieme al nome ci sono due segni che appaiono come una X e una I e parzialmente, molto parzialmente, un altro segno verticale che potrebbe aver perso la parte superiore trasversale, forse una T (hanno letto pinxit? Chissà? nel passato, 1838, il Prof. Reggiani lesse e scrisse pinsit) forse come dice Leoni la parola è stata contratta in P(IN)XIT, ma è oggi ugualmente quasi illeggibile. Dal riquadro, sempre a sinistra, si intravvede parzialmente una figura che esce velocemente dal campo. Forse andava verso l’altra parte della scena che a noi manca e cioè la vera Adorazione dei Magi. Si vede una parte di veste e più evidente un piede, probabilmente quello sinistro, e sotto una scritta di quattro lettere a me illeggibili. A sinistra in alto, in fondo campo, una torre merlata. Giordano Viroli dice che questa figura (parziale, molto parziale) è Re Melchiorre indicato dalla scritta (?) che come ho già detto, per me, è illeggibile (quattro lettere, Melchiorre è di 10 lettere). Ma tant’è. Vorrei soffermarmi però sulla figura senza barba che sta guardando alla sua destra: Agustinus (?)
A me, guardando e analizzando questa figura, sono sorti molti dubbi. Vorrei affermare che quel nome non ha nessun rapporto con la stessa. E’ solo la firma di chi ha dipinto il tutto. Ecco cosa ho ricavato dall’esame di questa immagine: il suo sguardo perso nel vuoto, il suo volto, appare caratterizzato da linee molto delicate e gentili, i lineamenti molto regolari e la pelle del viso liscia e perfetta tipica di una persona molto giovane, tanto che si potrebbe supporre che sia una fanciulla e non un uomo. I capelli biondi raccolti in boccoli ondulati scendono dietro alla nuca fin quasi alle spalle, sulla tempia sinistra tre boccoli raccolti in codine ondulate lasciano scoperto l’orecchio. Sulla testa, quasi un vezzo, una stretta striscia di stoffa anche questa bianca, che la circonda. Non solo, la veste, come abbiamo già detto candida, sembra quasi una gonna. Ha l’orlo che gli abiti di tutti gli altri non hanno, in più ha tre decorazioni in linee orizzontali che ripetono il motivo dell’orlo. Insomma viene da pensare a tutti vezzi muliebri certamente non maschili. Questo dubbio non è solo mio, ma anche di Daniele Leoni ( pag.176 – Frammenti nella storia).
Per quanto riguarda sempre questo personaggio discusso all’infinito e che ha interessato tutti i critici, per quasi due secoli sono state fatte ipotesi a tutto campo. Leoni ipotizza addirittura che davanti al nome potesse (?) esserci una S che poteva significare o SER o Sanctus. Io personalmente non ho visto questa lettera, ma se anche ci fosse stata non poteva significare Sanctus perchè il personaggio non ha l’aureola, gli altri sì. Quindi Agustinus non è un santo, tanto meno Sant’Agostino. Questa la descrizione dell’affresco così come ci è pervenuto. Quanto ne è andato perduto nessuno l’ha mai detto. Le sue misure, oggi (non concordi) sono m. 2,61 x m. 2,47 (Viroli), invece per Daniele Leoni 2,47 x 2,35, oppure 262×248 (?). Nel 1838 misurava m. 3 x m. 2,60.
A me interesserebbe sapere come nel 1838 anno della ricostruzione della chiesa fosse possibile e con quali tecniche asportare un affresco da un muro. Io non ho conoscenze esatte in merito ma penso con ogni probabilità che il distacco sia avvenuto con la tecnica del massello. Si segavano i lati e il retro (come?) della parte scelta con tutta la parte del muro interessata con un meccanismo di assi di legno legate e catene. E’ in pratica ciò che dice il Legato Pontificio Grimaldi nella lettera che vedremo in seguito.
Gli esperti di arte che si sono dedicati allo studio di queste pitture sono tantissimi, ognuno con le sue ipotesi, i suoi giudizi, le sue critiche. Cavalcaselle nel 1883 parla in termini elogiativi di questo esempio di scuola giottesca e comincia così la sequela di ipotesi su chi fosse l’artista di quest’opera: Baldassare del 1354 per Calzini e Mazzatinti, Guglielmo degli Organi oppure Baldassare Carrari il Vecchio, Cesare Brandi pensava ad un ipotetico Augustinus (?) pinxit, rifacendosi ad un Agostino da Rimini. L’unica quasi certezza riguarda la datazione, che viene posta nella seconda metà del Trecento. E dire che tutti nel 1838 dal Legato pontificio, al Prof. Girolamo Reggiani, all’ing. Comunale G. Santarelli affermano senza ombra di dubbio che per loro l’autore fosse Agostino di Bramantino. Ma nessuno si è mai soffermato su queste precise affermazioni. Al di là di tutte queste ipotesi leggo alcune lettere (ASFO) del periodo relativo al distacco degli affreschi e cioè il 1838. Di fronte alla scoperta di questi dipinti vengono avanzate due ipotesi di recupero. Una è quella di trasferirli su tela, l’altra di tagliare i muri e trasportarli altrove. Per la prima viene interpellato il pittore bolognese Pellegrino Succi, ma il compenso richiesto risulta essere troppo alto, pertanto si sceglie la seconda ipotesi:il taglio dei muri.
Giacomo Santarelli (1786-1859) scrive al Gonfaloniere Conte Antonio Albicini il 28 maggio 1838. «… ho visitato i dipinti a fresco … nella demolita Chiesa di Schiavonia per riconoscere se sono suscettibili ad essere trasportati mediante il taglio de muri. Nessuna difficoltà, quando siano usate le debite cautele, e quando l’interno de muri sia composto di buoni matteriali, né vi siano sassi frapposti. I quadri che il lodato Professore Reggiani (1778-1840) mi ha indicato …. che meritano di essere trasportati sono i seguenti:
…Quello che rappresenta il ritratto del Pittore con S. Paolo e S. Pietro …. lungo m. 3 alto m. 2,60 in un muro grosso teste quattro e mezzo». Segue la descrizione di altri quattro affreschi. Santarelli continua «…mi si chiede parere intorno alla spesa occorrente….Questa io non posso indicargliela che in via approssimativa.. E così materiali, attrezzi, operai e trasporto sommano 148 scudi».
Successivamente lo stesso Ing. Comunale Santarelli in data 17 ottobre 1838 afferma però «…che esaminati li muri ne esistono composti di mattoni uniti a sassi per cui non si può garantire una felice riuscita. Saranno usate tutte le cure e diligenza perché l’operazione riesca nel miglior modo possibile».
Leggo anche il Legato Pontificio Nicola Grimaldi (1768-1845), di cui potete vedere il nome nell’iscrizione posta sopra l’ingresso del mercato ortofrutticolo, e che in data 3 giugno 1838 dice al Gonfaloniere: «.. E’ assai più economico …tagliare il muro dove sono le note pitture della Chiesa di Schiavonia ed assicurarlo con legni legati a cornice, che il togliere e mettere in tela le pitture stesse per opera del Prof. Succi. La spesa non arriva a scudi 150= lasciando alcuni di que’ dipinti troppo malandati, contro700= Si dilunga poi sul problema delle spese… il Parroco di Schiavonia che non intende di spendere un paolo per la conservazione de’ suoi dipinti… La Comune può meritare ogni riguardo avendo generosamente decretato un sussidio alla Fabbrica della Parrocchia di Schiavonia di scudi 500…». Chiude con l’affermazione: i dipinti sono di Agostino Bramantino, di cui vi sono opere anche in Bologna…
Anche Girolamo Reggiani in data 13 luglio 1838 dopo una perfetta elencazione dei dipinti e le loro misure però non in metri, bensì in piedi parigini (pari a cm. 32,484), scrive: «…Nel muro a cornu Evangeli in alto vi è un dipinto rappresentante l’adorazione dei Magi e in mezzo due ritratti di figure intere uno dei quali è l’operatore di questo dipinto appiede segnato Agustinus pinsit …il quale pittore viene ritenuto Agostino di Bramantino cellebre e raro».
Daniele Leoni inserisce il Parroco di Schiavonia fra i protagonisti di questi fatti. Io dalle lettere dello stesso (Parroco) ricavo invece l’impressione che il prete, Francesco Liverani, non abbia altra preoccupazione se non quella di non spendere un soldo. Anzi afferma che i dipinti di S. Rocco e Sebastiano non gli interessano. L’unica affermazione positiva è quella che non farà opposizione nel caso di un eventuale cambio di proprietà.
Premesso tutto questo e fatte le debite scelte, subentra un altro problema di non piccola entità relativo, come ho accennato sopra, alla proprietà dei dipinti stessi. Dice il Legato Pontificio in data 5 giugno 1838: non è conveniente il trasferimento su tela che, per la sola opera dell’artista esigge la spesa di scudi 700, non comprese le cibarie e viaggio. E poi necessarissimo far precedere il taglio e trasporto… al quale oggetto la Magistratura potrà diriggere supplica alla Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari per ottenere che il Parroco di Schiavonia (che non intende spendere un paolo per la conservazione dei suoi dipinti -ancora!-) si possa cedere i dipinti medesimi alla pubblica Pinacoteca della Comune… questa farà le spese occorrenti.… quando generosamente è stato già decretato un sussidio di 500 scudi alla Fabbrica della Parrocchia di Schiavonia. Credo che nessuna difficoltà si incontrerà presso la prelodata Sacra Congregazione». E continua ripetendo ancora una volta:… I dipinti sono di Agostino Bramantino di cui vi sono opere anche in Bologna. Firmato: Nicola Grimaldi.
Pertanto si punta al cambio di proprietà dalla Chiesa forlivese alla Comune di Forlì. Il tutto è anche abbastanza complicato. Infatti non è sufficiente il placet della Congregazione dei Vescovi e dei Regolari, è necessario che anche Roma dia il suo assenso. Entra in campo così l’avv. Gaetano Bernetti di Roma che dall’agosto 1838 fino al settembre, si occupa della questione presso la S. Congregazione dei Vescovi e dei Regolari e presso il Cardinal Camerlengo. Finalmente l’8 ottobre 1838 il Vescovo comunica al Gonfaloniere l’avvenuto passaggio di proprietà e gli trasmette il Decreto esecutoriale che autorizza la cessione dei dipinti dalla Chiesa di Schiavonia alla Comune di Forlì.
I muri, dopo essere stati raschiati dal bianco (scialbatura), vengono tagliati (pensiamo nel modo che abbiamo decritto) e gli affreschi, o almeno una parte di essi, vengono portati il 31 ottobre 1838 nella Missione… o interpellato il Prefetto perché si concerti con il Prof. Reggiani onde collocarli o nella Pinacoteca o nella scuola di Pittura e precisamente nel vero lume. Oggi la Pinacoteca che non è più nella Missione, ma nel Palazzo Merenda in C.so della Repubblica (ma chiusa al pubblico!) ospita il grande affresco dei re Magi..e santi… e due lacerti di dimensioni molto più piccole: Madonna con bimbo e Testa di Santo. Se qualche lettore, se c’è, e sa quello che io non ho saputo dire a proposito delle tecniche di estrazione degli affreschi nel 1800, lo prego di intervenire. Grazie.
Agostino Bernucci