Il glicine di via delle Torri a Forlì, comunemente chiamato il ‘Glicine Manoni‘ compie cent’anni. Fu infatti piantato nel 1915 da Stefano Manoni come ornamento della facciata della sua abitazione e del tutt’ora esistente negozio di ferramenta e “spaccio di colori”, come un tempo veniva definito. Nel 1992 a fianco della pianta fu collocata una lapide in ricordo della benefattrice Gianna Manoni, la quale, nel 1930, ereditò dal padre l’attività. La lapide riporta le seguenti parole:
QUI VISSE LA SUA LUNGA ESISTENZA / GIANNA MANONI / MAESTRA D’AMORE E DI PACE / PROFUSE INSTANCABILI ENERGIE / ISPIRATA DAL PATRIO SENTIRE / E DALLA NATURALE PROPENSIONE ALL’ALTRUISMO / LA CITTADINANZA RICONOSCENTE POSE / A DUE ANNI DALLA SCOMPARSA / FORLÌ 1 GENNAIO 1992.
Nell’occasione il Servizio Verde del Comune di Forlì redasse una scheda d’inquadramento botanico del glicine Manoni in cui vi è scritto che si tratta di una “pianta volubile a foglie imparipennate con 7-13 foglioline accuminate della specie Wisteria sinensis Sweet; fiori azzurri-lilacini in lunghi recemi pendenti (16-30 centimetri); legume allungato, compresso, vellutato. Dimensioni fino a 20 metri, specie coltivata, presente in tutta la penisola, origine Asia orientale”.
In effetti il glicine è un arbusto deciduo rampicante originario delle provincie cinesi dell’Hubei occidentale e del Sichuan orientale, da molto tempo coltivato in Europa occidentale dove si è ambientato perfettamente, rappresentando una delle più tipiche rampicanti da ornamento di facciate e pergolati. Il glicine fiorisce nei nostri climi all’inizio dell’estate e spesso produce una seconda fioritura due mesi dopo. È una pianta rustica, capace di resistere anche a temperature rigide – persino a quindici gradi sotto zero – senza particolari esigenze edafiche, mentre l’esposizione può variare dal pieno sole alla mezz’ombra.
Il Glicine Manoni è amato dai forlivesi per la sua bellezza e imponenza, oltre che per la sua storia. La storica pianta si salvò infatti dal devastante bombardamento alleato del 25 agosto 1944. Tutti i forlivesi, rintanati al buio, nel calore umido e opprimente dei rifugi, pensavano fosse l’ennesima incursione aerea destinata a colpire la zona della stazione, dello scalo merci e della ferrovia. Quella volta invece i grappoli di bombe che piovvero dal cielo, per un “errore” del puntatore della squadriglia aerea dell’aviazione sudafricana incorporata in quella inglese, caddero in pieno centro. Il risultato fu che piazza Saffi fu sconvolta dalle esplosioni, decine di persone caddero dilaniate dalle schegge, il monumento ad Aurelio Saffi danneggiato irrimediabilmente, le prime case di via delle Torri vennero sventrate.
Nella medesima pubblicazione sopra citata Paolo Cortesi scrive: “Quello che era stato un quartiere, colmo della monotona eppur sempre nuova vita quotidiana, vivo di voci, animato da persone con le loro piccole grandi storie, diventò un tetro labirinto di macerie, irto di pali carbonizzati, di muri sbrecciati, irriconoscibile, perduto per sempre”.
La mesticheria di Stefano Manoni fu uno degli edifici che furono colpiti e seriamente danneggiati in quel giorno maledetto. La casa crollò, restarono solo parte dei muri perimetrali, i tre piani in cui era divisa si abbatterono l’uno sull’altro, come appare nelle foto scattate nei giorni seguenti.
Ciò che desta sorpresa nel visionare quelle fotografie è che accanto al portone, rimasto chiuso nonostante la devastazione, tra macerie e pietre, il glicine è ancora diritto, incredibilmente intatto. “Sorprendenti bizzarrie del caso – aggiunge Cortesi – muri e acciaio si piegarono alla furia dell’esplosivo, mentre la pianta sopravvisse al vortice di fuoco. Ma no: forse non fu solo il cieco caso che alzò il pollice per l’esile glicine. È consolante credere che Qualcosa, Qualcuno volle ricordarci, con questo facile simbolo, che la feroce pazzia degli uomini non può spegnere le ragioni e la forza della vita”.
La rubrica Fatti e Misfatti di Forlì e della Romagna è a cura di Marco Viroli e Gabriele Zelli