Forlì 1800: Minghino e la sua Tudina (prima parte)

Palazzo Manzoni

1- Domenico Manzoni, faentino e forlivese

2- Palazzo Manzoni

Questa prima parte del nostro lavoro tratterà dei due personaggi presentati e del loro palazzo forlivese.

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DOMENICO MANZONI

Faentino e Forlivese

Il titolo riprende i soprannomi dati dagli amici più cari, come Pietro Giordani, a Domenico Manzoni e a sua moglie Gertrude Versari. Manzoni nasce a Faenza nel luglio del 1775 da Antonio e Paola Bassi della Parrocchia di S.Clemente e muore a Forlì il 26 maggio 1817. Che dire di lui? Perché è un personaggio da ricordare a distanza di due secoli e mezzo? La sua vita è anche breve, se vogliamo, poco più di quarant’anni, ma intensa.

Sposa Geltrude Versari figlia di Girolamo, famoso medico forlivese e sorella di Camillo Versari, anche lui illustre medico e benefattore tanto che dona (1873) alla sua città: Forlì, la statua dedicata a G.B.Morgagni. Quanti figli nascono dalla coppia Manzoni-Versari non ci è dato sapere. Abbiamo letto, ma senza certezze, di un numero di nove, ma anche di sette. Conosciamo solo il nome di due figlie, Antonia, sposata al riminese Giovanni Cisterni, che deve la sua fortuna proprio al suocero Domenico Manzoni, che lo aiuta ad aprire un’attività commerciale in Ancona; e l’altra Paolina che sposerà un Versari e che si può trovare nell’epistolario di Pietro Giordani in data 17 giugno 1846.

Sempre a proposito di figli ricordiamo Pietro Giordani che, in una lettera del 15 marzo 1817 (quindi un mese prima dell’omicidio), scrive: «Mia cara Tudina….e dice, fra le altre cose (sembra una battuta)…oh, non sapevo io che a voi fare un ragazzo costa meno che a me una lettera? Abbracciate per me Minghino e baciatemi i vostri ragazzi. Vi desidero ogni bene e della prole ancora, perché ne siete insaziabile. Addio cara Tudina»Quindi da tutto questo possiamo ricavare che la Sig.ra Manzoni era spesso in gravidanza.

A parte la figliolanza e tornando un attimo a “Minghino”, come amichevolmente lo chiama Giordani, questi, a volte viene definito banchiere, ma anche (e li abbiamo tralasciati) Conte, ed anche Cavaliere. Quale fra tutti questi sarà il titolo vero? Non lo sappiamo. Noi però leggendo i disegni di Giuseppe Missirini del palazzo Manzoni vediamo che l’architetto lo chiama solo Signore. E questo ci basta.

Nella sua città d’origine, Faenza, si inimica subito molti ambienti e molte persone che contano, in quanto dimostra fin da giovanissimo un carattere spregiudicato da affarista e speculatore senza scrupoli. Lo troviamo fra i faentini condannati per giacobinismo durante la reazione austriaca del 1799 con il governo della Cesarea Regia Reggenza Provvisoria. Anche lui quindi era un liberale, un giacobino e un anticlericale. Senza dubbio nello stesso anno lascia Faenza e si trasferisce a Forlì, che è la capitale del Dipartimento del Rubicone. Ha 24 o 25 anni, quindi è molto giovane. Inoltre durante il periodo napoleonico Manzoni è legato ad una Loggia Massonica e dopo Restaurazione si unirà alla Carboneria, come fu fatto da moltissimi altri massoni.

Nell’amministrazione Napoleonica ottiene ruoli particolarmente importanti tanto che, con questi incarichi e il suo muoversi negli affari come abbiamo detto, da spregiudicato, audace, impudente, cinico, sfrontato si crea un ingente patrimonio valutato, si diceva allora, dai 200 ai 300 mila ducati. La sua ascesa politica, economica e sociale è rapidissima, ma anche piena di problemi. Anche qui, vista la sua esperienza di esperto faccendiere continua i suoi traffici commerciali arricchendosi con il commercio delle granaglie e con speculazioni bancarie, attirandosi le antipatie sia dei nobili, che del popolo. Accumula un enorme patrimonio. Se Manzoni sia stato un delatore o solo un uomo capace non si saprà mai, ma il suo nome sarà per sempre legato all’arte, sia perché il suo sepolcro è un capolavoro, sia perché la Canoviana “Danzatrice col dito al mento” è detta anche “Danzatrice Manzoni”. a Chiesa nel 1el 1

Il personaggio in questione doveva però avvertire ad un certo punto la necessità di realizzare una forma di riscatto sociale. Viste le sue possibilità economiche e il matrimonio con la figlia di una delle famiglie più in vista di Forlì, tutto questo fa nascere in lui il desiderio di trasformare la sua famiglia in una delle più importanti, in questa città d’adozione. Ricomincia così una nuova vita, sempre economicamente fortunata, ma che, ahimè, si concluderà tragicamente. Trova nel mecenatismo il terreno su cui conquistare dei meriti. Importanti sono a questo fine le sue conoscenze ed amicizie in campo letterario ed artistico. Infatti grazie a queste stabilisce solidi rapporti con Felice Giani, Giovan Battista Ballanti Graziani, Pietro Giordani e, grazie a quest’ultimo, anche con Antonio Canova.

Questo del riscatto sociale non è in età napoleonica un fatto isolato. Ricordiamo il lodigiano Gio­vanni Battista Sommariva che ritiratosi dalla politi­ca, pensò di rifarsi una reputazione divenendo uno dei maggiori collezionisti di tutti i tempi.

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PALAZZO MANZONI

Abbiamo parlato dei rapporti di Domenico Manzoni con i personaggi di grande rilievo artistico del suo periodo. In particolare vogliamo ancora ricordare Pietro Giordani (1774-1848) e il suo ricco epistolario con la moglie di Manzoni, lettere che ci permettono di conoscere tanti particolari della famiglia, come il problema dell’educazione dei figli, soprattutto dopo la morte del padre. E così Geltrude, Tuda o ancora Tudina è l’interlocutrice di questo intenso rapporto epistolare. Con lei e con “Minghino” (Domenico) come lo chiama Giordani, nasce a suo tempo la volontà di affidare un’importante commissione a Canova. E’ lo stesso Giordani a scegliere il soggetto nello studio dello scultore a Roma (sarà la famosa danzatrice col dito).

Manzoni trova proprio in Felice Giani e Antonio Canova, i maggio­ri artisti a cui si rivolge, i personaggi con i quali nobilitare la propria ricchezza e la propria immagine pubblica. Ma non abbiamo ancora ricordato l’acquisto nei primi anni del 1800 del palazzo che porta il suo nome e dove sarebbe stata poi ospitata l’opera Canoviana. Vediamo i particolari: è un palazzo del 1400 o 1500, situato nel centro storico di Forlì, ieri Borgo Schiavonia, oggi Corso Garibaldi n°120, a breve distanza dalla Chiesa della Trinità. In origine era appartenuto alla famiglia Morattini (vedi la strada che oggi lateralmente fiancheggia il palazzo, e che porta questo nome). A sinistra del palazzo esisteva una chiesa. In origine dedicata a San Bernardo, poi a Sant’Antonio dei Battuti Celestini (una delle tante confraternite forlivesi dei cosiddetti Battuti: arte e dote per le zitelle e istruzione per i fanciulli.), Chiesa che viene restaurata nel 1785, e poi espropriata e successivamente demolita.

È Giuseppe Missirini (1778/1829) fratello di Melchiorre o Melchior come preferiva lui, architetto, massimo rappresentante dell’architettura neoclassica forlivese, che si occupa di tutte le trasformazioni che saranno attuate all’interno di questo palazzo ed è proprio dai suoi disegni del 1808-09 e ‘16 che si ha la certezza della presenza ed anche l’immagine disegnata di questa scomparsa chiesa. Manzoni come abbiamo detto acquista palazzo e chiesa e successivamente, per accrescere le pertinenze della sua proprietà, demolisce quest’ultima.

Il Palazzo viene ristrutturato all’interno secondo il gusto neoclassico dell’epoca, inserendo un importante scalone monumentale. Non solo, sono presenti bassorilievi e statue di Giovan Battista Ballanti Graziani e decorazioni e affreschi di Felice Giani. All’esterno la facciata è quella originaria. Si tratta di un edificio di tre piani con un’entrata centrale ( un tempo forse ogivale) ma nei disegni di Santarelli l’arco è a tutto sesto, e al piano terra due finestre a sinistra e due a destra. Superiormente le finestre sono cinque. Più grandi al piano nobile e più piccole a quello superiore.

Sotto tutte le linee delle finestre sia del primo piano che del secondo, si nota un rilievo rettilineo in cotto che attraversa tutta la facciata e prosegue anche in parte in quelle laterali. Nella parete di destra si notano le ombre di due grandi finestre ogivali murate nella notte dei tempi. Nella facciata di sinistra una sola. Questa lineare fascia di coronamento del piano nobile è costituita da un rilievo in cotto, realizzato con una serie di formelle rettangolari con la parte superiore sporgente e rotondeggiante e quella inferiore decorata con fregi floreali.

È da sottolineare come un impianto scenico molto importante è dato dall’elegante immagine creata dal gioco di sottili festoni semicircolari che occupano quasi per intero lo spazio fra il motivo lineare superiore e le finestre del primo piano, arrivando quasi a toccare gli architravi in laterizio delle stesse. E’ un gioco estetico che copre tutta la facciata con un percorso architettonico che dà origine ad un importante lavoro di alleggerimento per tutta la massiccia struttura del palazzo.

Dai disegni di Giuseppe Missirini che abbiamo ricordato più sopra abbiamo una perfetta visione del palazzo nelle sue varie parti. Non solo abbiamo anche tutte le misure dell’edificio in piedi forlivesi. Brevemente senza perderci in calcoli più o meno astrusi possiamo dire che la facciata è di 30 o poco più metri lineari. Così l’altezza.

scalone

Per offrire un significativo squarcio dell’interno dell’edificio, la cui immagine esterna è da due secoli sotto gli occhi di tutti, ecco una parte dello scalone, sempre disegnato da Giuseppe Missirini, che si presenta con tre rampe di scale. Sulla prima domina la statua di Chloris (ninfa o dea della primavera e dei fiori), sopra quella centrale si apre l’ampia finestra ad arco che offre luminosità a tutto il grande ambiente, e rende ragione alle chiare superfici dei bassorilievi rettangolari, sulla terza rampa sovrastante la scala, la statua di Demetra (dea greca della natura, dell’agricoltura, delle messi e della fertilità. E’ Cerere romana. 

Qui viene presentata com’è nello scalone di palazzo Manzoni. Tutti questi artistici lavori: statue e stucchi compresi, sono di Giovan Battista Ballanti Graziani. A Felice Giani l’incarico di decorare l’appartamento nobile con un soffitto che ha al centro un ottagono con l’immagine dell’Aurora. Tutt’attorno sei medaglioni circolari e due ottagoni con figure mitologiche. Chiudo qui questa prima parte e rimando i gentili lettori alla prossima che tratterà:

1- A. Canova: La danzatrice col dito,

2- L’omicidio,

3- A. Canova: La stele funeraria.

Agostino Bernucci

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