“Esistere è cambiare, cambiare è maturare, maturare è continuare a creare se stessi senza fine“, così il filosofo francese Henri Bergson sulla mutevolezza dell’uomo e delle sue azioni rispetto alle necessità dell’esistenza; ancora, sul tema Albert Einstein con l’affermazione che “La misura dell’intelligenza è data dalla capacità di cambiare quando è necessario”. Ecco, due riflessioni davvero estranee alla natura politica del Partito Democratico forlivese, negli ultimi giorni abbandonatosi alla professione di tanto rancore, sordo e ostile, sprezzante e vendicativo, contro il professore Claudio Vicini, medico chirurgo di indiscusso valore, e Marco Di Maio, ex parlamentare dal 2013 al 2022, prima col PD, poi con Italia Viva, partito del quale è stato cofondatore.
Motivo di tanto astio il sostegno, da entrambi ampiamente e fondatamente motivato a favore del candidato sindaco di centrodestra a Forlì, Gian Luca Zattini, alfiere di un progetto politico di impegno civico, molto innovativo proprio per la determinazione di aggregare in modo pragmatico chiunque, da destra a sinistra, sia disponibile, perché convinto dall’ineluttabilità del cambiamento dei tempi e degli uomini, a partecipare ad una politica del fare, aliena da schematismi, pregiudiziali, vincoli ideologici e di partito. Dovremmo tutti plaudire a tale sorgente novità politica, magari anche con spirito critico e partecipazione dialettica, invece no, il Partito Democratico si è arroccato nel disprezzo di questa iniziativa zattiniana, uscendo fuor di senno, non solo quello della correttezza politica, ma, soprattutto, del rispetto umano, comunque sempre dovuto.
Il PD ha così dato di matto, perdendo insensatamente ogni controllo per finire nell’isteria di una penosa, solo riprovevole condotta: contro Vicini e Di Maio l’accusa di tradimento, di opportunistica scelta di schierarsi con Zattini solo per promuovere, tutelare interessi personali, infine la premeditazione di aizzare l’odio piddino e “campolarghista” contro i due protagonisti, bersaglio di tanta desiderata vendetta. Una vicenda vergognosa che conferma tristemente come anche i piddini forlivesi siano i degni eredi dei trascorsi comunisti, sempre tanto indegni nelle loro faide interne e nella loro perversa logica politica che fosse ben accetto chiunque da altro partito abbracciasse la loro causa e, invece, dovesse considerarsi persona reietta chi criticasse o abbandonasse quella sinistra comunista o paracomunista che molto ha brigato, fatto carte false per giungere al potere, ritrovandosi, però, alla fine solo tanto miseramente sotto il governo di una destra dura e pura. In questa sconfitta si ripone il seme dell’attuale odio della sinistra, nazionale e forlivese.
La vicenda del professore Vicini e dell’onorevole Di Maio richiama alla mente il disprezzo di Palmiro Togliatti, Migliore nel peggio di tutto, contro Aldo Cucchi e Valdo Magnani, due compagni di Reggio Emilia, accusati di aver criticato, quindi tradito la linea dell’allora PCI, per questo nel ’51 espulsi dal partito. Oggi, i tristi epigoni forlivesi di quella vergogna togliattiana hanno preso di mira Vicini e Di Maio: certo, i tempi e le modalità aggressive sono cambiati, ma i due hanno, comunque, subito un attacco duro e in grande malafede. Come mai i compagnucci si sono svegliati solo ora, nonostante, da tempo, Vicini e Di Maio, abbiano manifestato apertamente, seppur in modo diverso, il loro interesse per l’amministrazione Zattini? In realtà, nel PD forlivese cova la disperazione di sentire allontanarsi l’importante consenso moderato, vero ago della bilancia politica locale; è la rabbia di chi morde solo aria nel vano tentativo con la bocca di acchiappare le mosche al volo.
Malgrado tutto, l’onorevole Di Maio ha dato prova di generosità, definendo l’attacco del PD forlivese solo cattiveria gratuita, infatti la colpa piddina è cosa ben più grave, è la malignità di chi non vuole guardarsi attorno e porsi il vero interrogativo ovvero “Dove ho mancato per essere abbandonato dagli elettori, dagli iscritti, da due persone credibili, appunto Vicini e Di Maio? Questa la vera domanda chiave, la cui risposta obiettiva conferma quanto sia giusto cambiare, quindi lasciare il PD forlivese al suo destino, proprio sussistendo la necessità di cambiamento, indicata da Einstein. Potevano restare sacrificati il contributo e l’esperienza di Vicini e Di Maio?
Si convincano il Partito Democratico forlivese, il velleitario candidato sindaco Rinaldini e tutti i “campilarghisti” che, ormai, viviamo in una crescente, per fortuna, libertà da ideologie, perlopiù vetuste e anacronistiche, poi da vecchi schemi politici dogmatici o irreali, infine dal laccio oppressivo che l’attualità e il futuro debbano farsi condizionare più dal pregiudizio storico di ciò che è stato anziché da idee, prospettive nuove: per tutto questo vale la pena cambiare, manifestandone il palese coraggio, come nel caso del professore Claudio Vicini e dell’onorevole Di Maio.
Franco D’Emilio