A Forlì esiste una strada che da Corso Diaz porta in Piazza G.B. Morgagni. È in pieno centro storico a poche centinaia di metri dalla piazza Maggiore (A.Saffi). È di fronte a via Bella dove un tempo in angolo con Corso Diaz era aperta la famosa, storica salsamenteria Tomba. Oggi scomparsa. Ne è rimasta solo l’insegna. Le domande che mi pongo sono: chi è Giuseppe Miller? Perché dedicargli una strada e proprio questa strada? Sono domande se vogliamo banali, ma io penso che, come al solito, ben pochi abbiano le risposte pronte.
Giuseppe Miller si è conquistato la memoria storica perché ucciso in uno scontro a fuoco con la gendarmeria Borbonica il 19 giugno 1844 a S. Giovanni in Fiore (Cosenza), località Stragola e con lui muore anche Francesco Tesei di Pesaro. Ma perché proprio in Calabria in quell’anno? Nel marzo 1844 si diffonde la notizia di una sommossa a Cosenza. In realtà i disordini durano poco e in breve tempo ritorna la calma e con la calma il processo e la repressione. Ma le notizie che circolano attraverso la stampa e il passaparola e che arrivano a Corfù sono di ben altro tenore. Sembra che la rivolta abbia successo.
In quest’isola diventata, in quanto protettorato inglese, ricettacolo di tanti esuli italiani, vi sono anche i fratelli veneziani Attilio (alfiere di vascello) ed Emilio Bandiera (alfiere di fregata), rispettivamente di 34 e 25 anni, ufficiali della marina austriaca, disertori, figli dell’Ammiraglio barone Francesco e della baronessa Anna Marsich. Nonostante queste radici familiari sono i fondatori della società segreta Esperia, collegata alla Giovane Italia. Così, venuti a conoscenza di questi fatti e credendoli veri, nella notte del 12 giugno 1844 partono da Corfù sul trabaccolo “S. Spiridione” alla volta della Calabria con 19 compagni, nonostante il pressante invito di Mazzini tramite il suo inviato Nicola Ricciotti di non intraprendere alcuna azione, perché giudicata «pazza, intempestiva, d’impaccio alla riuscita di altri movimenti».
Ugualmente anche Ricciotti (ricordate il figlio di Garibaldi?), invece di portare a termine l’incarico avuto da Mazzini partecipa anche lui a questa avventura. Con loro il già brigante calabrese Giuseppe Meluso detto anche il Nivaro o Battistino che 12 anni prima si era rifugiato in Corfù col nome di Battistino Belcastro. Ricercato per uxoricidio ed altri delitti, doveva essere la guida del gruppo. Viene anche aggregato il carbonaro corso Pietro Boccheciampe. Con loro anche il nostro Giuseppe Miller, con un ruolo non da poco (come vedremo dalle parole dei Bandiera) e altri due forlivesi Luigi Nanni e Pietro Piazzoli. In questo sparuto gruppo anche Domenico Moro anche lui come i Bandiera, ufficiale disertore della marina austriaca.
Oggi il tutto ci appare assurdo: gli Ideali che li ispirano erano sì di grande levatura, ma pretendere con venti uomini di rovesciare il governo borbonico, illusi da false notizie credute vere e così sperando in una sollevazione di massa della popolazione, era oggi, come allora, fuori dalla realtà. Mazzini ne era ben convinto e inutilmente, come abbiamo visto, cerca di fermarli. La sera del 16 giugno questo gruppo di 21 uomini sbarca alla foce del fiume Neto. E’ proprio la popolazione di S. Giovanni in Fiore che incontrandoli assieme al brigante Nivaro scambia anche loro per briganti e avverte la gendarmeria. A Santa Severina (circondario di Crotone) nella notte fra il 18 e il 19, lungo la via, avviene un primo scontro con le guardie civiche di Belvedere. I militi vengono respinti e fra di loro si contano tre morti. Domenico Moro viene ferito ad un braccio. In questo frangente, ad Attilio mentre è intento a soccorrere Moro, una palla gli porta via cappello e parrucca (!) che si affanna a cercare per recuperarla (parole di Attilio). Nel frattempo il corso Pietro Boccheciampe scompare. Si saprà poi per denunciare i compagni.
La marcia prosegue verso San Giovanni in Fiore, ma al mattino del 19 avviene lo scontro decisivo. Il combattimento è brevissimo, ma violento. Giuseppe Miller e Francesco Tesei vengono uccisi, Anacarsi Nardi ferito ad una coscia, Emilio Bandiera, nel saltare un fosso, si sloga un braccio. Accerchiati e sopraffatti, vengono in parte fatti prigionieri; gli altri riescono a fuggire, ma saranno poi catturati. Solo Meluso, conoscendo il luogo, riesce a dileguarsi.
I prigionieri, ritenuti briganti, sono portati a Cosenza, e vengono giudicati da una Corte Marziale. Il processo dura circa un mese ed appare anche oggi quasi un processo regolare con tanto collegio di difesa formato da tre famosi avvocati e la possibilità ai due Bandiera di scrivere un’autodifesa nella quale traspare come strategia lo spostamento delle responsabilità dagli imputati al loro compagno Giuseppe Miller, caduto nello scontro a fuoco. Ma perché questo? A lui, impetuoso di natura, viene attribuita la responsabilità di aver convinto i due fratelli con notizie poi rivelatesi false a organizzare l’infelice spedizione.
Miller ci appare dalle loro descrizioni come il personaggio fra tutti il più decisamente convinto degli ideali rivoluzionari (è iscritto alla Giovine Italia) e della necessità di un’azione concreta. È lui che a Corfù convince i Bandiera, prepara, organizza e finanzia la spedizione, infatti alla fine della disgraziata avventura vengono requisiti molti soldi sia addosso a Miller che addosso ad Emilio, che afferma che la metà di questi sono proprio di Miller.
Non solo, sono Miller e Rocca che procurano le armi necessarie: tre casse di fucili smontati. Una con i calci e le altre con i ferri, provenienti avventurosamente da Malta a Corfù. E’ lui che ingaggia i 19 compagni, sconosciuti ai Bandiera. Anche il brigante Meluso è un altro che Miller arruola perché conoscitore della Calabria e quindi lo sceglie come guida (fatto grave che farà parte dell’accusa: avere come compagno un bandito, malfattore ed omicida). Miller viene definito come l’uomo dei proclami che ha con sé e che cerca di far firmare ai Bandiera.
È impaziente di fare qualcosa, timoroso di vedersi contraddetto ed inasprito dal crudele disinganno della realtà (la Calabria non è in rivolta). Emilio nella sua autodifesa afferma che uno di questi proclami indirizzato ai calabresi e firmato dai due fratelli (quello indirizzato agli Italiani viene rifiutato) è consegnato da Miller ad un calabrese di S.Giovanni. Miller, per ingraziarselo, e dimostrare così che non sono briganti, vorrebbe che Attilio gli donasse la sua sciabola. Una preziosa arma d’onore con decorazione ottomana in brillanti. Al rifiuto di Attilio, in cambio, è ceduto un bellissimo pugnale orientale, sempre di Attilio.
Il processo si svolge in tre udienze il 15, il 18 e il 23 luglio 1844 in quest’ultima udienza è emessa anche la sentenza della Corte Marziale e la relativa condanna a morte. Il 25 luglio i Fratelli Bandiera vengono fucilati, con altri 7 compagni. A condizionare la sentenza oltre alle motivazioni politiche anche la morte dei tre calabresi uccisi nei due scontri a fuoco. Il 25 luglio 1844, nel vallone Rovito, Attilio ed Emilio Bandiera sono fucilati insieme a Giovanni Venerucci, Giacomo Rocca, Anacarsi Nardi, Nicola Ricciotti , Domenico Moro, Francesco Berti e Domenico Lupatelli . Gli altri compagni di spedizione, che costituitisi dopo essere essere riusciti inizialmente a fuggire, hanno la pena capitale commutata in ergastolo.
Questa la fine, gloriosa sì, ma molto triste del nostro personaggio e della spedizione dei Bandiera. Arrivati alla fine di questa dis/avventura vorrei approfondire la vita e il personaggio di Giuseppe Miller. E’ necessario un salto nel passato per scoprire la sua origine, soprattutto perché ha un cognome, se vogliamo strano, perché non fa parte dei soliti nomi tipicamente forlivesi. Emilio Bandiera, parlando di lui nella sua autodifesa, lo dice nato a Forlì nel 1806. Non è vero. In quella data compare lo Stato Civile Napoleonico dove non è registrato alcun nato con quel nome.
Cercherò quindi di raccontare della sua famiglia, della sua nascita, e delle sue, tante, oltre a quella descritta, disavventure.
Il suo cognome
I registri battesimali di San Mercuriale, il 16 dicembre 1804, riportano la nascita di un Giuseppe Francesco Saverio Muller figlio di Leonardo e di Maria Sauter. Si è per molto tempo creduto, sbagliando, che Giuseppe Muller e Giuseppe Miller fossero la stessa persona. Contraddice questa affermazione la data di nascita e il nome del padre: Muller è nato nel 1804 e il padre si chiama Leonardo, Miller nasce nel 1805 (come vedremo) e non 1806, come dice Emilio Bandiera, e il nome del padre è Giorgio.
Ma andiamo per ordine per chiarire questo complicato intreccio. Il 19 dicembre 1804 Giovanni Giorgio di Gaspero Wither nato a Wurzburg in Baviera il 13 marzo 1779, sergente maggiore nella 2° Brigata Svizzera di stanza a Forlì, volendo sposare Alba (Albina) Braganti forlivese, dichiara alla Curia Vescovile il suo stato libero.
Il matrimonio viene celebrato il 1° gennaio 1805 in Ravaldino.
Nell’atto relativo scritto dal Parroco appare un fatto sconcertante: il cognome Wither diventa Milers! Il prete estensore dell’atto ha scritto la doppia W rovesciandola e facendola diventare una M e il resto TH diventa L e all’ER finale aggiunge una S. Proprio uno sforzo di fantasia! Da quel momento Milers prende il sopravvento subendo altre trasformazioni: diventando Miler e poi Miller forme che vengono usate indifferentemente. I due sposi Wither o Miller che dir si voglia vanno ad abitare nella casa della moglie nella via chiamata Ravaglia o Contrada del Zampa, oggi Via Anderlini o Andrelini.
Congedatosi dall’esercito Giorgio Wither comincia ad essere chiamato Viceri o Vicero e anche Visceri parole dialettali con il significato di svizzero, anche se era nato in Baviera, ma militare era aggregato alle truppe svizzere, di qui il soprannome, che verrà usato in tutte le occasioni: censimenti, certificati e quant’altro, come nell’atto di nascita del figlio.
Proprio in via Ravaglia il 21 ottobre 1805 nasce Giuseppe Gaspero battezzato in S. Mercuriale. Nell’atto della registrazione il parroco di S.Mercuriale scrive: Vicero corretto Viceri o viceversa – Dal sud (dett)o (parroco) fu battezzato Giuseppe Gasparo figlio del Sig. Giorgio Vicero e Sig.a Alba Braganti di S.Antonio in Ravaldino nato a ore tre dopo mezzogiorno. Compare Antonio Cicognani di questa Parochia. Giorgio Wither abbandona il servizio militare e assieme alla moglie lavorano come sarti. Il 18 luglio 1807 (vedi lo Stato Civile Napoleonico) nasce una bambina chiamata Adelaide.
Le disavventure
Fra il 1808 o il 1809 Giorgio Wither abbandona famiglia e Forlì. Si arruola nuovamente e torna ad essere un soldato, e di lui non si saprà più nulla. Nel 1812 muore trentenne anche sua moglie Alba Braganti. Che sorte tocca ai due fratelli diventati orfani? Giuseppe ed Adelaide rimangono con la nonna materna Rosa Camprincoli che però non è nelle condizioni di mantenerli. Così cerca di sistemare i nipoti presso gli Istituti di beneficenza esistenti in città. Giuseppe, nel 1812 all’età di 7 anni, entra nel Conservatorio di S.Francesco Regis (in via Misericordia, Istituto che abbiamo visto nell’articolo dedicato a Ferrante Orselli) e Adelaide, nel 1815 all’età di 8 anni, in quello di S.Anna detto delle Mendicanti.
Giuseppe il 21 giugno 1819 all’età di 14 anni, esce dall’Istituto, la sorella il 15 ottobre 1826 all’età di 19 anni e diventa cameriera presso la Contessa Anna Bertozzi. Nel 1822 Giuseppe è domestico presso il caffettiere Giovanni Bendandi e abita in casa con i padroni in corso Garibaldi (oggi). Alla sorella tocca la sorte più triste. Infatti a 26 anni, nel 1833, giovane e nubile, muore. Comincia per Giuseppe una vita solitaria senza genitori né parenti in questa città dove di derelitti come lui ce ne sono tanti. Infatti S.Francesco Regis lavora (come la ruota) a pieno ritmo: orfani, trovatelli, ragazzi di strada a Forlì ce ne sono tantissimi.
A lui succede assieme ad un gruppo di amici un fatto molto grave che segnerà la sua vita. Domenica 7 maggio 1826 giungono a Forlì alcuni Missionari. Quotidianamente oltre alle funzioni religiose una predica detta della meditazione, tenuta due ore prima dell’avemaria nella piazza del Duomo, su un palco all’aperto, perché troppi i partecipanti.
Nel pomeriggio del 18 maggio avviene il fattaccio. Questi giovani nascosti in un angolo della chiesa rimasta deserta, restano in attesa dei sacerdoti e della folla che in processione entra nel tempio. Così a Duomo semi pieno incendiano una grossa castagnola. Lo scoppio dentro la chiesa è terribile, le volte rimbombarono e la folla entrata, presa da terrore fugge precipitosamente urlando verso l’esterno. Molti cadono, qualche donna sviene per lo spavento e la gente rimasta nella piazza comincia a retrocedere urlando. Nella fuga tante cadute anche con gravi danni. Qualche cronista ha anche scritto che qualche donna si sarebbe sgravata innanzi tempo!
La polizia arresta 16 giovani già sospettati per più motivi, fra questi Miler Giuseppe, detto Visceri e successivamente anche Zoppo (o zoppo della castagna), biliardere di anni 20 compiti e libero. Rinviati a giudizio con ben otto capi d’accusa, la sentenza è pronunciata nella seduta di giovedì 6 luglio 1826 dal Tribunale Criminale presieduto dal Card. Agostino Rivarola Pro-Legato di Forlì dopo la morte (11/5/1826) del Legato Stanislao Sanseverino. L’imputato Giuseppe Miller viene condannato come colpevole del secondo (libelli famosi) e terzo capo (sparo nella Cattedrale) d’imputazione, a dieci anni di detenzione nel forte di S. Leo.
Da tutto questo si desume che Miller all’età di 20 anni era ben lontano dall’essere cospiratore e patriota. Viene pesantemente condannato per una stupida ragazzata ben lontana dall’amor di patria e da qualsiasi ideale politico. Rinchiuso quindi in S. Leo non vi rimane per molto. Riesce a fuggire gettandosi dai bastioni, riportando numerose ferite a causa delle quali rimane zoppo (di qui il soprannome) per tutta la vita. Vaga senza meta fino a quando malato si costituisce ad Ancona. Rinchiuso nuovamente in fortezza vi rimane per quattro anni quando viene liberato dagli insorgenti dei moti della rivolta nelle Legazioni Pontificie in Romagna del 1831/32. Liberato si unisce a loro. E’ qui che probabilmente inizia la sua adesione alle idee liberali antipapaline e antiaustriache e la sua educazione liberale.
Infatti combatte a Rimini (battaglia delle Celle 25/3/1831) e di nuovo ad Ancona. Dopo aver visto le sconfitte delle forze insorgenti schiacciate dalle truppe austriache e papaline (Cesena e Forlì) e quindi un ritorno allo status quo ante, decide di emigrare. Siamo nel 1832. Povero e senza mezzi si guadagna il pane con il lavoro, ma collegato ai patrioti emigrati si iscrive alla Giovine Italia e viene convinto ad emigrare a Corfù (protettorato inglese, come abbiamo già detto) per diventare un sicuro punto di riferimento per i patrioti italiani e con il consiglio e l’azione aiutarli. Diventa mercante di notevole successo e vive con una certa agiatezza, fino al giorno in cui entra in contatto con i Bandiera, anche loro emigrati a Corfù. In quel momento iniziano a circolare notizie ( come abbiamo già detto), riportate da tanti giornali, su una rivolta in Calabria e sempre con tanti particolari che creano un’intensa atmosfera di illusione che convince Miller e i Bandiera a pensare ad un’azione concreta.
Così il 12 giugno 1844 grazie all’organizzazione di Miller (e al suo contributo finanziario) avviene la partenza dei 21 uomini di cui abbiamo già visto la fine.
Quella di Giuseppe Miller il 19 giugno 1844. Questa la vicenda di Giuseppe Gaspero figlio di Giorgio Wither o Miler e poi Miller Giuseppe, detto Visceri o Zoppo e anche lo Zoppo della castagna. Qualche considerazione conclusiva su di lui.
All’interno del Palazzo Municipale (parete di sinistra salendo lo scalone) nel novembre 1911 viene scoperta una lapide con l’iscrizione dettata dal famoso epigrafista Pio Squadrani: «Cercate invano le preziose reliquie, la città nativa volle onorato in perpetuo Giuseppe Miller ….». L’affermazione che i resti di Miller non furono trovati non è esatta. Purtroppo sono stati cercati nel posto sbagliato e cioè Cosenza e non San Giovanni in Fiore dove è stato sepolto nel giugno 1844 nella Chiesa della S. Annunziata, dove (forse) sono ancora presenti. Oliverotto Fabretti nel 1921 aveva scritto e chiesto di intitolare la via, chiamata senza nessun motivo particolare Anderlini o Andrelini che dir si voglia, a Giuseppe Wither detto Miller che lì vi è nato al n° 24.
Non solo, seguendo l’esempio di tutte le città che hanno ricondotto in patria i resti di tutti i patrioti fucilati in Calabria nel 1844, Forlì, forse è l’unica con Pesaro a non averlo fatto. Non sarebbe possibile riportarli oggi sapendo quasi con certezza, dove sono sepolti Miller e Tesei: Chiesa della S. Annunziata in S. Giovanni in Fiore?
Non solo, di quella infausta spedizione i nove fucilati sono tutti rientrati nelle città di origine. Ad esempio dal 1867 i Bandiera e Domenico Moro sono sepolti nella Basilica di S.Giovanni e Paolo a Venezia, nel 1868 Lupatelli è a Perugia, Francesco Berti, Giacomo Rocca.
Nicola Ricciotti, Nardi Anacarsi sono nelle loro città dal 1910, Giovanni Venerucci a Rimini dal 18/3/1937, a lui una lapide in Piazza Cavour, ed un busto nella via a lui dedicata. Tralasciamo Meluso (un brigante) e Boccheciampe (un traditore). Il gruppo è formato da 19 uomini, di cui due uccisi in combattimento e rimasti in Calabria, e nove fucilati che sono tornati nelle loro città. I due uccisi (Miller e Tesei), no. Sono stati sepolti a S.Giovanni in Fiore nella chiesa dell’Annunziata per lo meno fino al 1930 quando la chiesa è stata modificata. Infatti Fabretti negli anni 20 aveva la certezza che Miller era sepolto lì.
Seguendo le orme di Fabretti ho cercato di nuovo di avere notizie da S.Giovanni in Fiore sui resti dei due caduti. Ho interpellato un Monsignore e il Sindaco della città per avere notizie più aggiornate su dove possono essere quei resti dopo la ristrutturazione della chiesa dove erano sepolti. Purtroppo a tutt’oggi non ho alcuna risposta. Spero in un prossimo futuro di avere notizie e se accadrà sarà mia cura tenervi informati. Ecco in queste pagine la vicenda di Giuseppe Miller, forlivese di padre tedesco e di madre forlivese. Grazie per l’attenzione.
Agostino Bernucci
PS. Se qualcuno mi leggerà, lo spero, mi auguro che abbia per me, per noi, notizie per correggermi o perfezionare il mio scritto o rispondere alle mie domande, esempio: riportare i resti a Forlì o cambiare nome alle strade. Intervenga! Lo aspetto fiducioso. Grazie.