Anche nella provincia di Forlì la pandemia ha picchiato duro sulle Case di Riposo e le Residenze Sanitarie Assistite (RSA), impegnandole in una prova difficile, anche drammatica, e gli ospiti di queste strutture hanno subito una duplice conseguenza: da una parte, l’incombente e, spesso, inesorabile contagio, dall’altra l’isolamento dal mondo esterno, quindi dalla vicinanza affettiva dei propri familiari. Quest’ultimi, poi, si sono trovati piegati dalla preoccupazione, dal senso di impotenza, quasi colpa di non poter essere vicini ai loro cari, tanto fragili ed esposti al pericolo.
Una condizione, quella degli ospiti e dei loro familiari, accomunata da uno medesimo tratto, la solitudine, condizione amara sia se intesa individualmente nel caso degli uni e degli altri, sia se considerata sotto il profilo del rapporto di entrambi con le istituzioni e la società circostante: ormai, è più che evidente il costo sociale di questa realtà, soprattutto sotto il profilo della riduzione, se non, addirittura, la scomparsa del ruolo delle famiglie nella vita comunitaria delle Case di Riposo e delle RSA, ruolo, fra l’altro, anche a sostegno del lavoro degli operatori sanitari di queste stesse strutture.
In particolar modo, nelle Case di Riposo questo scambio di socialità risulta da sempre un contributo positivo alla miglior efficienza del servizio agli ospiti, ma, adesso, sotto l’incalzante pandemia tale contributo appare, purtroppo, irrimediabilmente incrinato dal pesante strascico di una situazione che rimanda all’inefficienza di una malaccorta gestione sul territorio dei servizi agli anziani: si è rivelato, infatti, quanto in un’emergenza sanitaria epidemica collettiva non sia più tanto essenziale la distinzione tra autosufficienza e non autosufficienza, alla base, rispettivamente, dell’attuale distinzione tra anziani delle Case di Riposo e anziani delle RSA, ma prevalga, invece, pur secondo un’incidenza variabile negli uni e negli altri, il carattere della fragilità, legata all’esposizione d’età e ad una più o meno grave presenza di patologie.
Di conseguenza, la pandemia ha evidenziato la necessità che sempre la salute dell’anziano in strutture di tutela sanitaria debba costantemente giovarsi di una presenza medica e paramedica qualificata: invece, solo agli ospiti non autosufficienti delle RSA viene assicurata una tutela medica con presenza continuativa.
Dobbiamo convincerci, ancora di più sollecitati dagli esiti nefasti della pandemia, che, ovunque si voglia tutelare la sanità, la medicina, la cura degli anziani, ciò deve svolgersi con la stessa disponibilità di mezzi e personale di un reparto geriatrico ospedaliero perché pari a quest’ultimo, pur nella diversità delle sue finalità, nel concorrere al principio di prevenzione e tutela della salute pubblica. Attualmente, in tutta Italia le Case di Riposo e le Residenze Sanitarie Assistite, quelle forlivesi comprese, rappresentano perlopiù strutture di ricovero, pure cronicarie, spesso di spirito misericordioso e pauperistico, solo aggiuntive, secondarie per dignità rispetto al Sistema Sanitario Nazionale.
Tutto questo risulta indiscutibilmente dall’esame degli interventi, delle disposizioni dell’Azienda Sanitaria Locale (ASL) forlivese sull’attività di Case di Riposo e RSA: solo provvedimenti unilaterali, predisposti a tavolino, quindi calati dall’alto, ignorando la realtà stessa di ogni struttura per anziani sul territorio, a volte davvero particolare sul piano sociale o gestionale.
Ancora di più, questa distanza dell’ASL forlivese dalle condizioni e dalle finalità oggettive socio-sanitarie delle Case di Riposo e dalle RSA viene ribadita dall’avventurismo, dal pressapochismo con i quali si ricorre a queste strutture quali alternativa all’esaurimento di posti ospedalieri disponibili all’urgenza COVID: mentre scrivo, mi è giunta notizia da fonte certa sia di tale “espediente tappabuchi” sia di qualche recente nuovo ospite anziano, accolto senza previo tampone di controllo e, purtroppo, poi, verificato come soggetto positivo che ha impegnato, esposto a rischio personale di casa di riposo o Rsa, solitamente non utilizzabile nella cura di persone contagiose.
Ora, i sindacati Cgil, Cisl e Uil sono scesi finalmente in campo contro questa situazione, ma sicuramente è un impegno tardivo e sospetto, considerato che da sempre le OO.SS. partecipano alla contrattazione aziendale delle Asl, dunque all’organizzazione dei servizi e del lavoro, alla ripartizione dei fondi economici, alla riqualificazione dei servizi e delle professionalità, insomma detengono un potere di critica e denuncia, utile a tutelare nei lavoratori la vasta platea dei cittadini, possibili, futuri utenti di servizi socio-sanitari per anziani. Questa carenza di “verve”, indulgentemente chiamiamola così, sindacale è in parte anche responsabile di un indiretto sostegno alla prevalenza del privato sul pubblico nell’ambito della tutela sanitaria degli anziani.
Certo, tentiamo il più possibile di rimediare al deficit d’assistenza nelle Case di Riposo e nelle RSA, soprattutto invertendo la corrente politica di contenimento dei costi del personale e delle prestazioni ovvero della gestione complessiva; non può tollerarsi che in qualche struttura per anziani del territorio forlivese si sia registrata l’assurda disponibilità di lenzuola e federe! Persino, gira voce nell’Asl che non vi siano fondi, utili all’acquisto di tamponi per le Case di Riposo e le RSA forlivesi: balza immediato il pensiero come in questo terribile frangente epidemico sarebbe risultato opportuno perché prova di grande, umana solidarietà, non solo natalizia, rinunciare a qualche luminaria e donare qualcosa a chi nel percorso della vita ci ha preceduto, lavorando e costruendo il nostro presente.
Non possiamo pensare che gli anziani debbano solo tacere, ormai confinati, sepolti senza colpa in strutture più di abbandono che di cura, tutela e, soprattutto, rispetto.
Franco D’Emilio