“When the stars make you drool just like a pastaffazool That’s ammmoreah”
Questo cantava il buon Dino Paul Crocetti, meglio noto come Dean Martin, nel 1954. “Quando le stelle ti fanno fare l’acquolina come una pasta e fagioli, questo è amore”.
Lo san magari i nostri Orberto e la Cesira. Anche se dopo tanti anni hanno ancora difficoltà a capirsi.
“Cesira!”
“Sa vùt?”
“C’ho voglia di sbruvaldoni”.
La Cesira lo guarda come si guarderebbe un dittatore sudamericano, e gli dice: “dì mò su, io ‘ste porcate non le faccio! Son mica la Selèn! Ohi, bada a quel che dici, zonzo!”
“Cesira, sei invornita come un moscone che sbatte contro la finestra chiusa. Gli Sbruvaldoni. Le puntarine! Con la pasta e fagioli!”
La Cesira si rilassa. “Ah! I maltagliati! Oh adès a j’o capì. Vado a metter su i fasùl.”
Sbruvaldoni, puntarine, maltagliati nella pasta e fagioli. A volte anche malfattini, che però si confondono con i manfettini (detti anche grattini, o manfrìgul) che son tutt’altra roba.
Ogni nome rimanda univocamente a quello che sono: piccoli ritagli irregolari (quindi mal-tagliati), a forma di appuntite losanghe (da cui puntarine), che quando li mangi regolarmente rimangono appesi al cucchiaio come tanti piccoli tarzan, atterrandoti dove il cibo è bene che non vada: sul mento. Sbruvaldandoti tutto.
La Cesira si prepara. Fisicamente e spiritualmente. Perchè quando mangi le puntarine, godi prima… ma poi dopo è una sofferenza. Aerea.
Tanto per cominciare ha da bollir i fagioli. E sta bon che il vicino glieli ha dati freschi, che con quelli secchi la pugnetta è più lunga, li devi mettere in acqua e bicarbonato la sera prima, se no c’han più pelli del pisello di Orberto.
Bon, fagioli lavati e poi bolliti. La Cesira trita la cipolla e la mette in una pentola con un cucchiaio di olio – quello buono – e dei pezzettini di lardo. Quando tutto è biondo come i capelli di quel bel panettiere di Viserbella, ci aggiunge un cucchiaio di concentrato di pomodoro. Ora è il momento di aggiungere i fagioli, con la loro acqua dove si son bolliti.
Intanto che Orberto vegeta davanti alla televisione (“Cesira! Hai visto che c’è un imbombito di droga qua con un pezzo di tenda in faccia che dice che esistono gli unicorni rosa? Secondo te è intelligente questo? Coincidenze?” “Io non credo!”) la Cesira deve anche far la sfoglia. E tra un sacramento e l’altro tira su un tre uova di sfoglia, tonda come la luna e sottile – ma non troppo che dopo si scuoce. Arrotola tutto come uno strofinaccio e per un attimo lo vorrebbe dare in testa a Orberto, poi invece lo taglia tutto di sghimbescio, riducendolo a tanti piccoli rombini. Intanto i fagioli si son insaporiti, e il liquido ristretto.
La Cesira butta la pasta, e dopo un po’ l’assaggia. Sale, una puntina. Perfetta.
“Invornito, è pronto”.
Orberto si materializza al tavolo in un secondo netto, e inizia a sbruvaldarsi tutto. La Cesira un po’ lo compatisce, un po’ gli vuol bene di quel bene che vuoi a una bestia quando ci dai da mangiare.
Dopo un paio d’ore, mentre sono lì che uno guarda la tv e un’altra fa i cruciverba, si sentono suoni. Rumori. A volte sono soffi letali, a volte sono elefantiaci barriti alla luna, a volte dei gemiti di mutande sofferenti nei loro sogni infranti di rimaner pulite fino a sera.
Il fagiolo, dentro, è cavo. C’ha il gas. Te quando lo mangi, è come bere la cocacola. Dovrà trovare una sfogazione, no? Ecco, quello del fagiolo è un gas pesante. Va sempre, inesorabilmente, verso il basso.
Orberto e la Cesira vanno a letto in mezzo a un coro di alpini di scoreggie. Polifonico, bitonale. Per solidarietà scoreggiano anche il cane e il ragno nell’angolo della stanza.
“Ziobò ac pòzza Cesira”. “Ah dì, hai voluto i maltagliati. Adesso respira te!”
“Cesira… senti questa!”
Il premito scuote la casa fin dalle fondamenta. Il mondo si offusca e la coppia si addormenta all’istante, teneramente abbracciati come salme pompeiane, stordite da qualcosa che non potevano immaginare.
(il Nero)
Articolo pubblicato nel profilo FB “Sa fet a qué”