Nessuno s’illuda che il peggio sia trascorso: il sogno di un’internazionale integralista, determinata nella vita sociale e politica alla rigida applicazione della legge islamica, ispirata al Corano e alla Sunna, resta un pericolo tuttora incombente, nemico dichiarato e oltranzista della civiltà occidentale e delle sue istituzioni libere, democratiche, ispirate a valori di uguaglianza, solidarietà e tolleranza. Il recente ritorno dei talebani al governo dell’Afganistan ha di nuovo elevato questo rischio islamico, animato dall’odio religioso in nome di Allah e risoluto all’uso delle terribili armi della paura, dell’intimidazione e del terrore.
Infatti, l’abbandono del paese afgano da parte delle truppe della missione militare di pace sotto il comando NATO ha esaltato lo spirito di quel radicalismo islamico che nel valore unificante e totalizzante dei principi religiosi vede il comune denominatore di una grande internazionale islamica, capace a livello mondiale di guidare il consenso, la presenza sociale, il ruolo politico delle comunità musulmane, ovunque sparse nei continenti.
Il fermento di questo internazionalismo islamico è davvero esteso: domina principalmente il Medio Oriente iracheno, siriano e, infine, iraniano; tocca sensibilmente tutta la cintura costiera africana sul Mediterraneo; raggiunge paesi interni dell’Africa settentrionale e occidentale, come il Sudan e la Nigeria; coinvolge alcuni stati dell’Asia Centrale, prima possedimento sovietico; si estende, poi, a diversi paesi dell’Asia meridionale, quali Afganistan, Pakistan, India e Sri Lanka.
Il fallimento militare e politico del Califfato, subentrato nel 2014 allo Stato Islamico jihadista nel controllo di ampi territori della Siria e dell’Iraq, non ha significato affatto un depotenziamento delle aspirazioni panislamiche, fra l’altro espressione pure di lotta anticapitalista contro il mondo occidentale, giudicato nemico dello sviluppo dei paesi più poveri, nonostante la sua universale professione di democrazia e solidarietà politica. Anzi, al proprio anticapitalismo, sempre memore del colonialismo subito, il mondo islamico radicale ha aggiunto la sfida culturale di un proprio progetto politico e sociale che alle incertezze del pluralismo ideologico, pur laico e democratico, dell’Occidente, oppone la fermezza, certa e univoca, del suo integralismo, rispettoso, anche in politica e verso la realtà sociale, solo dei soli valori e dei principi dogmatici della sua stessa religione.
Il radicalismo islamico non ammette opinioni differenti, rifiuta ogni confronto dialettico, esclude in assoluto il pluralismo democratico e tutto questo perché interessato soltanto ad una statualità di espressione religioso-islamica, sino all’eccesso della teocrazia, come in Iran, e, comunque, sempre con forti connotazioni autoritarie di deriva dittatoriale: questa caratteristica del radicalismo islamico non arretra neppure in paesi come la Turchia, l’Egitto, il Libano, dove pure è costretto a convivere e misurarsi con altre espressioni politiche.
L’integralismo, fondamento della corrispondente internazionale islamica, condanna ogni laicismo, quindi ogni libera espressione di studio e ricerca, conoscenza e critica che esuli dai principi della legge coranica e dai precetti di vita della Sunna, insomma un disegno oscurantista, incline al dialogo solo con interlocutori, parimenti autoritari, quali il regime comunista cinese o quello degli ayatollah iraniani o, ancora, quello semidittatoriale del turco Erdogan. L’integralismo islamico insegue il sogno di una sua internazionale, utilizzando quattro strumenti: internet; l’immigrazione incontrollata in occidente, soprattutto attraverso l’Europa; il riconoscimento, ovunque, di uno ius soli, automatico e incondizionato sul modello nordamericano; infine, il proselitismo. Sono quattro strumenti insidiosi, e, nel caso dell’immigrazione incontrollata e del proselitismo, pure assecondati dall’irresponsabile complicità politico-solidaristica di taluni paesi d’accoglienza che appaltano ad ONG il lavoro sporco di recupero degli immigrati clandestini.
Internet ha rivelato la sopravvivenza, anzi l’ulteriore diffusione del radicalismo islamico nel mondo, supportando e guidando efficacemente anche l’esteso circuito delle moschee e dei centri islamici, spesso responsabili di assecondare e coprire condotte dei propri fedeli, non in linea con le regole, le leggi del paese ospitante.
L’Italia, più di ogni altro paese dell’occidente europeo, paga il prezzo di questa penetrazione islamica, immigratoria e non, frequentemente venata da integralismo radicale e incline a creare un “proprio mondo a parte” all’interno della nostra comunità nazionale: in quest’ultimo caso, quasi la volontà di sottrarsi il più possibile non solo al rispetto delle nostre leggi e regole, ma persino al rispetto delle buone norme di convivenza, legate alla tradizione della nostra civiltà, come ha dimostrato il terribile caso della giovane Saman Abbas, la ragazza pakistana residente a Novellara.
Dobbiamo restare aperti al mondo islamico, ma in modo vigile, lo impone la dinamica geopolitica dei tempi attuali, lo esige la terribile logica del terrore jihadista.
Franco D’Emilio