Il nome di Teodorico è strettamente legato alla città di Ravenna, anche se a Ravenna giunse solo in età matura, al comando dell’esercito Ostrogoto e dopo tre anni di assedio.
Conquistò la città strappandola ad Odoacre, il re degli Eruli che, qualche anno prima, nel 476, aveva posto fine all’Impero Romano d’Occidente deponendone l’imperatore Romolo Augustolo. È però necessario conoscere alcuni particolari della formazione di Teodorico per meglio capire gli sviluppi dell’arte ravennate nel periodo teodoriciano. Teodorico infatti, nato in Pannonia, dagli 8 ai 18 anni visse alla corte di Bisanzio, dove era stato mandato come ostaggio dal padre, re degli Ostrogoti. In quella ricca corte si formò, imparando latino e greco, ed abituandosi ad ammirare ed apprezzare la bellezza degli splendidi mosaici, sfavillanti d’oro e di colori, che adornavano il palazzo imperiale e le chiese bizantine.
Non era quindi un rude soldato barbaro il re Ostrogoto che conquistò Ravenna e che, dopo pochi anni, assunse il titolo di Re d’Italia.
Come già aveva fatto Odoacre, Teodorico lasciò ai Romani l’amministrazione della città, rispettandone la plurisecolare tradizione e, pur essendo un cristiano di rito ariano, non privò i ravennati delle loro chiese e delle loro tradizioni religiose. La Ravenna Ostrogota fu costruita, infatti, al di fuori della città latina, verso il mare, dove già esistevano un villaggio di pescatori e la basilica paleocristiana di San Giovanni Evangelista costruita da Galla Placidia quale ex voto. In tale area gli Ostrogoti, abituati alla vita nomade, avevano costituito il loro accampamento e qui Teodorico insediò il suo palazzo e fece costruire la chiesa palatina che i Bizantini, quando conquistarono Ravenna, riconsacrarono al culto cristiano ortodosso, denominandola Sant’Apollinare nuovo.
Fece poi erigere il Duomo degli ariani, semplice nella sua struttura basilicale e, vicino a questo, il Battistero degli ariani, modesto e spoglio all’esterno, dove i mattoni sono lasciati a vista, secondo la tradizione ravennate. All’interno, però, la cupola è decorata con splendidi mosaici a fondo oro raffiguranti, al centro, il battesimo di Cristo e nella fascia circolare i dodici apostoli, con uno stile che ricorda da vicino i mosaici bizantini, sia per il fondo oro sia per la ricca simbologia tipicamente orientale. Tale battistero si aggiunge al battistero Neoniano o degli ortodossi costruito un secolo prima vicino all’antico Duomo di Ravenna. Gli interventi di Teodorico in campo urbanistico ed architettonico non si limitarono però ai soli edifici monumentali e di culto. Fece infatti restaurare l’importante acquedotto che, partendo dagli Appennini romagnoli giungeva a Ravenna passando per l’antica città umbro-romana di Nevaniola (vicino all’attuale Galeata) e per Forlì, dove la Pieve di Santa Maria in Acquedotto e la frazione di Pieve Acquedotto ricordano, nel nome, l’antico acquedotto romano.
Vicino a Nevaniola sono stati trovati anche i resti di una grande villa romana, con terme private, risalente all’età repubblicana, abitata in età imperiale e con interventi risalenti al periodo teodoriciano. Si ritiene che tale villa sia stata utilizzata da Teodorico come residenza e come casa per la caccia.
Fuori dalla città di Ravenna, vicino alla necropoli ostrogota ed al mare, che allora era molto più vicino alla città, fu edificato un altro importante monumento: il Mausoleo di Teodorico costruito per ospitare la sepoltura del Re.
Questo interessante monumento si distingue da tutti gli altri costruiti a Ravenna sia per il materiale: blocchi di pietra d’Istria con una cupola monolitica dal diametro di 11 metri, sia per la decorazione. Tutti i monumenti ravennati, infatti, sono costruiti in mattoni e decorati internamente con ricchi mosaici.
Il mausoleo, invece, non ha niente di tutto questo, è una struttura massiccia, che si avvicina in parte ai mausolei della Roma imperiale e, con la sua mole, vuole incutere rispetto ma, nello stesso tempo, testimoniare il legame fra Teodorico ed il suo popolo. La forma della cupola ricorda infatti la struttura delle tende ostrogote con i dodici elementi sporgenti dalla cupola che simulano i pali di sostegno delle tende, tradotti però in dura pietra. E sotto alla cupola una fascia circolare, impreziosita con una decorazione a tenaglia che ricorda l’oreficeria gota e che sottolinea ulteriormente l’origine barbarica di Teodorico. Per rafforzare tale scelta, all’interno, non vi è alcuna traccia della decorazione musiva presente in tutti i monumenti ravennati.
Il mausoleo è costruito su due piani: quello inferiore, a pianta poligonale, è scandito da una serie di profonde e solide arcate, tipicamente romane mentre quello superiore, di forma circolare, coronato dalla cupola, ed anticamente circondato da un porticato sorretto da colonne (del quale sono rimaste solo alcune tracce) ospita al centro una grande vasca in granito rosso che si presume abbia contenuto la salma di Teodorico.
Il monumento ravennate più ricco di questo periodo è, però, senza dubbio, la Chiesa palatina nella quale si svolgevano tutte le funzioni, le cerimonie ed i riti legati alla corte, intitolata “Domini Nostri Jesu Christi” e rinominata poi Sant’Apollinare nuovo.
La struttura è basilicale, molto semplice, a tre navate e un’abside, preceduta da un porticato con grandi arcate in marmo sostenute da colonne e pilastri. Il porticato, chiamato ardica, nelle chiese ravennati di questo periodo, sostituisce il quadriportico delle prime chiese paleocristiane.
Una bifora in marmo, al centro della facciata, riprende il motivo del porticato.
È all’interno però che si sviluppa un ciclo musivo di eccezionale bellezza considerato fra i più ricchi della storia dell’arte. Sarebbe lungo ed inutilmente noioso descriverlo analiticamente e, comunque, le parole non potrebbero rendere la bellezza dei colori e la ricchezza dei motivi figurativi.
I mosaici fatti realizzare da Teodorico si pongono in una fase di transizione fra il realismo prospettico dei mosaici della Ravenna imperiale e l’astrazione simbolica delle figure che si stagliano sul fondo oro della tradizione bizantina.
Nella chiesa però si trova anche un’ampia testimonianza della maniera bizantina nelle due processioni di santi martiri e di sante vergini fatte realizzare dei Bizantini quando conquistarono Ravenna e, riconsacrando la Chiesa al culto ortodosso, cancellarono accuratamente tutto quello che nella decorazione musiva ricordava la corte teodoriciana sostituendolo con temi squisitamente religiosi.
Umberto Giordano