Continuando il racconto che ho fatto nella prima parte di questa mia visita strettamente privata e personale, lasciamo il piazzale con palazzo Cappelli e continuiamo la nostra passeggiata verso la fine del paese. Incontriamo così, oltre a varie ville, sulla sinistra, l’oratorio di S. Stefano. E’ una piccola chiesa della metà del 18°sec. ad una navata, dove in funzione di base d’altare è stata posta un’edicola sacra con iscrizione romana che in origine era vicino ad un antico lavatoio nella Marecchiese proprio di fronte alla stradina che porta alla Pieve. Fronte a capanna con abside a forma poligonale e cantoria addossata alla parete d’ingresso. Piccolo campanile a vela. Tutto qui.
Secchiano aveva un’economia di tipo signorile con le case di campagna dei signori, ecco le Ville e lungo l’asse stradale quelle dei braccianti e casanti. Poco prima dell’oratorio, a destra, si apre una piccola strada che porta o meglio portava alla Stazione! Sì, alla stazione della ferrovia perché in un tempo ormai antico esisteva una ferrovia, il famoso trenino! Da Rimini, dove aveva un percorso che attraversava addirittura il centro, portava a Mercatino Marecchia (1907), divenuto poi Novafeltria nel 1940. La distanza coperta era di 34 Km. Con la locomotiva il tempo impiegato era di 1ora e mezza. Era un trenino a scartamento ridotto italiano che aveva sede nella parte destra della Statale verso Novafeltria. Diverse le carenze strutturali che la condizionarono sempre, comunque questa ferrovia riuscì a svolgere un insostituibile compito nell’economia locale.
Non solo, la vallata uscì dall’isolamento e anche sì, dalla povertà. E’ stato un concreto strumento di unione delle popolazioni che si sentivano omogenee e complementari anche se divise fra Romagna e Marche. Oggi la Marecchiese ci sembra una strada alquanto stretta, ma come doveva esserlo dovendo ospitare anche la strada ferrata? Io ho visto tutto questo e forse per l’insignificante traffico che esisteva allora non ho mai notato nulla di particolare. Il trenino fino al 1952 era trainato da una piccola locomotiva a vapore poi sostituita dalle Littorine diesel, nome dato in Italia, durante il periodo fascista, (Fascio Littorio = Littorina), alle prime automotrici ferroviarie.
Il traffico più che di passeggeri, tanti per la verità, era dedicato al trasporto merci in particolare al materiale sulfureo che proveniva dalla miniera di zolfo di Perticara. Da questa località, altezza 650 m., con una teleferica il materiale arrivava alla stazione di Mercatino da dove proseguiva fino alla stazione di Rimini Porto presso il faro. Questa ferrovia iniziò ad operare nel 1916 e solo nel 1922 raggiunse Mercatino Marecchia- Novafeltria. Purtroppo l’estendersi del trasporto su gomma determinarono la sua scomparsa unitamente ad una immotivata sfiducia nel treno. Fu chiusa domenica 16 ottobre 1960. Dopo pochi anni (1964) smise la produzione anche la miniera di Perticara gestita dalla Montecatini.
Qualche anno dopo, locomotive e vagoni erano ridotti a ferraglia. Nell’ottobre del 1970, esattamente dopo dieci anni dalla chiusura al traffico della linea, il materiale rotabile fu venduto come ferrovecchio. Si salvò una piccola locomotiva Krauss (classe 1900), il cosiddetto piccolo e grazioso “cubo”, che oggi si offre agli obbiettivi delle macchine fotografiche lungo la “ferrovia museo” svizzera Blonay-Chamby, che la restaurò e la fece di nuovo funzionare nel 1981. Nel 1952, Sergio Zavoli dedicò alla ferrovia Rimini-Novafeltria un documentario radiofonico di 34 minuti dal titolo Scartamento ridotto. Vi sono i commenti degli abitanti della vallata, ricordi, stati d’animo, speranze. Tutti la vedono come una grande innovazione e opportunità di sviluppo, e tutti ne sono entusiasti. I dirigenti della ferrovia no, la volevano smantellare per l’insufficiente rendita economica.
Invano Umberto Bartolani propose di acquistare il trenino per collocarlo nei giardini pubblici per i bambini dei vari paesi. Questa in breve la storia di questa ferrovia che io ho ben conosciuto avendola usata fino alla sua scomparsa. Non avevo auto e quindi per venire a Secchiano usavo, usavamo il trenino. Un trenino che resta in quelli della mia età come un mezzo per raccontare vecchie favole ai bambini. Ricordi sempre ricordi ed io a coltivarli come fiori profumati in una serra surreale che mi appartiene come la mia vita. Il Trenino con il fumo della locomotiva che emanava un odore particolare, e le fronde degli alberi che sembravano in festa al suo passaggio ed entravano anche dentro i finestrini quando il treno passava nei cortili o nelle aie come uno di casa.
Oggi leggo che moltissimi la rimpiangono. Qualcuno sognerebbe un metrò di superficie, altri una verde pista ciclabile. Solo a Secchiano ne è stata realizzata una, ma breve, perché il tracciato della ferrovia evitava la strada principale all’inizio delle Ville e passava a fianco dell’abitato, per ritornare alla statale dopo Carosello. Comunque sono tutte ipotesi impossibili, perché della vecchia ferrovia non è rimasto più niente. Né il tracciato fagocitato dalla marecchiese e null’altro. Sono ancora esistenti solo le stazioni e i caselli. L’eco delle ferrovie si fa però sentire. In Lombardia queste e i treni a vapore sono tornati di moda e tutto questo continua a vivere con entusiasmo.
Infatti è stata istituita la giornata “Ferrovie abbandonate” con l’impulso e il coordinamento di Co.Mo.Do.(Confederazione Mobilità Dolce). E’ un’iniziativa che ha come obiettivo quello di conservare la memoria dei tracciati ferroviari non più utilizzati esistenti in Italia. Sono tanti, tanti anni che in Lombardia e Veneto si celebra questa giornata. Dove è possibile vengono rimesse in funzione le vecchie locomotive per qualche breve viaggio sui binari ancora esistenti. E così continuo questa mia passeggiata per questi luoghi da me ben conosciuti e lasciate le “Ville” scendiamo, c’è una piccola discesa, verso il Borgo chiamato Carosello posto alla destra della strada. Rappresenta l’ultimo gruppo di abitazioni di Secchiano.
La prima casa a destra è il mulino di mio nonno Francesco Bernucci chiamato “Cichin”. Un personaggio a suo tempo famoso, perché dopo il servizio militare (8° Reggimento Lancieri di Montebello) nel 1896 emigrò con mia nonna in Brasile. Qui a differenza di tanti altri secchianesi emigrati come lui, fece fortuna e nel 1913, tornato in Italia, acquistò il mulino con annessa casa e piccolo podere. In Brasile erano nati ben otto figli, fra cui mio padre. Altri due nasceranno dopo. A Secchiano diventò un personaggio e a ricordarlo tutti gli portavano rispetto. Il Mulino alimentato ad acqua del Marecchia con una lunga roggia ha lavorato per molti anni, fino a quando è stato soppiantato per la concorrenza dei mulini meccanici (1970).
La sua presenza è testimoniata dal testo “I mulini della Val Marecchia” Editrice La Mandragora 1999. Dice: struttura in sassi del fiume tutta faccia a vista. Meccaniche: 1 da grano, 1 da mais. Anche nel testo: Ruote sull’acqua di Giovanni Lucerna, Bononia University Press, il mulino Bernucci c’è. Di fianco a questo edificio una stradina porta più sopra nel piccolo borgo lontano dal rumore e dal traffico quotidiana. E’ una piccola isola pedonale usata solo da chi vi abita. E’ Carosello (nella foto).
Al centro si apre una piazzetta circondata dalle case, tutte basse, tutte antiche. Al centro di questo spazio la Cappella edificata nel 1853 dedicata alla Madonna del colera, dopo l’epidemia della malattia. E’ molto piccola e in pochi possono entrarvi. La struttura è in pietra del fiume a vista con due feritoie ai lati della porticina d’ingresso che è rialzata di due gradini dal piano stradale, a destra il campanile a vela in mattoni, a mio parere, anche troppo alto. Qui è anche la casa di Mirro Antonini del quale abbiamo già parlato e abbiamo fatto vedere nella prima pagina della prima puntata, un suo quadro dedicato alla Pieve e al Camposanto di Secchiano. Il Comune di Novafeltria ha posto una lapide ricordo a ridosso della sua casa.
Il toponimo Carosello deriva dal tempo antico perché qui la famiglia Roselli possedeva diverse case. Da case dei Roselli nel tempo, il luogo è stato chiamato Carosello e così è rimasto per sempre. E’ sopra un piccolo dosso che ha sotto di sé la Marecchiese. Il panorama che si osserva è molto bello. Guardando verso il fiume, al di là di questo si ammirano a destra il monte di Maiolo con i resti della sua fortificazione, parti di torri poligonali e a sinistra S.Leo e la sua rocca ancora intatta con le torri cilindriche.
Scendendo e tornando nella Marecchiese vediamo quasi di fronte al mulino un ponte che attraversa il fiume da dove parte la strada che porta a S.Leo. Poco distante si incontra il luogo chiamato Piega di cui abbiamo parlato nella prima puntata del nostro viaggio-racconto. Oggi questo borgo posto su un piccolo dosso è completamente restaurato. Certamente nel medioevo doveva essere debitamente fortificato. I suoi proprietari erano senz’altro dei concorrenti di Galasso di Secchiano nel taglieggiare i mercanti o i viaggiatori che salivano o scendevano per la Marecchiese, l’antica strada romana, chissà come si chiamava allora. Ecco spiegata la sua presa e distruzione da parte del solito Galasso.
Io concludo qui questa mia visita a Secchiano. Spero di essere stato descrittivamente esauriente. Ho visto che in rete di questi luoghi c’è ampio materiale da vedere e da leggere. Grazie per la vostra attenzione e, visto il momento, Augurissimi di Buone Feste.
Agostino Bernucci