Come sempre, nel periodo natalizio, a Predappio nella Chiesa di S. Antonio vi è stata l’esposizione del presepe, allestito con il lavoro, il fervore dei fedeli e del parroco: un presepe suggestivo, intensamente espressivo del dono della nascita del Redentore e, fra l’altro, ancora ieri, visibile a sinistra dopo l’entrata, in tutta la magia delle sue luci a rischiarare la silenziosa, sacra penombra del tempio.
Il presepe, rappresentazione della Natività, è sempre un richiamo di grande significato per la riflessione e la fede dell’uomo, proprio come già negli intendimenti del suo ideatore, S. Francesco, con il primo allestimento presepistico a Greccio nel 1223 su autorizzazione di Papa Onorio III. Quest’anno, però, il presepe predappiese ha visto il ritorno della memoria di una circostanza storica, sicuramente di minor valore, ma non per questo trascurabile quale testimonianza del nostro passato.
Infatti, dopo la realizzazione nel periodo pandemico di un presepe di minore allestimento e pregio, a Predappio, in questo sta il ritorno storico, si è rappresentata nuovamente la Natività, rispolverando lo splendido presepe, donato nel dicembre 1933 dagli artigiani della Val Gardena a Mussolini e, poi, da quest’ultimo girato in dono nel 1935 alla Chiesa Madre del capoluogo della Valle del Rabbi, consacrata appunto il 27 ottobre di quell’anno, quindi pronta alla sua prima sacra celebrazione del S. Natale.
Si tratta di un presepe ligneo con statue di ragguardevole peso, opera di grande manualità e abilità scultorea, soprattutto nel taglio dei tratti umani, inoltre finemente dipinte e decorate, alcune poco sopra il metro di altezza: particolari quelle di un candido angelo con cartiglio, annunciante su colonna, di un magnifico destriero bianco, infine di uno scuro elefante someggiato.
Grande cura, dicevo, dell’intaglio, degli ornamenti, dei drappeggi delle vesti, quest’ultimi davvero mirabili nei tre Re Magi in adorazione, insomma un insieme rappresentativo che rapisce per il contenuto artistico di tanto artigianato.
Un dono a Mussolini, giunto, appunto, dai superbi artigiani della Val Gardena, territorio ladino dell’Alto Adige, sin dal 1600 famosi per la realizzazione di giocattoli e utensili domestici, orologi a pendolo e statue, figure ed oggetti religiosi, tutti, perlopiù, nel legno di acero o frassino o di profumato pino cimbro, noto anche come cirmolo.
Pure la realizzazione di soggetti presepistici figura nella lunga, storica attività degli artigiani del legno della Val Gardena, ormai nota in tutto il mondo con i nomi di importanti artisti o, addirittura famiglie artistiche, quali, ad esempio, gli Stuflesser, i Donetz, i Lignoma.
Ma quando e perché questo dono a Mussolini? Nel suo forte richiamo alla tradizione cattolica, alla sacralità della Natività, vissuta anche come rinnovata fede nella continua e crescente rinascita dell’Italia fascista, il governo di Mussolini osteggiò il “pagano” allestimento dell’albero natalizio, fra l’altro diffuso, soprattutto, nelle città e nei territori alpini del nord Italia, dunque, a tal fine, diramò il 25 novembre 1933 dal Ministero dell’interno a tutte le prefetture italiane, se ne trova memoria anche presso l’Archivio di Stato di Forlì-Cesena nel Gabinetto Riservato di Prefettura, una circolare nella quale si manifestava la contrarietà del regime all’albero natalizio e si raccomandava il presepe quale “unico decoro natalizio opportuno di sana tradizione italiana”. Sic et simpliciter!
Questa disposizione natalizia mussoliniana indusse gli artigiani dei comuni gardenesi di Ortisei e Santa Cristina a manifestare gratitudine al Duce, che così incentivava la loro produzione presepistica, realizzando per lui nell’imminenza del Natale del ’33 proprio il presepe sino a ieri ancora esposto nella Chiesa Madre di Predappio.
L’invio successivo, da parte di Benito nell’autunno del ‘35, di tale presepe al suo paese natale intese sottolineare, significare ancora di più l’avvenuta, recente consacrazione della nuova, monumentale chiesa predappiese e, come sempre, rinnovare la vicinanza del Duce ai suoi luoghi natali, alla Romagna.
Franco D’Emilio