La stima indicata da New Economics Foundatione Ocean2012, che dal 2010 pubblica ogni anno il Fish Dependence Report, mostra che nel 2014 la disponibilità sulle nostre tavole di pesce europeo è finita l’11 luglio, mentre l’Italia ha esaurito le proprie risorse ittiche interne già dal 13 aprile. In altri termini, il pesce europeo copre poco più del 50% del fabbisogno annuo di pesce in Europa; il resto del pesce venduto in Ue viene quindi importato. Al “Seminario di alto livello sullo stato degli stock ittici del Mediterraneo” svoltosi a Catania (9-10 febbraio) alla presenza del Commissario per l’ambiente e la pesca Karmenu Vella, gli esperti scientifici hanno confermato che il 93% degli stock ittici europei del Mediterraneo è sovrasfruttato. Quali siano le ragioni e le soluzioni intraprese dall’Europa lo abbiamo chiesto a Marco Affronte, naturalista e divulgatore scientifico nonché eurodeputato del Movimento 5 Stelle e membro della Commissione per la pesca.
Partiamo dall’analisi dagli stock ittici del nostro mare i cui dati dimostrano uno sfruttamento intensivo delle risorse marine definito da molti studiosi al collasso?
«Il dato importante è che il rapporto fra quanto è pescata una specie e quanto dovrebbe esserlo per essere sfruttata in modo sostenibile mostra che il 93% degli stock mediterranei è sovrasfruttato. Ad esempio il nasello è pescato 10 volte più del sostenibile mentre il potassolo 9 volte e mezzo di quanto dovrebbe esserlo. Attualmente gli stock ittici hanno ancora capacità di ripresa ma se non si interviene crolleranno al punto di non ritorno».
Quali sono le principali cause dell’impoverimento ittico?
«Non solo la pesca incide ed ha un impatto importante sulla sostenibilità, a concorrere sugli effetti dell’impoverimento ittico ci sono anche i cambiamenti climatici, l’acidificazione, la degradazione dell’habitat, l’inquinamento, l’arrivo di specie aliene, la pesca illegale, tutti fattori dei quali però si stanno raccogliendo dati solo recentemente ed è difficile quindi oggi soppesarne con precisione l’impatto».
Quali sono le soluzioni intraprese fino ad oggi dalla Comunità Europea per una pesca sostenibile che condividete e quali invece quelle emendabili?
«La Politica Comune della Pesca, è stata approvata nel 2013. E’ buona, e punta a una pesca sostenibile per il quinquennio 2015-20, a mio avviso non va emendata ma va applicata in fretta e fortemente implementata. Fondamentali sono i piani pluriennali per le singole aree e i singoli stock ma siamo bloccati da un anno dalle negoziazioni fra Parlamento Europeo, Commissione Europea e Consiglio Europeo. Al Consiglio Europeo, cioè gli stati membri, fanno resistenza sull’applicazione del concetto di MSY (Maximum Sustainable Yeald – Massimo Rendimento Sostenibile). Nel frattempo altri piani pluriennali stanno arrivando, tra cui quello sul pesce azzurro in Adriatico. Credo quindi che la Politica Comune della Pesca sia una buona direttiva-quadro ma serve una lotta strenua alla pesca illegale. In questi giorni si discute moltissimo su un articolo uscito a gennaio su Nature: uno studio di dieci anni mostra che i dati ufficiali della pesca (quelli della FAO) sono sottostimati del 50%! Nel computo non entra infatti la pesca illegale che ritengo una piaga enorme che va a detrimento di tutti: risorse e pescatori legali».
Come può il consumatore, attraverso l’acquisto consapevole e responsabile, contribuire a rendere più ecosostenibile la pesca nel nostro mare?
«In modo semplice, innanzi tutto sapendo se la specie che si acquista ha una popolazione a rischio, da dove venga e se è stata pescata con tecniche sostenibili. È importante leggere sempre le etichette, che sono obbligatorie. È sufficiente quindi scegliere specie, magari meno conosciute, ma che sono pescate in modo sostenibile e non sono a rischio, esistono ottime campagne informative ad di Slow Food e del WWF».
In un contesto di risorse finite e popolazione crescente, gli alti livelli di dipendenza europea dal pesce proveniente da altre parti del mondo ha implicazioni per la sostenibilità degli stock ittici globali e per le comunità che da essi dipendono. L’Unione europea ha acque molto produttive, con un elevato potenziale per sostenere una fornitura stabile e a lungo termine di pesce, posti di lavoro e benefici sociali ed economici collegati, ma solo se le risorse ittiche saranno gestite responsabilmente e non spremute fino al punto di non ritorno.