Anche sulle imminenti elezioni amministrative per il nuovo sindaco e il rinnovo del consiglio comunale di Galeata valgono le parole realistiche, corrosive del grande giornalista e scrittore Ennio Flaiano: “la situazione è grave, ma non è seria!” Grave solitamente si definisce, e qui rientra anche l’importanza dell’elezione nel piccolo Comune galeatese, tutto quanto risulti di notevole peso per le sue conseguenze future, quindi implichi l’assunzione di onerosi impegni, significative responsabilità personali da parte dei possibili candidati che intendano tutelare con il buonsenso dell’opportunità e del saper fare gli interessi generali della comunità.
A Galeata, però, la situazione è aggravata dalla spudorata, sconsiderata leggerezza, direi cinica gestione, con la quale si è aperta la campagna elettorale: gravità che configura un’ampia mancanza di serietà. I candidati di una tornata elettorale sono persone serie quando, non solo per giusta sinonimia, risultano affidabili e scrupolosi, competenti e coscienziosi, infine corretti e irreprensibili; è questo il livello auspicabile di serietà che deve nobilitare una comunità, in questo caso quella di Galeata, nell’esprimere candidati alla giusta guida della propria istituzione municipale. Invece no, a Galeata la situazione, si fa per dire, politica di queste imminenti comunali è assolutamente grave ed irresponsabilmente priva di serietà.
A tutt’oggi paiono sicure ben 4 liste a contendersi il voto di 1690 galeatesi aventi diritto, dunque ciascuna con un bacino teorico di 421 voti che, però, rischia di ridursi miseramente a 173, considerando come solo il 59 per cento dei galeatesi abbia esercitato il proprio diritto di elettori alle trascorse comunali. Addirittura, quale venticello rossiniano, si bisbiglia la possibilità dell’ultima ora di una quinta lista, forse pentastellata, pronta a farsi sotto, pure lei a spolpare l’ambito osso comunale. Viene quasi da dire che, alla fine, sarebbe più dignitoso, anche se spiccio e fuori dalla prassi democratica, giocarsi il sindaco e il consiglio comunale ai dadi o, magari, con una bella tombolata in piazza che assegni con la tombola il prosciutto della sindacatura, con la cinquina la coppa di testa delle cariche assessorili e con la quaterna la salsiccetta passita di consolazione dello scranno da consigliere comunale.
Insomma, sono certe quattro liste, tutte civiche perché subito con le mani avanti a dichiararsi ideologicamente e politicamente libere da partiti, partitelli, ma accomunate dallo stesso obiettivo: mettere o mantenere le mani sul paese, tanto per richiamare “Le Mani sulla Città“, celebre film di Francesco Rosi. C’è di tutto nell’imminente tornata elettorale galeatese: la tanto glamour signora Francesca Pondini, bionda sì, ma improbabile novella pulzella d’Orleans in salsa bidentina; il funzionario tecnico comunale Giorgio Ferretti, prossimo al pensionamento, ma tenacemente risoluto a non schiodarsi da una qualunque seggiola del municipio; il disfattista, nihilista o bastian contrario poco importa, che punta a seminar zizzania sino al commissariamento del Comune; infine, ancora misteriosa e incerta, da sempre i conclavi della sinistra sono più impenetrabili di quelli della Chiesa, la scelta del locale Partito Democratico tra due nomi, non manca il giovanottino di belle speranze, per una lista di sinistra, però anch’essa rigorosamente civica. Per ora quattro liste civiche, politicamente né carne né pesce, ma non a futura dieta vegana!
Nessuno che parli, anticipi concretamente qualcosa del proprio programma, esclusivamente dichiarazioni trite, banali, soporifere: in conclusione, candidati autoreferenziali, di scarsa consistenza, forse solo abili venditori “porta a porta”. Però, non manca il familismo dello zio, candidato antagonista, ma senza animosità, contro la giovane nipote, che parimenti ricambia tale non belligeranza, tanto, si sa, vinca l’uno o l’altra, tutto resta in famiglia. Non manca, già in azione, la logica della promessa elettorale o della memoria di qualche trascorso beneficio elargito ovvero “ti do o ti ho dato perché ora tu mi dia” (do ut des) il voto; non manca l’allettante possibilità di prebende agli amici degli amici, i soliti, cosiddetti, “signorotti” del paese. Una cosa, poi, ha suscitato la mia riflessione, pure sollecitata da un caso della politica nazionale di questi giorni.
L’opposizione reclama a gran voce le dimissioni del Ministro dell’interno, Matteo Piantedosi, per talune sue affermazioni sulla tragedia di migranti sulla nostra costa calabra, ritenendole politicamente e umanamente inopportune, fuori luogo. Il ministro ha solo parlato schiettamente, forse senza calcolata misura, però ha detto la verità che sul problema dell’immigrazione pensano tantissimi italiani; il ministro, così lo definiscono i suoi biografi, è stato ed è un eccellente dirigente dello stato, ancora di più e a sua lode un prezioso servitore, pure negli abiti dimessi da questurino, ruolo di cui è grandemente orgoglioso, nonostante qualcuno lo richiami con intento denigratorio.
Ora, ricordando e sottolineando come il Signor Ministro non risulti al momento accusato o imputato di alcunché, mi chiedo come nella piccola Galeata nessuno levi, invece, la voce contro l’inopportunità politica della candidatura di chi, come il geometra Giorgio Ferretti, da solo o in concorso con altri, così leggo negli atti giudiziari, a chiunque accessibili, risulti attualmente sotto processo, prossima udienza alle 10.30 del 6 aprile p.v. a Forlì, per violazione degli artt. 47, 48, 81, 110 e 615 del codice penale: non sono certo pinzillacchere, bagatelle di poco conto.
È vero che, secondo il diritto, sino a compimento del processo vige la presunzione d’innocenza, ma è pur vero che esiste una legge morale, una misura, ispirata al bene, della condotta umana che suggerisce sempre, ancora di più in politica, cosa sia opportuno, innanzitutto per se stessi e per non offrire agli altri l’idea di un personale, insolente menefreghismo. Certo, comprendo come l’elezione ad una carica istituzionale possa pure protrarre nel tempo i benefici di spese legali a carico del contribuente. Eppure, tutti sanno, ma nessuno fiata al riguardo, compreso tutto il notabilato politico forlivese dei partiti di centrodestra e centrosinistra, così masochisti nel farsi prendere a scapaccioni da tanta sfida.
Spero che la buona gente di Galeata non si faccia infinocchiare da questa situazione grave e non seria; sappia sbattere la porta in faccia a chi “meglio perderlo che trovarselo ancora tra i piedi”; soprattutto non beva o non mangi niente della pozione o della mela, probabilmente avvelenata o drogata, offerta da chi non vuole arrendersi, per questo gioca ancora malevolmente col futuro altrui.
Franco D’Emilio