In questa settimana del Giorno della Memoria ho ravvivato la memoria della persecuzione antiebraica nella Romagna forlivese, pubblicando già due interventi su 4live: uno sulla figura di mons. Augusto Bertazzoni, Vescovo di Potenza dal 1930 al 1966, tanto prodigatosi a favore di ebrei, pure emiliano-romagnoli, confinati in Basilicata; l’altro sulla vicenda di Ismaele Sabatini, ebreo partigiano, residente a Santa Sofia, deportato e assassinato nel lager di Mauthausen. Se, però, prima ho scritto di perseguitati ed, eventualmente, di chi li ha aiutati nella loro drammatica storia, ora intendo, invece, scrivere di qualcuno, sicuramente collocabile nello spazio dei persecutori, ma sempre distintosi da quest’ultimi, non condividendone né gli intenti ideologici né quelli razzisti, sino al punto di denunciare a Mussolini il turpe commercio di alcuni gerarchi fascisti nella vendita ad ebrei di costosissimi, falsi certificati di arianità ovvero di appartenenza alla “razza pura”.
Voglio raccontare di una persona, ascrivibile alla parte dei persecutori solo per il suo alto ruolo istituzionale durante il Ventennio: ruolo ispirato unicamente al principio di servire bene lo stato. È la storia di Carmine Senise, qui nella foto (Napoli, 1883-Roma, 1958), laurea in giurisprudenza e dal 1908, per pubblico concorso, nell’amministrazione del Ministero dell’interno, inizialmente come funzionario prefettizio, poi via via a salire nella scala gerarchica, anche per la solida cultura giuridica posseduta e la vasta esperienza maturata.
Formato, perciò, a servire lo stato, come lo stesso Senise dichiarò pubblicamente nel novembre 1940 al sottosegretario all’interno Guido Buffarini Guidi, al momento di assumere il ruolo di Capo della Polizia, incarico mantenuto sino al 23 settembre 1943: “Ho servito tutti i governi che si sono succeduti al potere: sono stato nei gabinetti di Giolitti, Salandra, Nitti, Orlando e Facta; ho servito da vicino uomini di governo dalle tendenze politiche diverse e questo è potuto accadere perché sentivo di servire soltanto lo Stato. I governi sono per me un fatto transitorio, perciò ho servito e servo il governo fascista non perché io sia fascista e pensi di servire il regime, ma unicamente perché Mussolini è al governo del mio paese”.
Quindi, Carmine Senise fu capo della polizia per quasi tre anni, assicurando ordine pubblico e lotta alla criminalità, controllo del dissenso antifascista e di ogni fronda fascista, anche l’osservanza delle disposizioni razziali nel difficile periodo tra l’entrata in guerra e poco oltre l’8 settembre ’43; tutto questo senza mai debordare dal rispetto delle norme e contrastando spesso iniziative illecite di “corpi separati” entro l’amministrazione centrale e periferica della polizia. Poliziotto al servizio dello stato senza alcuna colpa delittuosa, tanto meno persecutoria: sorprendente questa volontà e capacità di sottrarsi alle spire del regime fascista. Presso l’Archivio di Stato di Roma nel fascicolo 73 della “Corte d’Appello, Sezione Istruttoria” è consultabile il proscioglimento di Senise dalle accuse di favoreggiamento, complicità in crimini ed illeciti del Fascismo, infine di collaborazionismo con i nazisti, emesso il 23 novembre 1945 dalla Corte Speciale d’Assise di Roma dopo la denuncia, quasi inevitabile, del precedente 22 agosto, da parte dell’Alto Commissariato per le Sanzioni contro il Fascismo: la motivazione del proscioglimento è quella lapidaria e senza ombre di “non aver commesso il fatto”!
Poliziotto incorrotto e severamente responsabile del proprio compito che, riconosciuto innocente dalle accuse infondate ascrittegli, tornò tranquillamente a piedi nella sua modesta abitazione romana in via Provana n. 23, poco distante da piazza S. Giovanni in Laterano, dove sempre aveva vissuto e dove la morte lo colse il 24 gennaio 1958.
Riguardo a Carmine Senise meritano ancora attenzione i documenti all’Archivio Centrale dello Stato a Roma, relativi al Ministero degli interni, 1926-1948, e alla Segreteria particolare del Duce, Carteggio Riservato; confermano la sua condotta, ispirata a due principi: svolgere al meglio il proprio ruolo ed evitare eventi peggiori.
Da sempre contrario alla guerra, Senise non esitò a sostenere il dissenso del Gran Consiglio del 25 luglio’43, poi ad agevolare il “licenziamento” di Mussolini da parte del Re e arrestare subito i grandi gerarchi: sempre con fermezza, la stessa dell’estate ‘42 nell’indagare sul commercio di false certificazioni di arianità, appartenenza alla razza ariana, vendute ad ebrei, addirittura sino a un milione di lire per un nucleo familiare di quattro persone. Iniziata a Venezia con l’arresto di tale Magnini, dunque proseguita a Padova fino a giungere a Roma, l’indagine coinvolse malavita comune, abile nella contraffazione, assoldata da una ristretta cerchia di alti gerarchi sino alla figura del potente ed intoccabile Buffarini Guidi.
Dinanzi a tante prove d’accusa fu davvero difficile per Mussolini contrastare l’abile e risoluto Senise, contenere la rabbia di Buffarini Guidi, ancora di più tener fuori il nome della sorella Edvige, maldestramente finita in questa vicenda.
Dopo l’8 settembre Senise, a differenza di altri, non abbandonò Roma e il lavoro di capo della polizia sino al 23 settembre ’43, data del suo arresto ad opera del capitano delle SS Erich Priebke; quindi, fu deportato nel campo di concentramento di Dachau e, a fine novembre, recluso nel carcere speciale di Hirschegg in Baviera.
Solo il 2 maggio ’45 la liberazione da parte delle truppe francesi che curarono una sua forte debilitazione fisica prima di farlo rientrare in patria attraverso la Svizzera l’11 agosto. In fondo, Mussolini e Buffarini Guidi avevano scelto Senise a capo della polizia, convinti che fosse un funzionario “addomesticabile” ai propri voleri, ma ignari dove, invece, potesse giungere la dignità di un buon servitore dello stato, anche in tempi bui e violenti.
Franco D’Emilio