Adesso, nel Partito Democratico si parla persino di cambiare nome, considerato che la denominazione attuale configura un’identità politica incerta, ostinatamente dominata dal mantenimento, dalla gestione del potere locale e nazionale, dunque lontanissima dal rispetto della prassi democratica sia all’interno che all’esterno della stessa formazione.
Si pone, quindi, un problema d’identità che, in questo caso, deve assolutamente e contemporaneamente riguardare il nome e la faccia: davvero non si può solo chiamare diversamente la stessa faccia, ormai nella disaffezione elettorale e politica di tanti italiani! Tuttavia, questa volta, rispetto a suoi trascorsi, analoghi precedenti, credo proprio che il Partito Democratico corra il rischio di non poter più mutare volto e possa al massimo cambiare soltanto l’intestazione della propria malconcia ditta, in evidente crisi sul mercato del consenso.
Oggi, il Partito Democratico è il capolinea del mutevole percorso storico, politico ed elettorale del Partito Comunista Italiano che dal 1991, attraverso un utilitaristico trasformismo della sua natura politica e un bieco cannibalismo ai danni di altri partiti, ha segnato e snaturato il destino di gran parte della sinistra italiana. È stato un disegno cinico, iniziato il 12 novembre 1989 con la svolta della Bolognina, rione del quartiere Navile a Bologna, e, poi, avviato dal congresso comunista di Rimini del 1991 con la nascita del PDS, Partito Democratico della Sinistra: indimenticabile la farsa delle lacrime del segretario Achille Occhetto, parricida del suo partito perché finalmente certo d’agire al riparo del crollo del muro di Berlino e del blocco sovietico.
Così dal 1991 al 1998 il PDS assume il volto di forza politica della sinistra riformista, erede delle tradizioni comunista e socialista, come conferma anche la volontà di mantenere nel nome il riferimento all’organizzazione monolitica del partito quale tutore di una democrazia, fondamentale ed esclusiva della sinistra. Nei suoi sette anni di vita il PDS punta principalmente all’egemonia sulla sinistra, cannibalizzando in modo particolare il Partito Socialista Italiano di Bettino Craxi, dal 1992 al ‘94, anno della sua estinzione, travolto rovinosamente da Tangentopoli; meno riuscito il contenimento di quel dissenso PCI, sopravvissuto con Rifondazione Comunista.
Dal 1998 al 2007 il PDS muta nome, faccia e pelo in DS ovvero Democratici di Sinistra, eliminando così il riferimento al partito, ma confermando l’identità piena tra democrazia e sinistra: nel frattempo, guarda caso, nel ‘94 scompare la Democrazia Cristiana, assorbita sino al 2002 dal Partito Popolare Italiano (PPI); poi, ancora guarda caso, il PPI chiude i battenti, confluendo ne La Margherita, formazione politica in vita, appunto dal 2002 al 2007.
Il cannibalismo progressivo a scapito dell’area cattolica e di quella della tradizione liberale democratica, dai liberali ai repubblicani, ai radicali, richiama nell’acronimo DS un riferimento ad una forza politica più moderna, libera da lacci e lacciuoli della struttura di partito. E questo è anche il risultato di un’abile, variabile equilibrismo strategico del postcomunismo tra bipolarismo e multipolarismo politico, ma, ancora di più, attraverso le coalizioni elettorali, è la conseguenza di quel richiamo frontista ad uno scontro costante tra destra e sinistra, pure inteso come tra fascismo e antifascismo, per contenere l’unità di coalizione e la presenza sul territorio delle forze di centrodestra.
La presenza di tutto e di più entro una sempre più eterogenea composizione politica dei DS persuade nel 2007 la dirigenza diessina ad un ultimo balzo con cambio di nome e faccia: la trasformazione nel Partito Democratico, definizione di generica, universale democrazia, di nuovo compresa in un partito, sicuramente scimmiottando i democratici USA che trovano un incauto alfiere, quasi un “americano a Roma” di Alberto Sordi, in Walter Veltroni, persino esilarante nel dichiarare, forse vantarsi di “essere di sinistra senza mai essere stato comunista”!
Oggi, lo sconfitto PD delle ultime politiche è un partito della classe medio-alto borghese, estraneo alla realtà sociale delle periferie, dei ceti popolari; subisce la concorrenza e l’iniziativa di sinistra del Movimento 5 Stelle; più che governante e amministratore è risultato gestore dei voleri della Comunità Europea e dei poteri forti, nazionali ed esteri, dell’economia, della finanza.
Adesso il PD cambia nome, faccia e pelo? Dovrebbe prima perdere il vizio del potere, la muta del pelo da sola non basta; riguardo alla faccia, dopo tanti, anche troppi trascorsi cambiamenti, non si può neppure sperare che tutto si risolva con una buona plastica facciale, adesso ci vorrebbe un intervento sinora impossibile: il trapianto di un nuovo cervello politico!
Franco D’Emilio