E ti pareva, ci risiamo all’immancabile scontro annuale a Predappio tra fascisti e partigiani in coincidenza della duplice coincidente ricorrenza del 28 ottobre: nel 1922 fu la data della “marcia su Roma” delle camicie nere, nel 1944 fu, invece, a detta dei partigiani, il giorno della liberazione di Predappio dal nazifascismo ad opera esclusiva, ci mancherebbe dividere tale gloria con antifascisti di sbiadito colore, della Resistenza rossa, comunista pura e dura, “doc” come il Sangiovese che a litri innaffierà anche quest’anno la tradizionale cena antifascista con tagliatelle al ragù del compagno Peppone.
Peccato che di mezzo ci sia una “bufala”, anzi per stare nell’attualità una “fake new”: Predappio fu liberata dalla V Divisione del Secondo Corpo d’Armata Polacco, i partigiani rossi arrivarono dopo, a cose fatte, pronti ad intestarsi gloria e onori altrui. A testimoniare il ruolo dei valorosi polacchi, liberatori di Predappio, diverse fonti documentarie e bibliografiche; sui liberatori rossi solo chiacchiere vuote e propaganda settaria.
Eppure, certa storiografia del secondo dopoguerra, molto allineata e coperta su via delle Botteghe Oscure, anche sospinta dal ruolo, interessato e venale, degli Istituti Storici della Resistenza, ha avvalorato e sostenuto questa bufala dei partigiani rossi, unici artefici della redenzione democratica di Predappio: il compagno Togliatti, in fondo, con incredibile faccia tosta, da una parte, alimentava l’epica del partigiano comunista, vessillifero della libertà dalla dittatura fascista, dall’altra, come ministro di grazia e giustizia tra il ‘45 e il ‘46 imponeva che fosse suo segretario Gaetano Azzariti, ex presidente del Tribunale della Razza nel Ventennio. Dimmi con chi vai, ti dirò chi sei!
Intanto, patetici i nostalgici fascisti che il 28 ottobre prossimo saranno a Predappio in camicia nera e saluto romano, altrettanto tristemente patetici gli antifascisti della tagliatella rossa: in entrambi i casi una ridicola ricerca di visibilità fuori dall’attualità dei tempi che viviamo. I due litiganti, poi, rischiano, inconsapevolmente, di dar risalto e far godere solo il terzo incomodo di questa pagliacciata politica predappiese ovvero il sindaco, novello auriga del cocchio di nuovi studi sul fascismo. Furbo e audace, opportunista e machiavellico il borgomastro predappiese nobilita istituzionalmente solo la rozza pratica di “un colpo alla botte ed uno al cerchio”, il primo al fascismo, il secondo al movimento partigiano”, predicando, così, il superamento di ogni pregiudizio storico contro Predappio.
“Abbiamo subito la banalizzazione della storia… Non siamo la Chernobyl della storia” sciorina il primo cittadino, compaesano di Benito e, contemporaneamente, forse, il custode del cimitero romano del Verano trasale al “rivoltamento” di Renzo De Felice nella propria tomba. Assale un dubbio: non sarà che nella valle del Rabbi tira aria di grossolano revisionismo storico? Intanto, però, che noia ogni anno questa storia di rossi e neri a Predappio!
Franco D’Emilio