Il prossimo 12 marzo sarà un secolo dalla nascita di Giovanni Agnelli (Torino, 12 marzo 1921-24 gennaio 2003), solitamente chiamato Gianni e per antonomasia appellato “l’Avvocato”, sicuramente il maggior protagonista dell’economia italiana nella seconda metà del ‘900 e figura di rilevo nella storia del capitalismo mondiale del XX secolo.
È stato, infatti, Gianni Agnelli, succedendo il 30 aprile 1966 a Vittorio Valletta nella carica di Presidente della FIAT, a guidare il grande gruppo industriale torinese attraverso le celeri trasformazioni industriali, produttive ed economiche, di un mutevole quadro internazionale dei mercati e della concorrenza.
A tal proposito, “l’Avvocato” va ricordato per l’incisività con la quale seppe affrontare sfide davvero epocali: innanzitutto, già dalla fine dell’era Valletta, la razionalizzazione degli investimenti, puntando su quelli di più immediato ritorno economico e di maggiore occupazione che, concretamente e continuativamente, manifestassero il carattere propulsivo della FIAT nell’economia nazionale, questo anche al fine di accattivarsi le simpatie politiche, intrinseche a governi nazionali, spesso mutevoli e precari. Amaro, in proposito, è sempre stato il giudizio del nostro Gianni sulla fragilità cedevole dell’Italia, insomma “un materasso, il sistema italiano. Pasolini avrebbe detto una ricotta.”
Poi, tra il ’68 e il ’78, la realizzazione del primo progetto di internazionalizzazione per la conoscenza del marchio FIAT nel mondo con stabilimenti in ben 4 continenti: l’Europa (Italia, Polonia e Spagna), il Sud America (Brasile e Argentina), l’Asia (Turchia), infine, persino l’Africa (Egitto e Sud Africa): a questo tentativo riuscito ne seguì un altro, più difficile e altalenante negli esiti, che tra la metà degli anni ottanta e gli inizi del 2000 coinvolse, prima, la Ford, poi la General Motor.
Né va dimenticata la grande attenzione, sempre prestata da Gianni Agnelli, all’attualità stilistica e tecnica dei modelli FIAT rispetto alle esigenze del cliente ovvero dell’automobilista, sempre più sollecitato dalle proposte motoristiche di un’agguerrita concorrenza.
Ancora, sin dagli anni ‘80 Agnelli intuì e applicò rapidamente i vantaggi dell’automazione, della robotizzazione sia ai fini della riduzione dei costi produttivi sia ai fini della qualificazione professionale, quest’ultima concepita come compensazione di una graduale, inevitabile contrazione occupazionale nei ruoli operai e tecnici tradizionali.
Ma il nostro Gianni va pure ricordato come l’industriale in cerca della pace sociale quale premessa essenziale del futuro delle imprese: negli anni caldi della protesta operaia tra il’69 e il ’70 “l’Avvocato” affrontò e visse con apprensione la difficile vertenza del rinnovo del contratto di lavoro dei metalmeccanici; poi, Presidente di Confindustria tra il 1974 e il 1976, consapevole come la durezza della conflittualità sindacale nuocesse alla slancio produttivo, Agnelli concluse con la triplice CGIL, CISL, UIL l’accordo sulla cosiddetta scala mobile ossia l’adeguamento dei salari al costo della vita, nonostante la manifesta opposizione di gran parte degli industriali.
Altrettanto, il nostro Gianni merita essere ricordato come uomo delle istituzioni, quindi nel 1961 Presidente dell’Esposizione Internazionale del Lavoro, nel 1991 senatore a vita, nel 2000 membro d’onore del Comitato Olimpico Internazionale: nel 1976 aveva pure rinunciato ad una candidatura parlamentare, offertagli dal Partito Repubblicano di Ugo La Malfa verso il quale manifestava simpatia ed interesse; nel 1998, caduto il governo Prodi, suscitò scalpore il suo voto di senatore a vita a favore del nuovo premier D’Alema, scalpore che egli liquidò lapidario con un “oggi in Italia un governo di sinistra è l’unico che possa fare politiche di destra”.
Strenuamente fiducioso nell’Europa perché convinto che “per essere italiani nel mondo dobbiamo essere europei in Italia.”
Gianni Agnelli è stato anche un indimenticabile uomo di stile, perché no contrassegnato da un suo glamour: l’erre moscia da retaggio nobiliare e l’eleganza di portamento, qualunque cosa indossasse; la stravaganza dell’orologio sopra il polsino della camicia e l’amore per il bello, la cultura; la passione sportiva per lo sci, la Ferrari, soprattutto per la Juve, i cui campioni tratteggiava come artisti del calcio, così da definire Baggio un Raffaello e Del Piero un Pinturicchio. Infine, la sua fama di impunito playboy che collocava dentro la considerazione che “ognuno è playboy. Tutti ci provano, alcuni ci riescono, altri no.”
Un secolo fa, dunque, Torino accoglieva un grande figlio che di lei con concreto orgoglio avrebbe sempre detto “A Torino si va a letto presto, ci si alza presto e il lavoro è una cosa seria”. Questo l’insegnamento che resta del nostro indimenticabile “Avvocato”.