I cappelletti del pranzo natalizio sono un altro piatto ricco di significati e di identità per la nostra terra. Ricordano i cibi propiziatori e di preparazione più elevata che accompagnano i giorni e le feste da Natale all’Epifania.
Michele Placucci nel volume già citato nei precedenti testi riporta la testimonianza del parroco di Savarna dell’anno 1811 in risposta all’inchiesta napoleonica: “In questa solennità è costumanza anche né più miserabili usare una certa minestra chiamata cappelletti”. Mentre il Prefetto Staurenghi, in relazione al Dipartimento del Rubicone, annota: “Il giorno di Natale presso ogni famiglia si fa una minestra di pasta con ripieno di ricotta, che chiamasi cappelletti. L’avidità di tale minestra è così generale che da tutti, e massime dai preti, si fanno delle scommesse di chi ne mangia una maggiore quantità, e si arriva ad alcuni fino al numero di 400 o 500, e questo costume produce ogni anno la morte di qualche individuo per forti indigestioni”.
Placucci, elaborando l’inchiesta, trae questa conclusione: “In questo giorno (Natale si intende) si fanno i cappelletti, minestra composta di ricotta, formaggio, uova, aromi, il tutto avvolto in pasta, detta spoglia da lasagne”.
Il noto scrittore Graziano Pozzetto ha scritto: “Il piatto principale della mensa natalizia erano (e sono ancora vivaddio!) i cappelletti (in brodo s’intende!), piatto principale, minestra bandiera, attesa, preparata e consumata, assai raramente durante l’anno se non in poche occasioni speciali, nelle feste principali della Parrocchia, due tre volte nei dodici mesi; ma ciò non era una regola diffusa, anzi. Tonelli conferma che i cappelletti nella sua vallata del Savio, capitavano proverbialmente solo una volta l’anno, a Natale! Ecco spiegata, l’ingordigia sostenuta dal Prefetto Staurenghi. In ogni famiglia romagnola di un tempo, non poteva passare Natale senza i cappelletti, per gli incapaci poteva provvedere qualche parente o un vicino di casa. Si preparavano la sera della vigilia, la cui cena non era prevista, se non in termini poveri e in ogni caso senza carne”.
Va messo in rilievo che nella ricetta dei cappelletti Pellegrino Artusi indica nel Raviggiolo uno dei principali ingredienti. Questo nostro formaggio ha trovato nel corso dei secoli famosi estimatori, come Papa Leone X che addirittura nel 1515 lo ricevette come dono; è un prodotto piuttosto difficile da reperire (a causa delle restrizioni normative igienico-sanitarie) che si ottiene dalla caseificazione di latte vaccino. Per la sua pasta bianca e tenera, per il sapore molto delicato, burroso, è oggi fra i formaggi più noti e ricercati di una ristretta zona che va da Santa Sofia a Bagno di Romagna.
Un altro piatto prediletto dai romagnoli è costituito dalle tagliatelle, sempre e rigorosamente al plurale! Sarà argomento della quarta parte di questo viaggio sugli aspetti della tradizione culinaria nostrana.
Gabriele Zelli