Impresa quasi ciclopica quella cui s’accinge il Comune di Forlì con l’attuale giunta di centrodestra, tra 10 mesi alla fine della sua prima storica sindacatura, ma nel frattempo tanto avventatamente risoluta ad un’operazione di spostamento, trasloco di varie parti del patrimonio culturale cittadino. Chi dice un intervento di logistica culturale, chi solo di oneroso, inutile facchinaggio: la cultura, si sa, cerca sempre spazi nuovi e migliori, ma ha pure il suo peso. Così la Biblioteca Comunale dalla Saffi a palazzo Romagnoli per poi tornare a palazzo Merenda in corso della Repubblica, una volta che di quest’ultimo immobile saranno ultimati i lavori di recupero e ampliamento: quando, difficile a dirsi; la Collezione Verzocchi da palazzo Romagnoli a palazzo Albertini, forse nell’illusoria speranza che tanta arte sospinga la rinascita di piazza Saffi e del suo prossimo centro storico; l’ex Asilo Santarelli non più sede della biblioteca moderna, ma per alcuni anni a disposizione dell’Università di Bologna per accogliervi i servizi della Biblioteca Ruffilli, appunto destinata a chiusura per moltissimo tempo.
Non solo, a supporto di questo incerto e claudicante viavai di parti del patrimonio culturale forlivese fioriscono alcune denominazioni innovative, ambiziose di particolari progetti: “un museo in biblioteca” sarà quello a palazzo Romagnoli in un azzardato cocktail di libri, opere d’arte e fondi archivistici, quest’ultimi, oddio incrocio le dita, nella parte interrata, nonostante il monito della recente tragica alluvione, devastatrice a Forlì del deposito comunale di via Asiago e della biblioteca del seminario; “un museo multimediale” nascerà, invece, a palazzo Albertini.
Trasferimenti che vengono proposti come mutamenti epocali della cultura forlivese, ma rischiano, in realtà, di rivelarsi solo modifiche posticce, quasi un parrucchino su una marcata calvizie di idee veramente innovative nella gestione del patrimonio culturale forlivese. Innanzitutto, per la mia modesta esperienza di operatore culturale, a lungo funzionario scientifico del Ministero per i beni culturali, vorrei chiedere perché, relativamente agli scrigni della cultura forlivese, si continui in modo improprio a parlare di poli e progetti culturali.
Anche nel mondo culturale polo significa perno, asse, aggregazione, per questo si parla di poli librari, artistici, archivistici e via dicendo, cosa questa, invece, ora difficile a ravvisare nel vasto trasloco del Comune di Forlì che praticamente frantuma, disperde ogni affinità tipologica dei beni culturali del territorio: ma quali poli, riflettiamo sul senso delle parole! Certo, pure in campo culturale, sono importanti i progetti, tanto più se davvero volti alla tutela, alla valorizzazione e alla promozione, ma, attenzione, tali progetti, anche se diversi per il settore di beni o servizi culturali coinvolti, non possono mai prescindere dal loro inquadramento nell’ambito delle linee guida del modello culturale complessivo che si intende perseguire.
È sul modello culturale, quindi sulle sue priorità ed opportunità, che debbono costruirsi e valutarsi i progetti specifici; è sul modello culturale che si costruiscono e sviluppano i poli archivistici, librari, architettonici e via dicendo. Se nel caso di un gestore culturale, nel nostro caso il Comune di Forlì, non esiste un modello culturale complessivo, allora è inevitabile che si cada nel dilettantismo culturale di tanta fuffa che già tanto stenta sulla breve distanza di un fantasioso “miglio bianco”.
Eccoci, allora, alla domanda legittima da rivolgere all’attuale assessore forlivese alla cultura: quale è il modello culturale complessivo che s’intende perseguire e per il quale si giustifica tanto trasloco di beni culturali da una parte all’altra della città? Un modello del confinamento o un modello della diffusione o, magari, un modello della trasversalità culturale?
Un modello culturale è il modello politico, organico e longevo, di un particolare aspetto gestionale della vita cittadina, per questo non può ricondursi a ragioni momentanee né concretizzarsi in provvedimenti temporanei, come, invece, risultano le motivazioni di buona parte di questo viavai del patrimonio culturale forlivese.
Ancora un modello culturale degno è solo quello che, da una parte, attribuisce alla politica la responsabilità delle scelte di indirizzo e gestione della cultura, dall’altra riconosce ai privati, fondazioni ed altri soggetti munifici esclusivamente il sostegno finanziario alle iniziative di valorizzazione e promozione culturale: mi pare questo un aspetto da tempo irrisolto a Forlì, dove la Fondazione della Cassa dei Risparmi tende a cumulare e ricoprire impropriamente entrambi questi ruoli.
Trovo incauto che questa amministrazione comunale giustifichi l’andirivieni di tante parti, anche smembrate, del patrimonio culturale cittadino, nascondendosi dietro l’assenso ricevuto da qualche soprintendenza: ho conosciuto sin troppo bene come non sempre le soprintendenze siano luogo di saggezza amministrativa, quindi non sempre siano credibili i loro imprimatur!
Altrettanto, mi fa sorridere che nel tanto turbinoso casino di traslochi ipotizzato giunga la rassicurazione del ministro della cultura Sangiuliano che a Forlì si farà il museo del volo: a stento e in modo maldestro si riesce a provvedere al presente!
Credo che con la cultura l’attuale amministrazione di Forlì giochi solo alle tre carte, una rossa e due nere frettolosamente mischiate, quella rossa, naturalmente introvabile, per conto del comune a giustificare il suo inutile trasloco.
Franco D’Emilio