Il 27 agosto 1495 un’allegra brigata rientrava da una giornata passata a caccia di uccelli nei dintorni di Cassirano. Sul carro stavano Caterina, la figlia Bianca e alcune dame di corte. Dietro seguivano a cavallo Giacomo Feo, Ottaviano e Cesare Riario, e un drappello di soldati e scudieri.
Mentre calava la sera la comitiva passò Porta Schiavonia. Al Ponte dei Brighieri, in prossimità della Chiesa della Santissima Trinità, ricevette il saluto di un gruppetto di sette uomini: Gian Antonio Ghetti, soldato fedelissimo di Ottaviano, Domenico Ghetti, parente di Gian Antonio, il Fiorentino, suo servitore, il bolognese Filippo delle Selle, due preti di campagna (don Pavagliotta e don Domenico da Bagnacavallo) e un contadino.
Al passaggio del Feo, Gian Antonio Ghetti si parò innanzi al suo cavallo e lo trattenne per le briglia, mentre il Fiorentino si avventò sull’incredulo Giacomo infliggendogli un colpo di partigiana che lo trapassò da parte a parte. Nessuno della scorta armata reagì. Il Feo venne disarcionato e, una volta caduto a terra, tutti i congiurati gli si avventarono addosso. Al malcapitato venne tagliata la gola e spaccata la testa, tanto che, come scrisse il Cobelli, “parea una mela granata aperta”.
Caterina saltò giù dal carro e salì su un cavallo, con il quale corse al galoppo sino alla Rocca di Ravaldino. I figli Cesare e Ottaviano preferirono invece rifugiarsi a casa di un amico. I sette congiurati intanto erano corsi fino in Piazza Grande al grido di “Ottaviano, Ottaviano! Caterina, Caterina!”.
La notizia dell’uccisione dell’odiato usurpatore fece ben presto il giro della città. In breve una piccola folla si radunò in piazza, incredula, forse ancora incapace di decidere da che parte schierarsi. Gian Antonio Ghetti cercava di portare la folla dalla sua parte gridando che l’assassinio del Feo era stato voluto dalla contessa, che in tal modo intendeva tutelare i diritti dei Riario. Dalla rocca sopraggiunse però un messaggio opposto con il quale Caterina definiva infame l’attentato a Giacomo Feo e chiedeva che fosse fatta giustizia. Il Ghetti corse allora fino alla Chiesa di Santa Croce dove venne raggiunto dalla folla che, in breve, lo accerchiò e fece scempio del suo corpo riducendolo in una poltiglia.
La Rubrica Fatti e Misfatti di Forlì e della Romagna è a cura di Marco Viroli e Gabriele Zelli