Voglio qui ricordare il caro amico Giuseppe (Pino) Della Valle che è stata la persona che mi ha così ben informato su questi avvenimenti e sui risvolti tecnico logistico militari della vicenda. Fatti che mi accingo a scrivere. Grazie, ancora una volta, Pino!
Quando si parla della distruzione di San Biagio (S.Girolamo in S.Biagio), come in questa ricorrenza dell’80° anniversario, si ricordano giustamente le vittime (19, fra cui tre bimbi) e le perdite del patrimonio artistico, ma non si affronta l’argomento più intrigante, cioè il perché e il come è stato colpito. Infatti non è chiaro come mai un anonimo pilota Tedesco abbia deciso di colpire una sconosciuta chiesa tra i tanti obiettivi militari a sua disposizione e di sua competenza. Se la chiesa fosse stata bombardata durante una incursione strategica con molti e grandi aerei come per un qualsiasi altro punto della città sarebbe stato normale, ma se un singolo piccolo aereo cerca proprio quel punto e lo colpisce, nascono diversi interrogativi. Primo fra tutti : perchè? Si trascura pure di accennare che nello stesso giorno e alla stessa ora veniva colpita anche una zona centrale della città come Corso Diaz, sempre da un singolo aereo provocando danni e perdite umane superiori di quelli di S.Biagio.
Gli aerei
Gli aerei tedeschi impegnati in questo bombardamento sono 6 Foche-Wulf 190 F8. Ognuno di loro dotato di una bomba di tipo Grossladungsbombe SB 1000 (bomba a grande carica) di 2.200 Kg. Velocità 600 Kh, armamento 2 cannoni, 2 mitragliatrici. L’antiaerea rendeva pericoloso rimanere in traiettoria troppo a lungo. Il pilota era costretto a sganciare rapidamente. Aerei del tipo FW 190 F8, erano giunti in Ottobre da Koln-Wahn all’aeroporto di Osoppo e poi presi in carico dal Sunderstaffel Heinhorn NSGr9 di Villafranca. Da qui erano partiti il 10 dicembre 1944. 4 per Forlì e due per Cesena, alle ore 15 circa, per giungere a Forlì alle 16,45 attraversandola da SE a NO.
Domande
– Come facevano i piloti che non avevano mai sorvolato Forlì ad individuare e colpire degli obiettivi di circa 2 Kmq su una superficie di 3.000 Kmq, tenendo conto che alle ore 17 in dicembre l’oscurità è già incombente?
– Com’era possibile al pilota al comando di un aereo che volava alla velocità di circa 500/600 Kmh nel tempo di 10 secondi (tempo di avvicinamento all’obiettivo e/o attraversamento della città) individuare il bersaglio, sganciare l’ordigno, allontanarsi dal punto d’impatto, senza avere una precisa visuale del suolo vista la configurazione dell’aereo e del posto di pilotaggio?
Nasce quindi l’ipotesi concreta di un’informazione delle coordinate di sgancio gestita da terra via radio e inviata all’aereo. Anche A.Mambelli riporta la notizia di radio clandestine, come ad esempio in S.Martino in Strada, e l’ordinanza del governatore militare che prevede la pena di morte senza processo. Questi aerei erano muniti del sistema FuGZY ( Zielflugazieige) che dava al pilota la possibilità guardando lo strumento AFN1 ( Anzelgegerat) di dirigere l’aereo verso il punto a terra indicato dal segnale radio.
Gli obiettivi
A Forlì gli Alleati avevano posto gli alloggi del personale e degli ufficiali in vari edifici del centro: In Corso Diaz: palazzo Mangelli, Prati, Merenda, in più Via Maldenti, Viale Italia, Vittorio Veneto e nel convento adiacente S.Biagio erano ospitati ufficiali alleati. La ghiacciaia Monti era stata convertita in deposito di automezzi. Due ordigni non esplodono sono quelli destinati a palazzo Mangelli e in via Maldenti.
A Cesena il comando dell’VIII Armata Britannica con stazione radio e alloggi per gli ufficiali, distrutto. Il momento è anche critico per l’azione su Faenza, dov’è in quel momento il fronte. In quei giorni era in corso l’attacco per la sua occupazione. I Canadesi avevano delle difficoltà per gli spostamenti di alcuni comandi dell’VIII° Armata. Sostituzioni che creavano una logica disorganizzazione iniziale, conosciuta dai tedeschi tramite una rete “stay behin“, che probabilmente ha poi anche guidato l’incursione su Forlì. Lo spionaggio tedesco ne era a conoscenza e scelse quello che era il punto debole da colpire e cioè comandi e comandanti. Probabilmente si è pensato che l’unico momento in cui tutti gli ufficiali si fossero trovati riuniti in un unico posto era la sera al termine del servizio. Ecco perché l’attacco avviene alle ore 17 circa.
A Cesena vengono distrutti Villa Saraceni, la mensa e soprattutto interrotte le comunicazioni con il fronte di Faenza. A Forlì gli ufficiali del Comando sono a Palazzo Mangelli e Prati-Merenda, in Corso Diaz. L’aereo che colpisce S.Biagio forse aveva come obiettivo ponte Schiavonia o il comando inglese di Viale Italia. Fatto segno ai colpi della contraerea presente tra Viale Italia e via Dandolo, sgancia la sua bomba che cade sul campanile, facendolo crollare sulla chiesa. Attorno a questa molti automezzi militari, una folla per un funerale ed anche la contraerea e l’oscurità, tutti elementi che possono aver fatto sbagliare il pilota, forse anche un errore nelle coordinate inviate al pilota.
Gli effetti
Il 10 dicembre 1944 verso le 16,45, A.Mambelli parla della 17,15, Forlì viene bombardata da questi 4 aerei tedeschi. Come abbiamo scritto per S.Biagio, si contano 19 morti. In Corso Diaz se ne contano una sessantina. Il comando anglo-canadese non ha mai comunicato le sue perdite, solo molto più tardi si verrà a sapere di un centinaio di militari morti fra Forlì e Cesena. Inoltre diverse sono le caratteristiche delle esplosioni rispetto ai precedenti bombardamenti (esempio 25 Agosto 1944). Gli ordigni di quelle incursioni erano caratterizzati dalla creazione di un cratere a terra e da infinite schegge lanciate tutt’intorno. I danni provocati dagli ordigni del 10/12/44, un’unica bomba per ogni obiettivo, sono risultati molto più estesi di quelli provocati da più bombe nelle precedente incursioni. Le bombe del 10 dicembre avevano uno sviluppo orizzontale anziché a imbuto come quelle se vogliamo tradizionali. Non c’è traccia di un cratere. Non ci sono segni di schegge sui muri limitrofi degli edifici rimasti indenni. Infatti, l’edificio in mattoni a vista posto sul lato destro, quasi all’angolo tra le vie Dandolo e Paradiso, con un’alta facciata simile a quella di una chiesa (il vero S. Biagio), non presenta nessun segno di schegge o lesioni.
Le foto dell’epoca testimoniano che:
– il muro di cinta in angolo tra via S.Biagio e via Dandolo, è intatto dopo lo scoppio e con la scritta Cold Store con una freccia verso il deposito Monti;
-Il piano superiore del convento delle suore distrutto e all’apparenza “svuotato” mentre il muretto che lo divideva da S.Biagio perfettamente intatto e così come l’ingresso/facciata del convento.
– Il perimetro della chiesa, ben visibile per le sue fondamenta che emergevano dal piano del terreno circostante, ingombro di macerie in alcuni punti ammucchiate, tutte le travi cadute in gran quantità non sono incendiate come il palo in legno della luce in angolo alla strada, intatto.
-nessun cratere visibile nella spianata.
Non è lo scenario già visto in altri bombardamenti effettuati con bombe “normali”.
-Diversi morti non dichiarati, ma presumibili tra quelli alloggiati al piano superiore del convento e quelli presenti al deposito Monti, visto che sono stati ritrovati durante alcuni lavori nell’ex deposito il 4 Settembre 2005 diversi sacchi contenenti resti umani.
Nello stesso giorno dell’incursione di S.Biagio, Mambelli racconta che anche tra via Merenda e Corso Diaz, una bomba era caduta sull’area ora occupata dal teatro D.Fabbri, provocando grande distruzioni e oltre una sessantina di morti (risultati poi oltre un centinaio, in prevalenza militari Alleati). L’interno del fabbricato completamente libero da strutture murali come se fossero state risucchiate dall’alto. Così pure tetti e solai degli altri edifici subito dietro, lungo via Dall’Aste. Similmente libero e svuotato il cortile, ora parcheggio, dell’istituto Prati. Tutto attorno gli edifici del tempo, non presentavano segni di lesioni provocate da schegge. Scenari identici a quelli testimoniati e visti a S.Biagio.
Gli ordigni
Senza dubbio le bombe dovevano essere del tipo Grossladungsbombe SB 1000 (bomba a grande carica) di 2.200 Kg lunga 2.650 m. con spoletta AZ55A che faceva esplodere la bomba prima di toccare il suolo in modo che l’espansione dei gas non fossero ostacolati dalla sua penetrazione nel terreno (cratere). Queste spolette non erano però molto affidabili, infatti su Forlì, 2 non funzionano, Palazzo Mangelli e via Maldenti si salvano perchè le bombe ( per fortuna) non esplodono. Mambelli riporta n.12 incursioni di aerei tedeschi tra il 22 Nov e il 10 Dic. evidenziando: la presenza di ”enormi crateri” dove erano cadute le bombe “normali”. La bomba caduta in via Diaz era ad aria compressa? fece poco rumore, ma una forte scossa.
Dalle testimonianze raccolte si può così riassumere l’insieme degli effetti: poco rumore – colpo non tanto forte – gran polverone -spostamento d’aria – polvere – fumo – (campanile di S.Biagio) sparito nel nulla. Siluro? aria liquida o compressa? I testimoni si sono trovati di fronte a un “qualcosa” di insolito mai visto o immaginato prima di allora. Le interpretazioni date dai testimoni, possono essere spiegate con l’immaginario collettivo del tempo, nel quale, non conoscendo ancora gli effetti delle armi attuali, si considerava il siluro un ordigno potentissimo! Stessa cosa: l’aria liquida e l’aria compressa, di cui si immaginavano gli effetti fisici devastanti, su cui molto aveva favoleggiato la propaganda, ma che nessuno aveva mai visto o provato, anche perché mai usati. L’ipotesi del siluro va scartata in quanto un siluro porta una carica di tritolo di 270 Kg (poco in rapporto alle devastazione di S.Biagio e corso Diaz), inoltre la carica esplosiva del siluro è solo 1/5 del peso del siluro e non ha senso portare tanta zavorra inutile in una missione per la quale sono specificatamente previste e studiate apposite bombe da aereo.
L’aria liquida, può essere presa in considerazione come ipotesi, solo per l’effetto della devastazione che può causare, ma allo stato dell’arte di quei tempi è difficile pensare che si possa aver avuto disponibili tutti i mezzi tecnologici per realizzare il trasporto e la sua manipolazione. Il suo utilizzo era considerato solo teorico negli ambienti militari. A questo punto, va ricercato quale tipo di ordigno può aver causato i danni descritti e le impressioni dei testimoni. Due ne emergono per il loro impatto distruttivo: le V2 di di Londra e la FX 1400 Fritz, usata per l’affondamento della corazzata Roma in 22 minuti (44.000 ton, la più potente nave esistente allora). Questi ordigni sono però da scartare per l’impossibilità di essere trasportate dai piccoli aerei visti su Forlì. Ambedue però avevano in comune lo stesso tipo di esplosivo: il nitrato di ammonio, il cui effetto deflagrante su vaste superfici è devastante.
La deflagrazione di questa sostanza, miscelata con una minor quantità di tritolo ed altri componenti atti a favorire la reazione, provoca un’onda d’urto sufficiente a far crollare il campanile e la parte superiore del convento senza incendiare la gran quantità di legname (travi del tetto, palo dell’illuminazione) ben visibile intatto nelle foto dell’epoca e subito dopo prelevato dai soccorritori (faceva freddo, necessità di combustibile per il riscaldamento delle case). Lo scoppio non tanto forte riportato, può essere stato provocato dalla “piccola” carica di tritolo per innescare la reazione. La mancanza delle tracce di schegge o altro materiale lanciato
dalla deflagrazione, può essere attribuita dalla mancata necessità di avere un robusto involucro per l’ordigno, che doveva basare la sua efficienza non ad una azione di scoppio, (rompere il robusto involucro e proiettarne i frammenti nello spazio circostante con alta velocità di propagazione), ma ad un’azione deflagrante, con un’onda d’urto più lenta, ma sviluppante tutta la sua pressione sulle superfici che avrebbe incontrato nel suo espandersi.
Esaminando le bombe disponibili usate dai Tedeschi contenenti nitrato di ammonio, la più probabile che poteva essere usata nel contesto di Forlì è risultata la Grossladungsbombe – SB 1.000 che normalmente conteneva 60% di tritolo e 40% di nitrato di ammonio (FP 60/40) ma poteva anche avere 20% di tritolo e 80% di nitrato di ammonio (FP 20/80). In ambedue i casi, specificatamente pensate per la distruzione di vaste aree in centri urbani a causa del grande volume di gas prodotto durante l’ esplosione. Le sue dimensioni erano simili e confondibili a quelle di un siluro (lunga 2,650 mt, diametro 650 mm.) e trasportabile dai Foche-Wulf monomotori visti sopra Forlì. Questa che abbiamo descritto è un’azione insolita e fuori dagli schemi, con aerei e ordigni speciali e inconsueti, ed è stata fatta a Forlì a soli 82 giorni dell’inizio delle trattative di resa.
Non si ha notizia che il tipo di bomba usata a Forlì sia stata impiegata in altri teatri operativi, senz’altro non in Italia. Il suo impiego è stato specifico per il tipo di impiego e gli aerei che l’hanno trasportata, appositamente adattati al suo trasporto. Gli Stati Uniti posseggono ora, armi simili enormemente più potenti, ma che impiegano la stessa metodologia, scopo e stesso tipo di esplosivo. Forlì ne è stata suo malgrado l’antesignana ed entra a far parte della storia dell’aeronautica e degli armamenti sempre più distruttivi. Da tutto quanto abbiamo scritto la distruzione di S. Biagio è stata, purtroppo, un danno collaterale dovuto ad un qualche errore. Non certamente alla volontà di colpire la chiesa. S. Biagio è venuto a trovarsi in mezzo a tre “obiettivi sensibili”: Ponte di Schiavonia, comando Anglo/Canadese di Corso Italia/Viale Vittorio Veneto, deposito viveri di Monti con relativi autocarri sparsi tutto attorno. A ottant’anni da questo tragico evento, il mio pensiero va tutti questi civili e militari che sono morti solo perché si sono trovati nel posto sbagliato e nel momento sbagliato. Questo dovrebbe farci riflettere, soprattutto in questo periodo, in cui basta aprire un giornale o vedere la televisione per sentire solo parole su tutte le guerre in corso o semplicemente sulle quotidiane rivolte civili.
Agostino Bernucci