Sino ad oggi, scene simili sottocchio mi erano capitate a Roma e Milano, a Verona come a Napoli, ma, si sa, le grandi città amplificano sempre quanto nella piccola provincia resta più in sordina, ancora parzialmente nascosto per la consapevolezza che risulti censurabile, scandaloso, fuori dalle regole, dalle consuetudini, insomma da quella realtà che costituisce o, forse, dovrebbe costituire la normalità dei comportamenti umani.
Invece, mercoledì scorso, pure a Forlì, percorrendo in auto viale dell’Appennino verso porta Ravaldino, chiuso nel refrigerio dell’aria condizionata contro l’incombente afa della controra, ho preso atto che non vi sono più freni, non vi è più pudore: siamo, ormai, all’ostentazione, all’esibizionismo di quanto ritenuto dai più socialmente insano e trasgressivo, ma adesso, invece, quasi imposto provocatoriamente ad una maggioranza, da sempre in quel solco naturale e sociale, umano e morale, codificato da regole e norme, a partire dal riconoscimento costituzionale dell’art. 29 ovvero “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.”
E il matrimonio, si sa, da sempre, sin dalla tradizione del diritto romano, è universalmente inteso come unione fra un uomo e una donna, soprattutto per la finalità che i figli nati da questa unione siano riconosciuti come discendenza legittima di entrambi o anche uno solo dei coniugi. Ma torniamo a mercoledì scorso in viale dell’Appennino a Forlì, quando sono stato costretto a fermarmi dal furgone in panne di un corriere che, invano, tentava la rimessa in moto, impossibile sorpassarlo per il sopraggiungere di mezzi sulla corsia opposta: presto, nei miei specchietti retrovisori esterni, la coda di alcune auto e del piccolo autobus, proveniente dall’ospedale.
Nell’attesa che il furgone ripartisse, alla mia destra mi è caduto l’occhio sotto la pensilina d’attesa del bus con la sorpresa di due giovani uomini, con ardore e frenesia intenti tra loro ad un bacio alla francese o alla fiorentina che dir si voglia.
Certo, “de gustibus non est disputandum”! Entrambi con la barba folta, uno più alto e il piccoletto, vestito di colori vivaci, davvero un pugno nell’occhio, quasi in punta di piedi per il bacio, mentre con una mano vistosamente palpeggiava gli zebedei altrui: insomma, la versione omosex de Il bacio, splendido quadro di Francesco Hayez (Venezia, 1791-Milano, 1882), non me ne voglia la buonanima del grande artista al punto di rivoltarsi nel celebre famedio meneghino.
I tempi sono cambiati anche a Forlì, ho dovuto prenderne atto da questa scena così plateale; in fondo ero impreparato a tanto spettacolo, perché fortemente tradizionalista nel mio orientamento sessuale, persino persuasovi dal piccolo quotidiano che solo un bottone possa attraversare un’asola o un filo la cruna di un ago oppure una spina maschio connettersi ad una spina femmina.
Si dica quel che si vuole del mio dogmatismo sessuale, magari sono obsoleto, chiuso alle novità, ma credetemi resto cauto secondo la proverbiale saggezza che “Chi lascia la via vecchia per la nuova sa quel che lascia, ma non sa quel che trova”.
Assolutamente non mi pento di aver educato mio figlio sul filo di questa direzione, ancora di più sono felice di non aver buttato via il tempo nell’attesa che il mio ragazzo scoprisse la sua identità sessuale, magari indottrinato a scuola da qualche corso propedeutico alla scoperta del proprio genere. Per carità no! Della scena a cui ho assistito mi ha dato fastidio la platealità sfrontata, provocatoria e di sfida alla prevalente condotta altrui. Mi ha dato fastidio la volgarità pubblica dei due, pari e sempre riprovevole, intendiamoci, in qualunque atto osceno, etero od omosessuale che sia! Mi ha dato fastidio che la tolleranza, mia e altrui, fosse offesa dalla volontà esibizionistica di violentare la mia coscienza, i miei valori.
Mi ha dato fastidio la noncuranza dei due, la loro mancanza di rispetto verso gli altri.
Non sono né mai diverrò omofobo, tanto meno sono incline a crociate eterosessiste, però rivendico il mio diritto di cittadino a manifestare mie opinioni, mie idee sull’omosessualità, sul suo peso politico, sulla sua pretesa di assicurarsi ulteriori tutele con provvedimenti, quali il disegno di legge Zan, volti a colpevolizzare la maggioritaria platea eterosessuale, compresa la sua libertà d’opinione e di diritto di critica.
Certamente, le minoranze vanno tutelate, difese, ma non a scapito delle maggioranze che costituiscono l’ordinarietà quotidiana della vita sociale di una nazione.
Il Ddl Zan è un inutile obbrobrio, considerato che già esiste una normativa atta a colpire l’intolleranza contro l’omosessualità. Nei confronti della libertà, della democrazia, persino dei principi costituzionali il Ddl Zan risulta solo destabilizzante, eversivo perché intollerante verso la maggioranza dei cittadini, addirittura offensivo, spregiativo della nostra memoria storica: i segnali non mancano, sempre significativi, anche se piccoli, come nel caso dell’unghia di un alluce della virile statua forlivese di Icaro nel piazzale della Vittoria, recentemente smaltata vezzosamente di rosso.
Mi auguro che non si stia preparando l’ascesi, pure questa stellare, di un movimento politico omosessuale: sarebbe davvero una iattura per il paese.
Franco D’Emilio