Giusti la gioia, l’entusiasmo di Fratelli d’Italia per l’indiscutibile successo elettorale che ha decretato il partito di Giorgia Meloni come forza principale della coalizione di centrodestra con un apporto di voti e seggi, utile ad assicurare al futuro governo meloniano un’ampia, stabile maggioranza in Parlamento. Dunque, da Forlì a tutta la Romagna e in ogni dove d’Italia una gran messe di consensi sulla quale, credo, sia però opportuno, per senso di responsabilità e per realismo politico, fare qualche considerazione.
Innanzitutto, tanto motivato consenso a Fratelli d’Italia è stato, sicuramente e molto ampiamente, indotto più dalle vicende della politica nazionale e, di conseguenza, dalle rispondenti posizioni e proposte alternative del partito di Giorgia che non dalla ricaduta del buon governo locale, laddove tangibile e apprezzabile, di talune amministrazioni comunali, anche romagnole, di centrodestra.
Una cosa è la dinamica della politica e delle scelte locali, perlopiù incentrata e mossa su peculiarità sociali, economiche e, perché no, culturali dei singoli territori, altra cosa è la politica nazionale, quindi la proposta complessiva di un partito che vince uniformemente da nord a sud, sia sconfiggendo l’infido avversario della sinistra sia stabilendo nuovi equilibri di forza all’interno della stessa propria alleanza di riferimento, come dimostra l’erosione di voti a scapito della Lega. In Veneto e nel Friuli, attraverso il voto, Fratelli d’Italia ha battuto la Lega sul tema dell’autonomia regionale proprio con il valore della sua proposta nazionale su questo tema, da anni così attuale e spesso divisivo.
Insomma, il netto successo di Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia è la vittoria in uno scontro nazionale, duro ed epocale, tra destra e sinistra in un momento di particolare gravità politica, interna ed internazionale, dove tutto ricade inclemente sulla quotidianità di italiani, stretti da bollette esose, da rincari e tanta precarietà, indotta da lavoro instabile, esiguità delle retribuzioni e pensioni, infine da una marcata disoccupazione, sia mansionistica che intellettuale.
A Forlì, come in tutta la Romagna e ovunque in Italia, Giorgia Meloni ha vinto le elezioni politiche con una complessiva proposta politica opposta a quella del centrosinistra: dagli elettori è stata premiata la bontà del programma politico generale di Fratelli d’Italia, all’opposto è stata, invece, sonoramente bocciata l’intera proposta del PD e dei suoi satellitini, entro il sempre più ristretto planetario del centrosinistra.
Anche a Forlì, come in tutta la Romagna e ovunque in Italia, il terzo polo, rispettiamo almeno i dati elettorali, del decimato M5S e il quarto incomodo delle smodate ambizioni di Calenda e Renzi sono sempre stati battuti per il consenso, la scelta degli elettori verso l’indirizzo politico nazionale del centrodestra e, soprattutto, di Fratelli d’Italia: la proiezione politica futura di una nazione è sempre una visione d’insieme, ispirata al comune denominatore di uno stato generale, così, quindi, è nato e per questo è stato apprezzato il programma politico generale di Fratelli d’Italia.
Con questo non voglio escludere che il buon governo di amministrazioni di centrodestra, ma ancora di più di amministratori meloniani possa aver incrementato il favore elettorale verso Fratelli d’Italia, però, siamo modesti e cauti, non confondiamo che l’apporto di una briciola possa confondersi con un intero pane!
Per questo non concordo appieno con il coordinatore forlivese di Fratelli d’Italia, Luca Bartolini, che stamani sul Resto del Carlino, quasi per una sorta di inevitabile proprietà transitiva dal particolare al generale, attribuisce il successo della Meloni in Romagna alla capacità dei Fratelli d’Italia romagnoli di aver fatto valere nello scontro elettorale i temi del territorio.
In aggiunta, credo che adesso si ponga per Fratelli d’Italia la verifica se, principalmente a livello locale, in tutta Italia, disponga di una classe dirigente capace, competente, politicamente formata, capace di rappresentare efficacemente il partito sul territorio, soprattutto nei tre ambiti fondamentali della costruzione e del mantenimento del consenso: azione politica, organizzazione e comunicazione. Ancora oggi, Fratelli d’Italia dispone di un assetto e di una dirigenza in gran parte quelli dell’ormai trascorso partitello ad una sola cifra percentuale di voti, appena il 4,35% nel 2018. Dunque?
Appare ora plausibile che la dirigenza complessiva di Fratelli venga adeguata, aggiornata, commisurata al nuovo ruolo, soprattutto che sia efficace in modo uniforme dal centro alla periferia. Se davvero, come è stato detto da più esponenti di rilievo di Fratelli d’Italia, il loro partito vuole essere un partito moderno con un nuovo respiro politico più aperto alla società, allora penso che davvero che Giorgia Meloni o chi per lei debba provvedere ad una classe dirigente, nazionale e periferica, capace di dare volto a tanta auspicata modernità.
La classe dirigente di Fratelli d’Italia non può più assolutamente passare e formarsi solo attraverso la frequentazione e l’iscrizione, i rapporti personali e la coincidenza di comuni interessi, ideali e materiali; né le competenze possono essere confuse con il conseguimento di ruoli di potere gestionale all’interno del partito.
È una prova, anzi una sfida che, spero, Giorgia Meloni accolga e realizzi, anche in questo caso secondo quei principi di priorità ed opportunità che paiono ispirare la futura azione di governo di Fratelli d’Italia.
Concordo, invece, con Luca Bartolini circa il prossimo impegno alle amministrative di Galeata: c’è un gran bisogno di aprire le finestre e dare aria, attenti, però, che dalla finestra non rientrino taluni “signorotti” di paese, magari tutti da poco sul carro del vincitore: spesso è sul piccolo che si misura già la credibilità di un progetto politico.
Franco D’Emilio