In questi giorni a Forlì si scrive, legge e discute circa una nuova sistemazione, organizzazione dei servizi culturali cittadini, ispirata negli intendimenti dell’attuale amministrazione comunale alla configurazione di un vasto polo della cultura forlivese, riassumibile nell’acronimo MARS dalle iniziali di Merenda, Albertini, Romagnoli e San Domenico, appunto i quattro palazzi, siti della conservazione, tutela e promozione del tesoro culturale cittadino.
Mi hanno fatto sorridere questo pensare alla grande e la tanta, conseguente risonanza mediatica dell’attuale giunta, che con il suo MARS pare quasi voler esser pari, se non, sotto sotto, addirittura ambiziosamente competitiva con altri acronimi culturali di grande fortuna perché di consolidata tradizione e fondatezza culturale, quali, ad esempio, il MART, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, o il MAXXI, Museo nazionale delle arti del XXI secolo di Roma: in questi due casi, però, il rispettivo acronimo risulta fondato e di sicuro successo perché marchio identitario di preziose collezioni; nel caso di Forlì, invece, pur accantonando l’infelice, oscillante omonimia tra il dio pagano della guerra, così contrario ai valori della cultura, e la nota, poltigliosa e stucchevole barretta di cibo spazzatura, altrettanto avversa ai valori della cultura, in questo caso quelli del buon cibo, l’acronimo MARS può a stento, tanto magramente intendersi solo come indicazione di quattro sedi, tra le quali ed entro le quali sistemare, distribuire il vasto patrimonio culturale forlivese.
In sostanza, poi, solo una risistemazione, ancora un’altra che, nei propositi della nostra giunta, rischia di stravolgere l’attuale finalità d’uso di Palazzo Romagnoli, di sparpagliare ancora e insensatamente il patrimonio bibliotecario, ma soprattutto rivela la mancanza di una visione d’insieme e di un suo relativo programma attuativo per una gestione sincrona, agevole e unitaria per tipologia di beni culturali (libri, opere d’arte o quant’altro). Addirittura, nel caso di Palazzo Romagnoli, nuove spese di sistemazione e allestimento interno dopo tanto tempo e danaro spesi per l’odierno utilizzo museale, ora improvvisamente in discussione per la velleità di “grandeur “ della nostra giunta comunale.
Fumoso, campato in aria il MARS forlivese, lo direi un gioco a domino con le tessere culturali cittadine o, magari, nel caso del progettato, insistente sino all’osso, “spezzatino” del patrimonio bibliotecario, quasi un triste gioco d’azzardo delle tre carte, carta vince carta perde, per scoprire dove ancora sia finita una sezione della nostra gloriosa biblioteca civica, da tempo offesa da un vergognoso abbandono. Eppure, nessuno considera le potenzialità ad uso dei servizi culturali di un edificio, sito nel centro storico di Forlì, proprio nella simbolica e storica piazza Saffi, così identitaria della nostra città.
Si tratta del Palazzo delle Poste e dei Telegrafi, opera pubblica del Ventennio, inaugurata nel 1932: da anni, ormai, l’amministrazione postale usa solo i locali al piano terra, gli stessi visibili al pubblico dall’atrio di accesso agli sportelli; il resto dell’edificio, dai piani superiori all’interrato, tutto libero con grandi spazi, anche di altezza molto versatile, che potrebbero accogliere raccolte di servizi e beni culturali di varia tipologia. Già soltanto l’interrato si presterebbe a finalità di deposito non indifferenti.
Da tempo, Poste Italiane ha in progetto la dismissione di questa sua sede attraverso la vendita o la locazione, affidandone la cura all’Agenzia del Demanio. Nel 2012 la catena d’abbigliamento Zara mostrò interesse per l’edificio, ma la cosa non si concluse; successivamente l’agenzia del Demanio ebbe contatti con l’Archivio di Stato di Forlì e, in quell’occasione, io stesso, ancora funzionario presso l’ufficio forlivese ebbi modo di visitare l’intero edificio postale, tanto appetibile per i suoi vasti locali.
Dare una finalità culturale al Palazzo delle Poste in piazza Saffi significherebbe ribadire la centralità del cuore della città, vorrebbe dire un contenuto impegno di spese per il recupero e l’allestimento interno, soprattutto rappresenterebbe un ulteriore margine di spazio e respiro all’allocazione del complessivo patrimonio culturale forlivese. Invece, niente, anche il Palazzo delle Poste pare, per ora, condannato ad un monumentale abbandono.
Franco D’Emilio