La Danceability è una tecnica di danza che rende accessibile il linguaggio del corpo a tutti, senza preclusione di età, esperienza o condizione psicofisica. Questa disciplina si basa sulla fiducia reciproca dei danzatori, sull’improvvisazione e sulla consapevolezza di sé in relazione agli altri e al proprio corpo nello spazio. In questo modo dà opportunità di espressione artistica a tutti sradicando i pregiudizi e integrando le persone con disabilità nella vita culturale della società.
In funzione di ciò, è partito nel 2015 in collaborazione tra la “Fondazione Opera don Pippo” e il progetto Danceability dell’associazione “Incontro Senza Barriere” il “Progetto Nemo”: un’iniziativa in cui un’equipe composta da due educatori, un’insegnante di danceability e un gruppo di ragazzi con disabilità, si reca alla scuola elementare “Rivalta” mettendosi in relazione con i bambini delle varie classi al fine di spingere un’educazione attenta al cambiamento culturale sui temi della diversità. Il secondo ciclo di incontri è iniziato martedì 4 aprile e si concluderà nel mese di maggio con la speranza di espanderlo e farlo arrivare in altre scuole del territorio. Si riporta di seguito l’intervista fatta all’insegnante di danceability Michela Turrini.
Cos’è per te la danceability? «Per me la danceability è fondamentalmente un linguaggio accessibile a qualsiasi essere umano, che quindi permette di accogliere veramente chiunque, anche chi non verrebbe accolto o non penserebbe di essere accolto in una classe di danza e improvvisazione».
Cosa cerchi di trasmettere a chi danza con te? «Mi piacerebbe trasmettere molte cose: sicuramente l’ascolto di sé stessi a partire dall’ascolto del corpo che può diventare come punto di partenza per l’ascolto e l’incontro con l’altro. Un altra cosa a cui tengo molto e con la quale mi piacerebbe raggiungere le persone sempre di più è l’idea che non occorra niente d’altro, cioè che si possa muovere tutto il corpo, piuttosto che una mano, piuttosto che solo sentire, vedere o non vedere nella maniera in cui siamo abituati; quello che c’è è già abbastanza. Quello di cui si ha bisogno per creare e fare parte di una comunità che insieme crea, esplora e incontra gli altri, quello che c’è in ognuno di noi, al di là di abilità, disabilità o dei limiti a cui siamo abituati a pensare è già abbastanza; è già tanto da condividere».
Come può influire sulla società la danceability? «Questa disciplina serve per far mantenere una finestra aperta su una discussione che credo sempre attuale, che è quella della nostra abituale divisione in categorie, che possono essere quelle di chi cammina, piuttosto che di chi si muove in carrozzina, di chi ha figli e chi non ha figli, di chi abita in città o in campagna; veramente qualunque tipo di categoria: far vivere alle persone un’esperienza nella quale sperimentino un linguaggio che appartiene veramente a tutti e quindi trasforma queste barriere e permette di fare incontrare semplicemente delle persone per quello che sono, nella maggiore onestà e nella maggior possibilità di ascolto possibile».
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Sara Sartoni