Dall’inizio di questa campagna elettorale regionale sono stato subito convinto che, comunque vada, in Emilia-Romagna niente sarà più come prima ovvero nei 40 anni trascorsi di stagnante egemonia della sinistra.
Ovunque, in questi giorni, il centrodestra, soprattutto la Lega, ha riempito le piazze, la sinistra, invece, le ha svuotate, rassegnandosi, così, ad un amaro, nostalgico “amarcord” di incontrastati successi del passato.
È vero, come sosteneva Pietro Nenni, che non sempre le piazze piene coincidono con altrettanto consenso elettorale, ma è pur vero che, stavolta, la piazza della destra si è riempita del concreto disagio di tanti cittadini, anche politicamente di diverso orientamento, che chiedono un’inversione dalla solita rotta politica ed economica della sinistra: la nostra gente è stanca dell’esosità fiscale, della precarietà occupazionale e pensionistica, della scandalosa assenza di un vero controllo sulla vita amministrativa e i servizi; è stufa di subire il ricatto della crisi economica; è delusa dalle conseguenze di una cattiva gestione dell’immigrazione e delle sue immediate pretese, già a sbarco avvenuto.
Insomma, la nostra gente ha riempito la piazza della destra con la voglia di un nuovo, diverso futuro, magari costruito pure gradualmente, ma perlomeno sicuro.
Certo, non possiamo ignorare come, a bella posta, in questa campagna elettorale siano spuntate le “sardine”, ennesima espressione, ambigua e trasversale, del trasformismo opportunista e camaleontico della sinistra nel suo cammino da un insuccesso all’altro dopo la scomparsa del PCI, viaggiando, dunque, tra PDS, DS e PD, quindi tra “girotondini”, “popolo viola”, perché no pure quella parte del M5S, raccogliticcia della deriva più giovane della sinistra.
Se in Emilia-Romagna dovesse ancora vincere Bonaccini, ciò significherebbe solo la tenuta ferrea del sistema di potere nel quale la sinistra ha imbrigliato la società, condizionandone ogni aspetto della vita, già a partire dalla quotidianità: in Emilia-Romagna i postcomunisti hanno anticipato i cinesi nella creazione di un sistema economico e sociale aperto, ma solo apparentemente liberale perché, in realtà, stretto dai lacci e lacciuoli del vecchio apparato di controllo da socialismo reale.
In questo disegno non è mancato l’appoggio di alleati politici, anch’essi in crisi, quali parte del mondo democristiano o dell’area laica democratica.
40 anni di immutabile nomenclatura d’apparato della sinistra hanno prodotto in Emilia-Romagna ampia disparità tra città e centri minori, soprattutto appenninici, spesso con la chiusura di servizi essenziali; hanno significato, fra l’altro, la gestione della cultura come strumento, parziale e fazioso, di propaganda più che di educazione e formazione, libere e riflessive.
La nostra gente vuole vivere, è stanca, infatti, di sopravvivere, magari nel migliore dei modi ossia accontentandosi di poca cosa, contrabbandata per eccellenza regionale.
Sicuramente, la sinistra emiliano romagnola è in crisi e non lo nasconde, spesso nel peggiore dei modi.
L’ennesimo caso è successo ieri sera, 19 gennaio, a Galeata sull’appennino forlivese: dalla finestra della sede del PD, affacciata sulla piazza, dove Salvini si intratteneva con tanta folla, sono stati esposti cartelloni bianchi con scritte quali “Capitano non siamo Peter Pan”, “Anche se siamo comunisti mandaci un bacino”, al quale Salvini ha replicato ironicamente addirittura con un bacione.
Franco D’Emilio