Ho visitato a Predappio “Il paese dei Mussolini”, ultima mostra storico-documentaria allestita dal Comune negli spazi della casa natale del Duce, e la mia attesa è stata pienamente soddisfatta: solo una grande delusione sul filo del sorriso che, alla fine, un sommo, pletorico comitato scientifico, autorevolmente presieduto, e tanto curatore dal celebrato pedigree abbiano partorito appena un modesto evento culturale, per niente attrattivo, pressoché privo di novità salienti sul piano storico.
Apprezzabile l’allestimento nella sua scenografia, niente da dire; altrettanto fa la sua figurina l’immancabile catalogo di circostanza, anzi lo smilzo cataloghetto, farcito dagli interventi di trita ovvietà di quasi tutto il comitato scientifico. Non manca, certo, il danaro, sicuramente molto oltre i 10.000 euro, a coprire i costi di questa mostra che a parole si propone unica e memorabile, ma nei fatti risulta ben poca cosa e, in parte, pure replica di precedenti eventi.
Il percorso espositivo non spicca per originalità, consequenzialità e difetta anche sul piano della sua credibilità: penso, ad esempio, allo spazio dedicato a ipotetiche, remote origini della famiglia Mussolini e del suo stesso cognome. Fin dal 1928 si scatenarono i cosiddetti “genealogisti” per attribuire al Duce antiche discendenze, addirittura romane o arabe, primo fra tutti Giovanni Dolcetti con il suo “Le origini storiche della famiglia Mussolini”, ma questo riferimento a supposte genealogie mussoliniane risponde più al mito che alla storia reale dell’uomo e della sua famiglia.
Nel pannello, titolato “Le valli della politica”, fra l’altro pasticciato sul piano della punteggiatura, della grammatica e della logica sintattica, al pari degli altri pannelli in mostra, ho letto che “Il paese dei Mussolini” si propone di raccontare, “forse per la prima volta in forma organica (?! Ndr), la vita intima e famigliare dei Mussolini, scavando fra i ricordi degli amici, dei compagni di battaglia, dei parenti …” : dunque “Il paese dei Mussolini” non può definirsi affatto una mostra storico-documentaria, ma solo un esposizione “ibrida” con una parte pubblica di storia documentata e una parte di memoria, individuale o di gruppo, soggettiva e senza verifica che appartiene, invece, alla sfera privata.
Nell’obiettivo, dichiarato dal curatore, di “raccontare la ricostruita genealogia e la storia della famiglia Mussolini all’interno della situazione politica e culturale dell’Italia tra la metà dell’Ottocento e l’inizio del Novecento”, quindi anche nel panorama del socialismo italiano, mi sembra che si amplifichi oltre misura il tema delle radici socialiste di Mussolini e del padre Alessandro. Entrambi furono socialisti per adesione al rispondente modello di uguaglianza e giustizia sociale, ma nessuno dei due ebbe solide basi ideologiche; Benito stesso affidò prevalentemente la sua grossolana formazione politica giovanile alla lettura superficiale di certa pubblicistica divulgativa, spesso addirittura in uno zabaione tra i principi socialisti e i motivi più eclatanti del pensiero di Nietzsche.
Che, poi, Alessandro e, ancora di più, Benito siano stati socialisti noti, ciò è dipeso soltanto dal loro ascendente sui “compagni” e dal clamore della cronaca sulla loro persona. Anche per questo, durante la visita, ho trovato sommaria, frettolosa e irriflessiva la “stesa” multicolore in una teca di opuscoli e opuscoletti di diversa ispirazione politica: troppo facile, ad esempio, suggerire l’alba socialista in Romagna e a Predappio come continuità con il liberalismo democratico mazziniano e repubblicano.
Tutta la mostra è, inoltre, pervasa da un tono enfatico, retorico, addirittura incline all’apologia celebrativa di Mussolini nel cartello che al piano superiore della mostra indica con grande rilievo la stanza ove, appunto, nacque l’Uomo della Provvidenza: una caduta di stile in tanta cura scenografica. Poche, comunque, le novità: qualcuna dall’Archivio Arnaldo Mussolini di Paderno, del quale sto seguendo il restauro e la digitalizzazione in atto delle carte. Complessivamente, la mostra espone e racconta solo minutezza e minuteria della famiglia Mussolini, insomma particolari che soddisfano più la curiosità che il vero interesse storico, al massimo degni di essere accolti nella rubrica “Forse non tutti sanno che …” della diffusa La Settimana Enigmistica.
Il giovane, che sa il minimo scolastico su Mussolini e il Fascismo, credo possa esser tratto in inganno dal tono di questa mostra che, quasi, sullo sfondo di uno stereotipato bozzetto romagnolo pare storicamente voler concludere “Mussolini brava gente”, quasi pendant con l’altrettanto benevolo “Italiani brava gente”.
Segnalo, infine, alcune dovute precisazioni e correzioni a quanto dichiarato in mostra.
La prima: Benito fu dal 1894 al 1901 a Forlimpopoli, dove completò le elementari nell’anno scolastico ’94-’95, considerata una sua precedente bocciatura, poi frequentò dal 1895 al 1898 il triennio della scuola tecnica, una sorta di avviamento professionale, infine nel 1898, trovandosi già nel 16° anno di età, fu ammesso alla Regia Scuola Normale che frequentò per 3 anni sino all’8 luglio 1901, data di conseguimento della licenza d’onore, patente abilitante all’insegnamento in entrambi i livelli della scuola elementare, previsti dalla vigente Legge Coppino (1877). Benito non frequentò mai corsi di studio superiori, conseguendone relativi diplomi, e le Regie Scuole Normali erano solo istituti di formazione e avviamento professionale al ruolo di maestro elementare.
La seconda: anche Rosa Maltoni, madre di Benito, checché ne scriva la sua biografa Virginia Benedetti, non conseguì alcun diploma, ma solo la licenza da una Scuola Normale, abilitante all’insegnamento nei primi due anni del ciclo inferiore delle elementari, come previsto dalla vecchia legge sabauda Casati (1859), rimasta in vigore dopo l’Unità d’Italia.
Concludo d’accordo con quel giornalista locale che ha già definito un evento “Il paese dei Mussolini”, non può essere che così, perchè rara e memorabile, una mostra tanto deludente, scontata e inutile.