Yoshiko Fausta Beltramelli

yoshiko

Yoshiko Tetsu, alias Yoshiko Fausta (dopo la conversione al cattolicesimo), alias Yoshiko Fausta Beltramelli (dopo il matrimonio), familiarmente chiamata Cichita. Tutti o quasi, hanno scritto, nel bene o nel male, su Antonio Beltramelli, ma della sua vita privata non è stato detto quasi niente. Io cercherò con queste mio scritto di descrivere questo suo aspetto privato. C’è una donna che fa parte di un frammento della sua vita e che diventerà sua moglie anche se in chiusura della sua esistenza: Yoshiko. una giapponese che stupiva tutti con il suo aspetto orientale e la sua dolcezza.


Vogliamo parlare di questa donna di un tempo chiaramente ormai passato ed anche dimenticato. Dalla foto è facile vedere che si tratta di un’orientale, una giapponese: l’unica che fa parte della storia forlivese dei primi anni 30 del secolo scorso.
Si tratta della moglie di Antonio Beltramelli del quale, anche senza volerlo, saremo costretti a parlare. Questa ragazza giapponese di giovanissima età, innamorata ed appassionata del bel canto lirico, manifesta con precisa convinzione, la volontà di venire in Italia per studiarlo e perfezionarsi. Così, chissà come e chissà con quali sforzi, riesce a convincere i genitori a lasciarla partire.

Siamo attorno agli anni 20 e come leggiamo nel certificato di nascita n° 36 rilasciato dal Sindaco di Otsu-machi, tradotto dal Console del Giappone in Milano il 29 marzo 1929: si certifica che Yoshiko Tetsu è nata il 1° aprile del 36 anno Meiji (1903). A Milano o a Napoli entra in contatto con il più famoso giapponese allora in Italia, Harukichi Shimoi (20 ottobre 1883–1° dicembre 1954). Giunto in Italia nel 1912, è docente all’Istituto Universitario Orientale di Napoli, collabora con Gherardo Marone, principale animatore della rivista napoletana «La Diana». È volontario nel Regio Esercito (partecipa a varie battaglie fra cui Vittorio Veneto). È amico di Gabriele d’Annunzio, col quale partecipa all’impresa di Fiume col nome di “camerata Samurai”. Un personaggio incredibile, primo nelle lettere, nel giornalismo e nelle imprese militari. Sarà un Ardito alla fine della prima guerra mondiale e introdurrà nell’esercito l’arte del Karate e successivamente del Judo.

Dato che a presentare Harukichi Shimoi a Gabriele d’Annunzio è Antonio Beltramelli, per ricambiare il favore Shimoi affermò, nelle sue memorie, di aver presentato Yoshiko Tetsu a Beltramelli. Disse Beltramelli: Portala a me, le insegnerò a cantare. E così già nel 1925 Yoshiko era alla Sisa. La famosa Sisa! Comincia così la convivenza fra Yoshiko e Beltramelli che si perfezionerà nel 1929 con il loro matrimonio e terminerà, ahimè, nel 1930 con la morte dello scrittore. E, inizia così la loro dolce…, ma breve, vita….insieme.

Antonio Beltramelli, ha dei difetti comportamentali non da poco. Il primo era quello di diminuirsi gli anni. Infatti, la sua vera data di nascita era l’11 gennaio 1874 e non come sosteneva lui il 1879, data che quasi tutti ancora oggi riportano come la sua vera data di nascita. Addirittura la Treccani! Pertanto fra i due c’erano ben 29 anni di differenza!
Mi spiace smentire anche il competente Vittorio Mezzomonaco che è stato uno dei pochi a ricordare Beltramelli nel suo articolo del marzo 2011 su “La Voce”. Infatti Mezzomonaco afferma che è nato in Via del Sole (Via Pedriali). La notizia non è esatta perché Beltramelli è nato in Via Diamante al n° 8 (oggi via A. Cantoni). Infatti leggiamo nella copia dell’atto di nascita redatto il 22 giugno 1929 in occasione del matrimonio … Forlì tredici gennaio 1874… è comparso Beltramelli Francesco di anni 43… e mi dichiara essergli nato un maschio il giorno 11 corrente… nella casa in Via Diamante al numero 8, dalla propria moglie Zampa Zenobia… Il fanciullo che mi presenta… Antonio, Pietro, Francesco. Atto letto e da tutti firmato… Enrico Casuccini Ufficiale Delegato, Forlì 22 giugno 1929. Abiterà più tardi con la famiglia in via del Sole n° 2, dove il 1° gennaio 1902 morirà sua madre Zenobia Zampa.

Tornando a Beltramelli e alla sua vita con Yoshiko, dobbiamo anche dire che la quasi infinita produzione letteraria dello scrittore lo beneficiava di ricchissime rendite. Ma ecco il secondo problema della sua vita: Beltramelli conduceva un tenore di vita ben al di sopra delle sue possibilità economiche! Molto al di sopra! E da qui nasceranno un’infinità di problemi, che vedremo in seguito dopo la sua morte. Inevitabilmente si è costretti a parlare anche dell’elemento caratterizzante la vita dei due e cioè della villa chiamata La Sisa. La sua Sisa! Lui, su LA PIÊ, in una sua biografia in cui parla di sé stesso bambino, ci racconta che la odiava perché quando la domenica la sua famiglia andava a far visita alla cugina Maria Luisa, proprietaria del casone, lui faceva tutto il possibile per evitarlo. Il perché di queste visite domenicali era dovuto al fatto che Antonio era l’ultimo dei Beltramelli, e l’eredità sarebbe andata a lui.

E, così a tempo debito, Beltramelli prende possesso della villa della Sisa. Da questo momento, quando si dice Beltramelli inevitabilmente si dice Sisa, perché con lui la casa inizia una nuova vita. La sua fama di scrittore, le sue conoscenze nel mondo delle lettere e delle arti la fecero diventare un centro culturale di rilevanza nazionale. I personaggi più importanti dell’inizio del ‘900 fino a dopo gli anni 20 divennero i suoi ospiti più che graditi.
Qualche nome? Eccolo. Sono tanti: Alfredo Panzini, Antonio Baldini, Domenico Rambelli (autore della piccola Susanna, uno dei suoi capolavori, posto a pianterreno nell’atrio), Luigi Orsini, Francesco Sapori, Arnoldo Mondadori, Grazia Deledda, Sem Benelli, Francesco Nonni, Domenico Baccarini, Marino Moretti, Francesco Balilla Pratella, Cesare Martuzzi e soprattutto (l’amico e poi nemico) Aldo Spallicci.

Questa grande casa accogliente, amata e sempre desiderata, specialmente quando lui ne era lontano; col tempo si trasforma in un cenacolo d’artisti che qui si trattenevano per giorni e giorni. È proprio qui che nascono Il Plaustro (1911-1914) e La PIÊ (1920-1933) nel soggiorno della Sisa, presenti un pomeriggio Spallicci, Beltramelli, Balilla Pratella e Luciano De Nardis. Questi autorevoli personaggi (culturalmente parlando) non si erano accorti, però, che la stampa incontrava notevoli difficoltà ad inserirsi nella dimensione popolare. Per due motivi: uno che la maggioranza del popolo era analfabeta, la seconda era la miseria dominante che non permetteva certamente di distogliere dal bilancio familiare i soldi per comperare quelle riviste. Oltre alle riviste, sempre lì alla Sisa nascono anche le famose cante romagnole (queste sì diventano popolari!) di cui sempre loro scrivono tanti testi.
Non voglio dilungarmi oltre, tanto tutti sanno tutto su di lui. Ma, come ha scritto Mezzomonaco, la sua damnatio memoriae lo colpisce per il romanzo l’Uomo Nuovo con la biografia di Mussolini e l’adesione al fascismo. Del fascismo infatti se Alfredo Oriani ne è il profeta, Beltramelli ne è l’apologeta indiscusso.

Ma torniamo al personaggio che ci interessa Yoshiko. Antonio chiaramente ne è profondamente innamorato e per celebrare la sua cultura nipponica fa costruire nel parco della Sisa un edificio in stile orientale chiamato La Sisella arredato di mobili e suppellettili esotiche. Oggi non esiste più. Nella notte fra il 28 e il 29 ottobre 1944, fu distrutto dai tedeschi. Così sono finite nelle macerie collezioni giapponesi, cristalli di Boemia e pregevoli suppellettili orientali. Sono altresì scomparsi un vaso d’argento giapponese a smalto, un elmetto giapponese con ornamenti d’oro, bruciate collezioni di riviste e giornali. Figuravano all’esterno dell’edificio alcuni motti (sul fronte era scritto su due righe: Se vi manca una casa / sarete privi di luce) e una statua della Venere giapponese dello scultore Ercole Drei di Granarolo Faentino.

Lasciamo la Sisella e torniamo alla vita dei due innamorati. Tante le gite in auto per andare a trovare ora un amico, ora un altro. Arrivati a destinazione, dalla sua signorile automobile scendeva lui e una strana e dolce creatura dagli occhi a mandorla e dal volto giallino con due pomellini finti sulle guance: una ragazzina dell’Estremo Oriente che parlava in buon italiano, se non in romagnolo stretto. Lei era Yoshiko, ma anche Fausta e molto spesso solo Cichita. Per tutto il tempo che durava la visita, la gente del posto aspettava per poterla vedere… lei, una signorina nipponica… in tailleur… occidentale. Alla Sisa, Yoshiko si faceva talvolta trovare invece con un sontuoso e pesante vestito da cerimonia del Sol Levante. Un costume tanto complicato che era necessario molto tempo per indossarlo. In tavola c’erano anche bacchettine giapponesi per un pranzo con strani cibi e strane salse non sempre gradite! Queste scenografie richiamavano alla memoria i concerti a cui lei cantante venuta in Italia con il sogno di diventare famosa si stava preparando con tanto di maestra personale di pianoforte.

Antonio scrive le parole che seguono come dedica a lei, in un suo libro: “Se la soave bimba del Sol Levante troverà in queste pagine un po’ di sé stessa, non se ne meravigli perché la donna è una tanto nell’Estremo Oriente come nell’Estremo Occidente”.
E così assieme alla Sisella all’ombra dei pioppi del Ronco, spuntano anche fiori di loto. L’atto finale di questo rapporto non poteva essere che il matrimonio. E così sarà. Anche perché già dal 1927 Beltramelli scopre di essere ammalato e interrompe il suo lavoro. Della malattia, grave, ce ne parla la sorella in qualche sua lettera. È colpito da un tumore celebrale che la scienza non riesce a combattere ad eccezione dei “raggi” a cui lui si sottopone. Senza dubbio Beltramelli si trasferisce per curarsi a Roma e cosciente di essere su una strada senza ritorno decide di sposare Yoshiko. Del matrimonio non esistono più documenti ufficiali: gli Atti di Matrimonio dell’anno 1929 sono scomparsi. Anche dei nati del 1874 è presente solo il 2° Registro (Giugno -Dicembre), mentre lui nasce l’11 gennaio.
Il matrimonio avverrà il 7 novembre 1929, ma esiste una discordanza sul luogo. Alcuni parlano della Chiesa di Ghibullo, altri invece di S. Maria del Fiore in Forlì. Non so quindi dove esattamente sia stato celebrato questo matrimonio, in forma religiosa, visto che i Registri di quello civile non esistono.

Credo che non sia difficile immaginare come sia stata triste la celebrazione di questo matrimonio. Così come appare chiaro che a questa non sia seguito alcunché di tradizionale. Supponiamo anche che la famiglia nuova e vecchia sia andata con Antonio a Roma per gli inevitabili ricoveri in ospedale e le necessarie, anche se inutili, cure. Solo assistenza e conforto. Il 15 marzo 1930 Antonio Beltramelli scompare. La salma viene trasferita a Forlì dove giunge lunedì 17 marzo alle ore 9 col direttissimo da Roma. Cancellate, per espresso desiderio della vedova e della sorella, le solenni onoranze predisposte dall’Amministrazione (camera ardente in Pinacoteca, funerali solenni il giorno dopo).

La salma viene accompagnata direttamente dalla stazione al Cimitero urbano. Sul feretro un cuscino di violette di Yosikho, la feluca e lo spadino accademico. Nel pomeriggio alle 16 i resti mortali di Antonio Beltramelli vengono tumulati nella sua tomba di famiglia al monumentale (Arcata esterna dell’avancorpo distinta colla lettera “r”). Nell’ottobre 1938 i suoi resti e quelli della sua famiglia sono traslati alla Sisa. Ecco una breve descrizione della tomba di Beltramelli. Ideata da Luigi Emiliani: un peristilio a tre campate di pietra di Galeata. In mezzo da terra un macigno d’arenaria di S. Marino squadrato come un sarcofago su cui è inciso il suo nome. Le bare sottoterra. Sull’architrave del peristilio i versi di Beltramelli: “Torna, torna pastor, dove sei nato ché il più bel fiore è quello della tua casa”.

Ma la vicenda non finisce qui, anzi da questo momento inizia un triste cammino che la sorella Maria intraprende per sopravvivere. Come abbiamo già detto il lavoro letterario di Antonio, e la collaborazione della sorella anche lei valente (ma non famosa) scrittrice, lo premiava sì con laute prebende, basti pensare all’assegno annuo dell’Accademia di trentaseimila lire, ma con la sua scomparsa non resta più nulla. Quello di Maria diventa un caso umano particolarmente penoso: una persona priva di mezzi e sostentamento. Scrive: «…lei sapeva come agiva il mio caro, si arrabattava, lavorava senza tregua per guadagnare e siccome era spensierato e generoso non lasciò che debiti…. Il Duce ci soccorse …. ma io a Cichita debbo pensare e per questo vorrei che la proposta che farà Marinetti all’Accademia sia accolta perché si dia una pensione alla vedova di Beltramelli. Quella poverina ha bisogno di una piccola certezza per vivere e la Sisa non è che una passività».

E così lettere su lettere agli amici di Antonio, ai potenti per poter avere qualche aiuto… dopo aver dato tanto (!!!)… Si impegna anche per poter far fare dei concerti a Yosikho che sia a Forlì che a Ravenna si realizzano. Il più importante è quello tenuto a Roma nella sala di S.Cecilia il 16 marzo 1934. Cichita, di concerti ne aveva già tenuto in anni passati e aveva anche studiato per prepararsi ad interpretare le canzoni di “Pratella” scritte da Antonio. La cantante rivelava un’arte avvincente e personalissima e gli ascoltatori erano subito soggiogati per la finezza aristocratica e la profondità di sentimento dell’artista giapponese (Il Corriere Padano).

Costatato che alla Sisa lei, Yoshiko Cichita, non trovava più alcun motivo per viverci, decide di tornare al suo paese d’origine dove nel frattempo è già andata diverse volte. Così dopo sei anni parte definitivamente per il Giappone senza più fare ritorno, ma soprattutto senza nulla chiedere o pretendere. Qui continua la sua attività di soprano sia in teatro che alla radio. Ad esempio interpreta il 26 gennaio 1947 Antichi menestrelli di Gilyak Tribes, poi anche Tre Ninne Nanne che è presentato in una trasmissione radiofonica nell’ottobre 1949, la cantante è sempre lei Yoshiko Beltramelli. E poi chissà quant’altro…che io non ho trovato.
Scompare nel 1973. Sono contento che questo personaggio, chiaramente di secondo piano rispetto a “lui”, io possa averlo riportato alla luce e alla conoscenza di tanti.

Agostino Bernucci

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