Scriverò spesso “bello”, forse risultando banale, ma è sicuramente, anche qui, l’aggettivo più immediato per rappresentare la propria ammirazione e la personale, serena condivisione di principi e valori istituzionali.
Bello, dunque, vedere Enrico Cangini, sindaco di Sarsina, qui nella foto secondo da sinistra, in prima fila nella rappresentanza di 300 Primi Cittadini, all’inizio della sfilata celebrativa della Festa della Repubblica, svoltasi il 2 giugno a Roma, alla presenza del Capo dello Stato e delle massime autorità civili e militari.
Con lui, visibilmente immedesimato nella solennità del momento, appena un fugace, lieve sorriso, i sindaci di Castel Bolognese, Imola e Massa Lombarda, altri tre Comuni, come Sarsina, colpiti dalla grave calamità, abbattutasi sulla Romagna: quattro Primi Cittadini, comunque, ad affiancare Antonio De Caro, egli stesso sindaco di Bari e presidente dell’Associazione Nazionale Comuni d’Italia.
Una bella immagine, incisiva nel suo duplice riferimento: innanzitutto, il richiamo inderogabile al valore dell’unità nazionale, tanto identitario e istituzionale, pur nella grande variabilità dei territori, delle tradizioni e di una diversa, spesso penalizzante, potenzialità economica regionale; poi, il valore della solidarietà, del soccorso che la nazione garantisce sempre a chi in pericolo o più debole o in ginocchio per tragiche avversità, valore questo davvero prezioso, per tale motivo subito nell’evidenza simbolica della prima fila alla Festa della Repubblica.
Bello vedere il giovane sindaco sarsinate, da pochi giorni al suo secondo mandato, sfilare davanti al Presidente della Repubblica con l’indiscutibile dignità della sua esperienza di amministratore onesto, tenace ed innovatore, tanto meritevole della stima, del rispetto dei suoi concittadini. Unico candidato con una lista civica, prossima al centrodestra, alle ultime elezioni del 14-15 maggio scorsi, visto il “getto della spugna”, la diserzione, pure malevolmente calcolata, dell’opposizione, il nostro Enrico è rimasto in campo da solo, pur di salvare la continuità della buona amministrazione svolta e nonostante fosse ben consapevole come senza l’andata al voto di almeno il 40% degli elettori sarebbe stato inevitabile il commissariamento del suo Comune fino a nuove elezioni.
Ha stravinto sulla via del dialogo e del confronto, persino uscio dopo uscio, convinto di meritare l’ascolto altrui, pur se, a priori, politicamente a lui contrario. Enrico Cangini, dottore commercialista, ha confermato quanto la proverbiale saggezza contadina “chi semina raccoglie” possa ben fruttificare nelle scelte di una comunità.
Bello come solo nel buon lavoro amministrativo dei sindaci, per fortuna tanti, possa intravedersi la concreta possibilità di riavvicinare le persone ai valori della politica, della partecipazione: la soluzione delle necessità cittadine, la progettazione del futuro delle comunità costituiscono davvero il banco di prova dei diversi programmi politici, soprattutto di quanto l’ispirazione ideologica, seppure esistente, possa ancora guidare e tradursi in un’efficace realtà fattuale.
Questa aspirazione dei candidati sindaci a saper corrispondere alle attese ai cittadini, fra l’altro misurata con l’elezione diretta alla sindacatura, dovrebbe, a mio parere, coincidere con la stessa aspirazione di quanti intendono proporsi a capo del governo ovvero di Presidente del Consiglio: invece no, quest’ultimo risulta, perlopiù, scelto dal partito con più voti della coalizione vincente, ma non senza condizionamenti dall’interno dello stesso schieramento vincitore o, in parte, anche esterni ad opera dell’opposizione.
L’elezione diretta del capo del governo richiamerebbe la stessa e maggiore legittimazione che oggi riscontriamo riguardo all’operato dei sindaci; quindi, avremmo la possibilità concreta di governi durevoli, quinquennali perché non esposti alle turbolenze dei partiti in Parlamento: ben venga, allora, un’equiparazione del metodo elettorale dei sindaci delle città a quello del “Sindaco d’Italia” ovvero del premier, guida del governo nazionale.
Oggi, c’è troppa evidente sfasatura tra i tempi d’azione del governo e quelli dei sindaci: il primo è il solo responsabile di scelte politiche che possano soddisfare le necessità amministrative dei secondi, quest’ultimi sono, però, spesso costretti alla contrarietà di ritardi operativi del governo, a stento compensati da autonome decisioni comunali felici, poiché solitamente destinate al contenzioso col governo stesso.
Dunque, due tempi molto diversi di esercizio e ricaduta della pratica democratica sui cittadini, gli unici davvero a scontare così la loro emarginazione dalla scelta in quali mani riporre il governo della nazione.
I trecento sindaci d’Italia all’inizio della sfilata del 2 giugno a Roma sono il grande auspicio per quale via sia possibile sconfiggere l’attuale disaffezione al voto e ripristinare appieno il primato della democrazia: auspicio, ancora di più motivato, se affidato alle mani di sindaci giovani e giusti come, appunto, il buon Enrico Cangini di Sarsina o la promettente esordiente Francesca Pondini di Galeata, sempre in Romagna, in quest’ultimo caso dopo quasi tre lustri di padronale, feudale, sconclusionata amministrazione illiberale, senza se e senza ma.
Franco D’Emilio