Nell’imminenza del nuovo anno rivolgo un augurio particolare a quanti, pur tra difficoltà, operano nel campo dell’informazione, in particolar modo nelle redazioni giornalistiche nazionali e locali, con un contributo davvero indispensabile alla conoscenza e alla cultura dei territori. Senza alcuna presunzione, ma solo sincera umiltà accompagno quest’augurio con una riflessione personale.
Nessuno può piacere a tutti, ancora di più non tutti possono condividere i miei scritti, soprattutto quando le mie righe, più della lingua, a volte battono dove duole il dente altrui.
Innumerevoli persone, forse troppe, in particolar modo tra i vip della vita politica, economica e sociale, nazionale e locale, romagnola nel nostro caso, hanno denti dolenti per carie o per la disattesa pregiudiziale del giudizio oppure per la fastidiosa conseguenza dell’alitosi del potere, per questo è inevitabile che qualche mio articolo, al pari del trapano del dentista, risulti sgradito a chi non vuole che si sappia in giro cosa si celi dietro il suo smagliante sorriso, politicamente tanto accattivante o fascinoso.
Chi non mi sopporta, da una parte, mi addebita la colpa di non avere alcun diritto di scrivere articoli perché privo del requisito essenziale di giornalista, dall’altra, altrettanta colpa attribuisce ai direttori responsabili di quei siti web, di quelle agenzie di stampa, di quei giornali che da tempo ospitano i miei articoli, incuranti, anzi permissivi del mio abusivismo giornalistico. Però, che faccia tosta taluni “soloni” o certe “vestali” della vita pubblica, soprattutto di quella locale, i primi a telefonare, anche intimidendoli, ai direttori perché si sbarazzino dei miei articoli.
L’intento è chiaro: farmi tacere, evitare che continui a raccontare come siano nudi certi “reucci” e “reginette” del potere locale romagnolo. L’intimidazione non si astiene neppure dalla minaccia di querela. Naturalmente, pur se in modo diverso, gli stessi mezzucci sono stati usati contro di me e quanti come me scrivono articoli, pur se fuori dalla casta giornalistica. Certamente, per detti reucci e reginette è molto più comodo, accomodante concordare, perché no commissionare articoli su misura, compiacenti o celebrativi: davvero molto stretto l’intreccio tra politica e stampa locale, tradizionale e on line, comunque allineata e coperta a sostegno di interessi particolari.
Non mi è mai interessato diventare giornalista, tanto meno per la possibilità di manifestare per iscritto il mio pensiero, invece sono fortemente determinato, come cittadino, a non vedermi privato del diritto attribuitomi dall’art. 21 della Costituzione, legge fondamentale del nostro Stato: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazione o censure”. Questo articolo costituzionale attiene alla libertà di stampa, uno dei presupposti essenziali, fondativi del nostro stato democratico, e stabilisce una libertà inalienabile, mia come altrui, utile alla formazione delle convinzioni personali e delle diverse correnti, maggioritarie o minoritarie, dell’opinione pubblica.
Al pari di altri, io scrivo articoli solo occasionalmente e, comunque, fuori dall’esercizio della professione giornalistica; sono, sempre occasionalmente, ospitato da testate che ritengono interessanti i miei interventi di cittadino, testimone del diritto costituzionale dell’art. 21.
Certo, non possiamo dimenticare come nel 1925, proprio per esercitare uno stretto controllo della stampa, sia stato istituito dal regime fascista un albo professionale dei giornalisti, poi trasformato in ordine con una legge del 1963.
Né possiamo ignorare il fitto dibattito dei nostri giorni in corso sull’utilità dell’attuale Ordine dei Giornalisti sino al punto di ipotizzarne concretamente una radicale riforma se non addirittura l’abolizione: tutela e deontologia della professione giornalistica vanno sicuramente garantite, ma il modello attuativo odierno risulta davvero obsoleto rispetto ai tempi, ingessato, spesso volto alla difesa di interessi e privilegi, non ultimi quelli pensionistici, che, a ragione, hanno configurato l’ordine sempre più come una vera e propria casta.
Il nostro Ordine Professionale dei Giornalisti non risponde affatto alle dinamiche comunicative di uno stato modernamente liberale e democratico, risulta troppo mutevole rispetto ai condizionamenti della politica, in particolar modo incline a discriminare tra informazione conservatrice e progressista ovvero di destra e di sinistra, come spiega anche l’ostilità di tanto schieramento politico di sinistra al trascorso referendum sull’abolizione dell’ordine giornalistico, tenutosi nel giugno 1997.
Sono sicuro che presto si giungerà a definire la riforma della professione giornalistica nel pieno rispetto della nostra Costituzione; sono convinto che nessuno, ancora di più in futuro, potrà imbavagliare il diritto a manifestare per iscritto il proprio pensiero; sono certo che reucci e reginette della politica locale che non sopportano la libertà di pensiero e di stampa debbano convincersi di non poter più imporre la ragione della loro forza sulla forza della ragione altrui.