«Sui fiumi si sono costruiti argini sempre più alti come difesa passiva che hanno ridotto molto la sezione idraulica. E si sono costruite vicino all’argine case ed aree commerciali o industriali. Il territorio, fortemente cementificato è andato incontro all’impermeabilizzazione. Il terreno non assorbe le precipitazioni che scorrono veloci verso il fiume che poi non è in grado di fare defluire le grandi quantità di acqua che, proprio per la forte velocità, li sormonterà. Allora, come ha detto anche il generale Figliuolo in visita di recente nelle nostre zone, bisognerebbe ridare spazio ai fiumi. Gli alberi ‘vivi’ rappresentano una difesa idraulica passiva, in quanto sono in grado di far rallentare la corrente e trattenere il terreno con le radici: è dannoso tagliare gli alberi vicino agli argini, come è stato fatto di recente. L’unica pulizia fluviale che ha senso è la rimozione del legname secco e della plastica dall’alveo, in quanto vengono presi in carico dalle piene creando sbarramenti nelle sezioni critiche come i ponti» è l’analisi di Ornella Mordenti coordinatrice TAAF (Tavolo della Associazioni Ambientaliste di Forlì).
«Questa operazione non è stata ancora eseguita. I letti dei fiumi sono pieni di tronchi e ramaglie. Per la realizzazione dei lavori di rifacimento degli argini, della ricostruzione dei muretti e della sistemazione degli alvei sono stati spesi circa 8 milioni di euro, tuttavia, a tutt’oggi i lavori non sono affatto sufficienti a mettere in sicurezza il territorio da piene consistenti. Serve una pianificazione idraulica e la creazione di casse di espansione: cioè di un’opera idraulica che funziona come bacino di contenimento per ridurre la portata e la pressione della piena. Ma quante casse sono operative al momento? Otto sul fiume Ronco, quattro vasche di laminazione nel punto di confluenza del Montone e del Rabbi; sul Montone quattro casse in progettazione e non ancora finanziate dallo Stato. In modo particolare lungo il fiume Montone vi è una carenza di aree disponibili dove convogliare le acque alluvionali in eccesso, pertanto una seconda strada percorribile potrebbe essere quella di controllare l’esondazione in terreni coltivati ben definiti e circoscritti da apposite arginature; intervento da realizzarsi ovviamente tramite accordo con i proprietari e che preveda l’indennizzo per il danno dovuto alla perdita del raccolto» insiste Mordenti.
«Sarebbe un costo infinitamente minore rispetto a quello sostenuto dopo l’alluvione di maggio scorso. Un’altra proposta proviene dal Presidente della Associazione nazionale Consorzi di Bonifica e riguarda la realizzazione di aree esondabili lungo la fascia delle conoidi posta ai piedi delle colline, prima dell’ingresso dei fiumi in pianura. Opere che avrebbero la tripla funzione di mitigare gli effetti delle alluvioni, soddisfare almeno in parte le esigenze irrigue dell’agricoltura e contribuire alla ricarica della falda acquifera sotterranea. Il Tavolo delle Associazioni Ambientaliste, dopo aver formulato queste proposte operative, fa presente che non sono state individuate ancora le risorse e realizzati veri piani di intervento per la messa in sicurezza del territorio. Il presidente Bonaccini ha detto che si aggiungono per gli investimenti 1,2 miliardi di euro. Queste sono risorse che arrivano dal Pnrr destinate ad investimenti per ripristinare ciò che ha danneggiato l’alluvione a partire dal territorio: frane, strade, patrimoni sportivi, culturali, scuole. Chiediamo che vengano attuate tutte le strategie necessarie per mitigare i danni e rassicurare i cittadini su eventuali ulteriori eventi estremi» conclude la coordinatrice del Taaf.