Tenace, la consigliera comunale Marinella Portolani del gruppo “Fratelli d’Italia per Giorgia Meloni” di Forlì, pure presidente della commissione Pari Opportunità, non demorde e insiste a cercare visibilità, rilievo personale, ormai dogmaticamente persuasa che la sua immagine coincida con la visione politica, innovativa della città.
Ancora brucia, come brace sotto la cenere, la polemica sull’uso, ritenuto fuori luogo, se non addirittura razzista, del termine “bonifica” da parte della signora sul caso della giovane Saman, ancora viva è l’eco della serata in frusciante abito lungo sul tema di Dante e le donne, organizzata, pochi giorni addietro, dalla stessa iconica signora all’Arena del S. Domenico, eppure questa first lady della maggioranza di centrodestra al governo di Forlì non riesce minimamente a rassegnarsi, anche solo per poco tempo, al fatto che si allontani dalla sua “figurina” l’occhio di bue del riflettore della notorietà cittadina.
Giorni addietro, proprio sul caso Saman ho scritto a sostegno della signora Marinella Portolani contro le immotivate, perlomeno eccessive accuse dell’opposizione di centrosinistra per quel suo “bonifica” sopra le righe, ma stavolta, mi dispiace, sono costretto ad esser caustico contro di lei, anzi a spararle a sale: non fa male, ma pizzica solo un pochino!
L’occasione, davvero ghiotta per la mia penna cecchina, sempre in agguato, sono le dichiarazioni della consigliera-presidentessa, rilasciate riguardo al prossimo intervento di recupero e messa in sicurezza dell’Abbazia di S. Mercuriale, compresa la torre campanaria. In un suo intervento su Il Resto del Carlino del 3 luglio la gentile “etoile” della politica locale, pur ringraziando l’Abate di S. Mercuriale, don Enrico Casadio “per la disponibilità e la collaborazione dimostrata” subito si precipita a rivendicare di essere stata “la promotrice di questa collaborazione fra Amministrazione e Chiesa”, ostentando vanagloria personale a scapito della sobrietà politica, doverosa da parte di ogni figura istituzionale: per carità, “unicuique suum” ovvero a ciascuno il suo, meriti compresi, ma si abbia almeno il buon gusto che tali meriti siano verificati, sanciti dal giudizio altrui e non dallo sbandieramento a priori da parte della persona interessata.
Senza pedanteria intendo subito evidenziare, non fosse altro per quasi 40 anni di attività come funzionario del Ministero per i beni e le attività culturali, come il regime dei beni ecclesiastici, ivi compresi gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, coinvolga solitamente un numero di organi, uffici, ben oltre la Chiesa e l’Amministrazioni locali: si pensi alle Soprintendenze territorialmente competenti, ai centri di restauro specializzati, agli organi regionali aventi titolo, insomma una pluralità collegiale di soggetti, chiamati in causa solo da una documentata richiesta di intervento, promossa, singolarmente o congiuntamente, dai Comuni o dalla Chiesa, sicuramente lungi da sentirsi sollecitati soltanto dalla voce di un singolo consigliere comunale. Dunque, la primogenitura da parte della signora Portolani della promozione del recupero di San Mercuriale va molto ridimensionata, non fosse altro per prevenire l’adagio proverbiale quanto sia spesso inevitabile che “chi si loda si imbroda”.
Sicuramente, qualunque intervento, straordinario od ordinario che sia, di manutenzione di San Mercuriale rientra nel piano generale programmato di tutela e salvaguardia del nostro patrimonio architettonico storico e monumentale. Aggiungo, ancora, che ogni edificio antico è tutelato, riconosciuto per l’esercizio di una destinazione d’uso finale che, nel caso dell’Abbazia e del campanile di S. Mercuriale, è rispettivamente quella di luogo di culto, vita comunitaria dei fedeli e quella di torre campanaria. Quindi, la corrente messa in sicurezza del complesso risponde a queste due finalità: diverse finalità prevedono ben diversi protocolli di sicurezza.
Di questo tenga ben conto la consigliera-presidentessa Marinella Portolani con la sua proposta che il campanile di San Mercuriale sia aperto sino alla cima alla visita di turisti per godere così di una “vista mozzafiato, magari accompagnata da musica gregoriana”, tutto compreso pure nel biglietto d’ingresso alle mostre del S. Domenico.
Purtroppo, tale è l’entusiasmo di tanta proposta che la sua sostenitrice dimentica persino come quelle gregoriane siano musiche liturgiche, inadatte, dunque, all’uso e alla circostanza da lei prospettati. Forse, ormai stretta dagli angusti orizzonti terrestri del centro storico cittadino e tentata, anche dalle celebrazioni dantesche, di sperimentare spazi eterei, assecondando la sua aspirazione ad “ascendere semper”, Marinella Portolani vuol sedurre i turisti a salire in vetta a San Mercuriale, illudendoli chissà mai quale panorama di incomparabile bellezza, suggestione storica, artistica, urbanistica possa riempire i loro occhi, la loro esperienza di vita. Vorrei che si riflettesse come ogni bene architettonico, campanile di San Mercuriale compreso, abbia un duplice valore culturale: uno intrinseco al suo corpo, quindi al pregio della sua realizzazione; l’altro, estrinseco, invece relativo al contesto, allo spazio dominato dallo stesso edifico.
Non discuto il valore culturale intrinseco del campanile di San Mercuriale, dubito, invece che lo spazio sul quale domina valga davvero la scalata sino alla cella campanaria. Una cosa sono il campanile giottesco di Santa Maria del Fiore, duomo di Firenze, o la senese Torre del Mangia su piazza del Campo oppure la lucchese Torre di Guinigi con, alla sua sommità, il giardino pensile di sette austeri lecci; ancora tutt’altra cosa sono la Torre Pendente di Pisa sulla sbalorditiva piazza dei Miracoli o il campanile del duomo di Pistoia sullo scenario della più bella e integra piazza medioevale italiana oppure il celebre Torrazzo di Cremona o, magari il campanile veneziano di San Marco o la bolognese Torre degli Asinelli: tutti campanili o torri, davvero dominanti su estesi spazi circostanti di grande valenza e valore storico.
Ben poca cosa, dunque, salire sino in cima a San Mercuriale per godere solo della sottostante piazza Saffi e poco altro! Se si vuole incrementare il turismo culturale di Forlì, si deve operare sul circuito museale cittadino, sulla rete degli archivi e biblioteche, sulla proposizione di eventi, mostre che focalizzino anche la memoria del territorio; questi sono gli impegni veri, necessari, soprattutto se inquadrati in un programma culturale di chiare priorità, finalità e scadenze. A Forlì c’è tanta fame di cultura, ma il suo pane scarseggia e qualcuna, improvvida, ignorando tale fame di pane, un po’ sulle orme della regina Maria Antonietta, crede di offrire brioches!
Questo è dilettantismo, sensazionalismo, coup de théatre, forse una “mossa” fuori luogo da sciantosa, ma Ninì Tirabusciò è stata unica e non ammette imitazioni.
Franco D’Emilio