Così, anche a Forlì, domani e dopodomani, 25 e 26 gennaio, nel selciato di alcune vie cittadine saranno inserite delle cosiddette “pietre d’inciampo”, quale memoria indelebile di ebrei forlivesi, deportati e uccisi nel terribile gorgo dello sterminio nazista: collocate solitamente davanti alle ultime abitazioni delle sciagurate vittime, queste “pietre d’inciampo”, ideate dall’artista tedesco Gunter Demnig, sono blocchetti cubici di pietra, 10×10 cm., praticamente dei sanpietrini, con la faccia, in superficie sul fondo stradale, ricoperta da una piastra d’ottone lucido, recante l’indicazione del nome, l’anno di nascita, il giorno e il luogo di deportazione, infine la data di morte di ogni vittima dell’Olocausto.
Comprendo e condivido appieno il fine, il valore dell’iniziativa di serbare viva la memoria di ogni vittima dell’ideologia nazi-fascista, obiettivo che, fra l’altro, dal 2010 ad oggi io stesso ho perseguito con la cura di più mostre storico-documentarie e la stesura di vari interventi sul tema; altrettanto, sono d’accordo che queste pietre richiamino la memoria dell’assurda strage in prossimità della casa di ogni vittima, ricordando, così, come il progetto mondiale dei nazisti per la “soluzione finale” ovvero l’eliminazione degli ebrei, ovunque essi fossero, nessun altro genocidio è mai stato pari, iniziasse, pure nella “Romagna solatia dolce paese”, proprio dalla cancellazione della casa, luogo simbolico e importante della vita quotidiana, affettiva, sociale e culturale di ciascun perseguitato; insomma, come tanti forlivesi, sono partecipe sul piano emotivo, mentale, soprattutto riflessivo del richiamo suggestivo di queste pietre del ricordo.
Invece, non sono mai stato affatto d’accordo sulla denominazione “pietre d’inciampo” perché oggettivamente riduttiva del pieno valore della memoria, intesa come ricordo duraturo che nella comunità segna l’identità individuale e collettiva. Intendo dire che, pure a Forlì, il patrimonio comune, identitario e continuo di storia e valori, suscitato dalla terribile vicenda dell’Olocausto, non può richiamarsi con l’occasionalità dell’inciampo, sinonimo di contrattempo o impaccio oppure intoppo o, ancora, intralcio, magari contrarietà, ma, al contrario, deve essere agevolmente evocato in modo abituale perché perennemente vivo, come, opportunamente, rileva l’interessante saggio Le pietre della memoria di Francesca Druetti e Benedetta Rinaldi (Ed. People, 2020)
Ecco, perché a “pietre d’inciampo” sia preferibile “pietre della memoria”, definizione accolta anche da diversi comuni poiché ritenuta sicuramente più appropriata per le ragioni e le finalità sopraesposte, ma pure per il rispetto della tradizione ebraica, considerato il prevalente numero di vittime ebree: secondo il Talmud le persone si dimenticano quando se ne dimentica il nome ossia quel ricordo immediato e duraturo, certo non recuperabile dall’imprevisto dell’inciampo; inoltre, nella tradizione ebraica la deposizione di pietre sulla tomba di persone care, si pensi alla scena finale del film Schindler’s List di Steven Spielberg (1993), è un rituale cercato, voluto per rinnovare la memoria indelebile del passato e dei suoi protagonisti.
Immagino che qualcuno sosterrà l’inezia, la pedanteria delle mie osservazioni, soprattutto il mio essere bastian contrario ad una definizione accolta senza se e senza ma, dunque la mia inopportunità contro l’occasione che anche Forlì abbia finalmente le sue “pietre d’inciampo”, come dappertutto le chiamano! La nostra città, in modo poco riflessivo e originale, ha scelto di omologarsi, adeguarsi alla pratica celebrativa secondo un modulo standard, anziché cercare una propria originalità che diversamente rievocasse e celebrasse con altrettanto pari significato la prossima Giornata della Memoria. È la logica insipiente, insita nel principio: se lo fanno ovunque perché non farlo pari pari a Forlì?
Personalmente, oltre che nelle strade cittadine, avrei voluto qualche “pietra della memoria” collocata nelle scuole superiori, dove maggiore è l’attenzione allo studio della nostra storia più recente e dove più si impone il vigore di un memento nella formazione dei giovani cittadini; una “pietra della memoria”, ancora, l’avrei vista bene in qualche banca, protagonista della confisca di risparmi ad ebrei forlivesi; inoltre, avrei voluto che nel segno del Talmud una “pietra della memoria” a San Tomè di Forlì recuperasse nella Giornata della Memoria il ricordo di Emilio e Massimo Zamorani, rispettivamente padre e figlio, ebrei ferraresi impiccati per rappresaglia in quella località il 9 settembre ’44 e, oggi, solo citati nel cippo commemorativo con nome e città di provenienza assieme ad altre quattro vittime.
Intanto, si avvicina anche il 10 febbraio, ricorrenza del Giorno del Ricordo nella memoria dei massacri delle foibe e del forzato esodo giuliano dalmata, e, pure allora, non sarà certo opportuno parlare di inciampo.
Franco D’Emilio